È tempo di ecoresistenze per rafforzare la lotta per l’ambiente nel nostro paese saldando combattività e progettualità, in una prospettiva esplicita di superamento degli attuali rapporti sociali dominanti per un’alternativa sistemica
Venerdì a Bologna abbiamo dato vita all’iniziativa “Alluvioni, siccità e devastazioni ambientali… è tempo di ecoresistenze” affrontando a sotto diversi aspetti il tema della crisi climatica e ambientale, i caratteri sistemici di questa crisi, le scelte politiche – nazionali e sovranazionali – che l’hanno prodotta e continuano ad accelerarne le disastrose conseguenze, le sempre più ravvicinate emergenze in cui la vediamo concretizzarsi, non un domani, ma qui e ora, e gli spazi e le prospettive di lotta e iniziativa politica che abbiamo davanti e che siamo chiamati ad assumerci con ancora maggior determinazione e progettualità strategica.
Proprio la città capoluogo della regione che a tutt’oggi è inghiottita dall’emergenza e dalle tragiche conseguenze di quello che è solamente l’ultimo delle decine di disastri ambientali che hanno colpito l’Italia ha visto un ricco dibattito tra diverse figure del mondo scientifico, di realtà ambientaliste, contadine e movimenti territoriali contro le grandi opere inutili e dannose che da nord a sud animano le lotte ambientaliste nel nostro paese.
Un confronto che a partire dagli specifici ha saputo inquadrare la crisi climatica e ambientale come elemento strutturale, insieme alla tendenza alla guerra, di una crisi sistemica del modo di produzione capitalista che si manifesta nella sua configurazione occidentale come una vera e propria crisi di civiltà che rischia di trascinare nel baratro l’umanità intera.
Da cui la consapevolezza che dentro lo stesso sistema e con le stesse ricette che l’hanno prodotta non si danno soluzioni a questa crisi, che non basta mettere delle pezze rincorrendo le emergenze, o peggio adeguando la produzione al cambiamento climatico, in una spirale senza via d’uscita che rimanda soltanto il problema per poi già domani doverlo riaffrontare moltiplicato nelle sue conseguenze e via via con sempre meno margini di adattamento fino al definitivo, e sempre più vicino, punto di non ritorno.
Sono le politiche miopi e criminali che da trent’anni portano avanti i nostri governi, e oggi quello Meloni che giusto pochi giorni fa, mentre non gestiva l’alluvione in Emilia Romagna, approvava le sperimentazioni dei nuovi OGM rimuovendo esplicitamente i controlli sulle valutazioni dei rischi che questi comportano per l’agrobiodiversità e la filiera agroalimentare, rincorrendo cioè il nuovo clima tropicale, di siccità e calamità “naturali”, verso cui è già avviata l’Italia – ma lo stesso succede a livello continentale, ultimo il caso dei pesticidi per l’agricoltura autorizzati “nascondendo” alle autorità europee i danni sulla salute.
È emersa con ancora più forza la necessità, per uscire da questo circolo vizioso, di lavorare a una prospettiva sistemica d’alternativa che metta in discussione alla radice il modo di produzione capitalista al punto più alto e più regressivo del suo sviluppo, quello occidentale, e di rafforzare quindi la lotta in difesa dell’ambiente, andando a saldare la contraddizione capitale-natura dentro la contraddizione più generale capitale-lavoro, in un punto di vista organico su questo modello di sviluppo tanto sul piano della teoria e dell’analisi che della prospettiva strategica e dell’iniziativa politica conseguente per incidere contro il cambiamento climatico e invertire davvero la rotta.
Su queste indicazioni già il giorno dopo è stata messa in campo l’azione collettiva di blocco della tangenziale di Bologna contro la costruzione della grande opera del passante di mezzo, mentre contemporaneamente si teneva una mobilitazione sotto Regione Lombardia contro la Pedemontana.
E conseguentemente guardiamo già agli appuntamenti del 17 giugno con la mobilitazione No Tav in Val Maurienne insieme a Soulevement de la terre e ai movimenti ambientalisti francesi, la mobilitazione ancora a Bologna ad un mese dall’alluvione e quella a Messina contro l’ultima grande opera inutile e dannosa, che sottrae risorse alla collettività e devasta i territori, quale sarebbe il ponte sullo stretto.
Così come porteremo alla mobilitazione nazionale del 24 giugno a Roma contro il governo Meloni la rappresentazione e la forza dell’ambientalismo di classe dietro lo striscione “ecoresistenze per cambiare rotta”
Quel che si va definendo in questi giorni voglia tradurlo in uno rafforzamento del piano d’azione per un ambientalismo conflittuale, e su questo terreno, come organizzazione giovanile comunista, implementeremo i nostri sforzi – consapevoli che non si tratta di un tema appannaggio delle giovani generazioni, ma che riguarda l’umanità intera – nella direzione di rafforzare un punto di vista comunista e la caratterizzazione di un intervento specifico sulla questione ambientale dentro la progettualità complessiva rivoluzionaria contro la crisi di civiltà dell’Occidente capitalista.
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R.P. Ffm.
Gentile Contropiano,
prima dei paradigmi relativi ai sistemi politici, peraltro sempre utili, gradirei si ponesse l’accento su alcuni fatti relativi all’emergenza ambientale.
1. Cosa provoca il “riscaldamento globale” origine di tutti i problemi climatici? Risposta: i gas serra emessi in atmosfera (CO2, CH4, etc.).
2. Se da subito non emettessimo piu’ i gas che producono l’effetto serra, quanto tempo ci metterebbe il sistema oceani/foreste a riportarci a valori normali, tipo <300 ppm per il CO2 (oggi 400 ppm)? Risposta: da 80 a 200 anni (le simulazioni scientifiche divergono, ma concordano sui tempi molto lunghi).
Se 1. e 2. sono veri la risposta di Greta "NO FOSSILI" non e' sufficiente, oltre che praticamente impossibile da realizzare!
La situazione e' disperante. Che fare allora?
Cordialita'. R.P. Ffm.