La crisi Ucraina rischia davvero di far precipitare il mondo verso una nuova guerra mondiale? Nessuno ha la sfera di cristallo per sapere se quello degli Stati Uniti sia un bluff, se l’Unione Europea asseconderà le pressioni dell’alleato storico o, com’è probabile, tirerà dritto nel suo progetto imperialista indipendente e in competizione con gli stessi Stati Uniti, né se gli interessi e i calcoli dei diversi attori in campo sfuggiranno di mano agli “apprendisti stregoni” dell’imperialismo occidentale provocando – come spesso in passato, non solo sul piano militare – un’escalation che non si può sapere come finirà.
Indipendentemente da quali saranno gli sviluppi di questa crisi – che tra proclama aggressivi e segnali di distensione sembra mutare di segno anche a distanza di poche ore – un’indicazione è chiara: la tendenza alla guerra è un elemento strutturale dell’imperialismo occidentale e, nell’attuale contesto di crisi sistemica del capitalismo e recrudescenza della competizione globale, torna ad essere a tutti gli effetti per i due attori occidentali uno strumento concreto (e potenzialmente incontrollabile) di risoluzione delle crisi e di affermazione egemonica – basti vedere come si sta muovendo l’Unione Europea nel Sahel, nel suo “cortile di casa” africano, così come nell’accelerazione degli ultimi mesi sul progetto di costituzione dell’esercito europeo.
Dentro questa tendenza generale – ad oggi fatta di guerre ibride o localizzate, sanzioni economiche e alleanze a geometria variabile che però non deflagra in un vero e proprio conflitto su scala globale – c’è lo specifico della crisi ucraina e qui, sgombrato il campo dal “pericolo russo” propagandato dai media occidentali, gli interessi di Stati Uniti e Unione Europea sono oggettivamente divergenti. Gli Stati Uniti sarebbero i soli ad avere, forse, da guadagnare inglobando l’Ucraina nella propria sfera d’influenza e nella NATO – svuotata ormai di ogni funzione di regolatore degli equilibri mondiali sotto l’egemonia statunitense assunta dopo il ’91, ma direttamente strumento offensivo degli USA nella competizione nel mondo multipolare – e soprattutto tagliando i ponti tra UE e Russia, vincolando un’Unione Europea stritolata dalla crisi energetica a dipendere dal (meno conveniente) gas statunitense.
Gli Stati Uniti si trovano dopo la pandemia lacerati da una crisi economica interna e senza precedenti – a cui si è aggiunta un’inflazione permanente non programmata – e sono costretti a scompigliare il mazzo per riguadagnare posizioni dopo l’obiettivo declino della loro supremazia mondiale e l’arretramento generale sancito definitivamente dalla sconfitta e dalla fuga dall’Afghanistan. Proprio questa e i nuovi equilibri internazionali hanno segnato per l’Unione Europea la possibilità – e la necessità, per attrezzarsi a giocare un ruolo da protagonista e non rimanere schiacciata nella competizione inter-imperialistica – di riconfigurare la propria posizione all’interno dell’alleanza atlantica superando la subalternità storica nei confronti degli Stati Uniti, forte della crisi, materiale e ideologica, dell’alleato e del “potere contrattuale” che offrono i rapporti economici con Cina e Russia, a cominciare proprio dal settore energetico.
Qui l’Unione Europea si gioca una partita decisiva per la propria tenuta – e lo vediamo nei passaggi concreti che sta attuando verso l’energia nucleare con l’inserimento forzato di quest’ultima nella tassonomia green – partita tutt’altro che scontata e in cui non può permettersi un’ulteriore precipitazione data da un conflitto aperto con la Russia che comprometterebbe le forniture di gas e il gasdotto diretto Germania-Russia, oltre a non potersi permettere evidentemente di portarsi in casa una guerra mondiale per la terza volta in meno di cent’anni.
Non è da escludere al contrario che l’Unione Europea, in caso di una risoluzione “pacifica” su cui ha tutto l’interesse, possa uscire rafforzata da questa vicenda, assumendosi il ruolo di mediatrice e di garante degli attuali equilibri, della “pace e della democrazia” nel ruolo lasciato scoperto dalla perdita di credibilità degli Stati Uniti dopo la sconfitta in Afghanistan. Occorre affrontare questa vicenda quindi con tutta la complessità che richiede, non scadendo in semplificazioni che possano prestare il fianco a fare da “utili idioti” per il rafforzamento del progetto imperialista europeo.
Gli interessi in campo sono ben definiti, ma è impossibile escludere precipitazioni, così come dobbiamo essere in grado di cogliere il dato strutturale di questa vicenda, vale a dire la naturale tendenza alla guerra del modello fallito e regressivo di Stati Uniti e Unione Europea. Una guerra su scala globale è uno scenario sempre più possibile contro cui costruire da subito iniziativa politica con parole d’ordine radicali per l’uscita dalla NATO contro l’imperialismo USA e UE, a cominciare dall’appuntamento di sabato 19 febbraio alla mega base NATO di Giugliano “Contro una possibile nuova guerra, via le basi nato dai nostri territori!”.
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