Tutto si può dire su Giorgia Meloni tranne che rappresenti quella che in politica si definisce come “moderazione”.
La Presidente del Consiglio è un’estremista di destra che guida una formazione politica che ha la fiamma fascista nel suo simbolo.
Meloni è estremista nella guerra e nella fedeltà agli Stati Uniti e alla NATO.
Lo è quando esalta lo slogan fascista “Dio, Patria, Famiglia”.
Lo è quando si scatena contro i migranti, i giovani che protestano, i percettori del reddito di cittadinanza.
Lo è quando si proclama per la libertà assoluta dell’impresa e del “mercato”.
Insomma, le posizioni di Meloni sono sempre state estreme, ma improvvisamente su un tema sono diventate “moderate”. Quando si parla di aumentare i salari, Giorgia Meloni assume un’impronta e una cautela democristiana.
“Piano con gli aumenti dei salari, eh!” E anche piano con gli scioperi, si diceva una volta.
La moderatissima Meloni è preoccupata che i salari crescano troppo e che l’economia ne risenta.
Peccato però che i salari siano fermi e il potere d’acquisto precipiti, con la stessa velocità con la quale salgono i profitti.
Ecco il punto: per i profitti industriali e finanziari l’inflazione sta diventando un bel business, per i salari e le pensioni un terribile costo. È così da trent’anni e la politica, più o meno moderata che sia, è sempre stata serva obbediente dello sfruttamento e dell’ingiustizia sociale.
La moderazione dei salari, oggi più che mai, è una scelta di classe estrema, a sfacciato favore dei ricchi e a brutale danno dei lavoratori e dei poveri.
La moderazione salariale predicata da Giorgia Meloni, su indicazione di Draghi via Giorgetti, non è altro che estremismo confindustriale.
La destra più a destra che c’è.
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