Vorremmo raccontare una vicenda che ci ha profondamente colpito riguardante il destino di un nostro caro compagno di lotta.
Se siete degli anarchici avrete sicuramente sentito parlare del processo Prometeo, che si è concluso appena qualche mese fa a Genova.
Un processo che rappresenta davvero un caso esemplare per comprendere come funziona realmente l’informazione mainstream in questo paese.
Rammentiamo i fatti.
Il processo Prometeo vedeva imputati una nostra compagna, Natascia, e due compagni, Beppe e Robert, per l’invio di due pacchi esplosivi indirizzati a due ex pubblici ministeri di Torino: Sparagna e Rinaudi.
Entrambi impegnati da anni in una feroce repressione delle lotte insieme all’ex direttore del Dap, Santi Consolo, uno dei principali responsabili delle torture che quotidianamente vivono decine di migliaia di detenuti sulla propria pelle.
Il pubblico ministero Federico Manotti, già noto in passato per l’accanimento repressivo verso compagne e compagni Anarchici, aveva chiesto una pena complessiva di oltre mezzo secolo di carcere.
17 anni la richiesta di condanna per Natascia e Robert e addirittura 18 anni e 4 mesi per Beppe.
Il capo di imputazione principale sfoderato per l’occasione era stato il famigerato articolo 280 cp, ovvero attentato con finalità di terrorismo.
Il processo arrivava dopo addirittura 3 anni di carcere preventivo, con continui trasferimenti da un carcere all’altro del nostro Paese (Pavia, Opera e Bologna) e sempre in regime di alta sicurezza.
A questo punto giova rammentare il comportamento assolutamente vergognoso da parte dell’informazione mainstream rispetto a un tale accadimento.
L’inchiesta Prometeo venne infatti lanciata, all’epoca degli arresti, su tutte le prime pagine dei principali giornali nazionali e in apertura di tg e notiziari sulle principali reti televisive.
Lo stesso clamore mediatico che avrebbe accompagnato l’inchiesta fino alla spropositata richiesta di condanna da parte del pm, si sarebbe trasformato però in un vergognoso silenzio appena il processo sarebbe realmente entrato nel suo pieno svolgimento.
Dell’assoluzione in primo grado di tutti e tre gli imputati non si dirà mai nulla su tutti quegli stessi organi informativi che, appena qualche mese prima, avevano invece scatenato l’inferno.
I riflettori sulla vicenda Prometeo si spegneranno dunque completamente proprio a partire da questa prima assoluzione, che preluderà al gran finale, caratterizzato da un verdetto decisamente incontrovertibile.
L’‘assoluzione con formula piena per tutti e tre gli imputati.
Bene, anzi molto male. Ma fin qui la vicenda Prometeo assomiglia in tutto e per tutto ad altre vicende tremende di pura repressione che hanno caratterizzato la storia recente della Repubblica.
Compreso un passato che evidentemente tarda a tramontare.
Una storia che assomiglia tanto ad altre storie altrettanto inquietanti di repressione da parte degli organi giudiziari, alle quali fa da corollario una strumentale manipolazione da parte dell’ informazione mainstream, totalmente asservita al potere.
Di questa vicenda, tuttavia, ci ha colpito in modo particolare la storia personale di uno degli imputati coinvolti: il nostro compagno Anarchico Giuseppe Bruna detto Beppe.
Il quale venne individuato dal Pm Federico Manetti come il nemico pubblico numero uno su cui accanirsi in modo particolarmente cruento.
La richiesta del PM per Beppe fu addirittura di 18 anni e 4 mesi, e fu con questa pesante spada di Damocle sul collo –e in regime detentivo di alta sicurezza– che il nostro compagno ha dovuto affrontare questi 3 lunghi anni di detenzione preventiva.
Non c’è pertanto da stupirsi se in una situazione tanto stressante e di sistematica sospensione dei propri più elementari diritti, lo stesso Beppe abbia finito per ammalarsi proprio in carcere, fino ad essere costretto ad un intervento alla tiroide presso il carcere di Pavia.
Ma i veri problemi per Beppe sarebbero in realtà incominciati subito dopo la sua scarcerazione e il suo ritorno a casa, quando i riflettori mediatici sulla vicenda iniziarono ad attenuarsi, fino a spegnersi del tutto ad assoluzione avvenuta.
Perché, come troppo spesso avviene in simili casi, è proprio quando si abbassano i riflettori che possono crearsi gravi problemi, di salute ed economici.
Dopo tanti anni passati nel movimento abbiamo constatato come questa problematica riguardi soprattutto alcuni dei nostri migliori compagni di lotta, in particolare quelli dotati di una inflessibile dignità personale e poco inclini a forme di autovittimismo, anche quando avrebbero tutte le ragioni per cascare in una qualsivoglia forma di autocommiserazione.
Questi nostri fratelli di lotta generalmente non amano piangersi addosso, raccontando magari le loro vicissitudini personali, perché sono compagni abituati ad assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, senza mai chiedere niente a nessuno e soprattutto senza mai pretendere alcunché dal prossimo.
Se ad esempio prendiamo in esame la vicenda giudiziaria e personale del nostro compagno Beppe, ci accorgiamo esattamente di questo comportamento esemplare e di quanto, una volta uscito dal carcere, sia rimasto isolato.
È stato soltanto grazie all’interessamento personale di alcuni di noi e in particolare della nostra compagna Samira che siamo infine venuti a conoscenza della sua situazione.
E di tutto quello che è emerso sarebbe a questo punto altrettanto necessario parlarne…
E allora parliamone davvero!
Parliamo per una volta di questo nostro compagno che finora non ha mai chiesto o preteso alcunché ma che in tutti questi anni di detenzione ha lottato e sofferto in silenzio senza che nessuno di noi sapesse realmente quale fosse la sua situazione personale.
Per dirla in breve. Beppe è stato scarcerato dopo ben 3 anni di detenzione preventiva per ritrovarsi alla fine dei conti in una condizione esistenziale altrettanto pesante e ugualmente coercitiva.
Con un fratello in Spagna che non lo piò aiutare e con una sorella che ha sottratto alla madre tutto quel poco che ancora possedeva per provare a sopravvivere, prosciugandole addirittura il conto.
Dopo 3 anni di ingiusta carcerazione preventiva, Beppe si ritrova quindi completamente indigente e con la necessità di assistere notte e giorno una madre molto anziana e malata.
Il tutto, in un paesino siciliano di circa 3000 anime lontano e scollegato da tutto e da tutti: Bivona.
Siamo venuti a sapere di queste problematiche grazie all’interessamento di una nostra cara amica, sorella e compagna di lotta molto attenta a queste vicende personali e di cui spesso ci dimentichiamo.
Beppe non merita questa umiliante situazione dopo aver dato letteralmente tutto sé stesso per la lotta.
Il fatto che lui non abbia mai chiesto nulla per sé non significa che possiamo permetterci di continuare ad ignorare tutto quello che vi abbiamo appena raccontato.
È d’altronde proprio per questo che abbiamo infine deciso di scriverne, portando alla luce e a conoscenza dei compagni e delle compagne tutte la sua vicenda personale.
Era infatti necessario che tutto il movimento anarchico ne fosse informato e ne prendesse atto per riuscire in qualche modo ad aiutarlo concretamente.
Una prima idea che ci è venuta in mente sarebbe pertanto quella di riuscire a organizzare nel breve–medio periodo un qualsiasi tipo di iniziativa a sostegno di Beppe.
Mai come in questo caso sarebbe necessario muoversi rapidamente e con una certa urgenza, dimostrando coi fatti cosa può e deve essere la solidarietà tra compagni e compagne.
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Giuseppe
grazie
Pirandello luigi
la massima solidarietà a questo compagno (e agli altri) ennesima vittima della violenza di questo stato criminale e assassino.
maria
comunicateci quale iniziativa volete proporre grazie