L’intervento armato dell’ECOWAS in Niger questo fine settimana mi sembra dubbio.
Non credo nemmeno che Tinubu [il presidente della Nigeria, ndr] sia semplicemente uno strumento della politica occidentale, come alcuni sospettano. Al massimo, c’è una convergenza di vedute (più che di interessi) tra Abuja e le capitali occidentali.
Quando Yaya Jammeh è stato spodestato dall’esercito senegalese nel gennaio 2017, è stato un aereo del miliardario Bola Tinubu a portarlo in esilio lontano dal suo terreno di gioco.
Tinubu è desideroso di ripristinare l’immagine dell’ECOWAS, per ragioni “panafricane” come quelle dei nazionalisti africani (forse lo è a modo suo), e senza dubbio come mezzo per rilanciare il prestigio della Nigeria nel processo.
Tuttavia, ha lanciato le sue minacce prematuramente e senza prendersi il tempo di “leggere la stanza”, come dicono gli inglesi, in particolare la stanza nigerina e quella dei Paesi francofoni dell’Africa occidentale più in generale.
Di conseguenza, ora è consapevole che l’idea è sbagliata, anche se forse si sta tappando le orecchie.
A questo proposito, l’influenza di Parigi e Washington, che insistono per il completo reintegro di Bazoum, è deleteria. Il reintegro è politicamente inconcepibile, soprattutto se ripristina anche la presa del PNDS.
La realtà è davvero cambiata, certo con la forza, ma la forza non può riportarla indietro. La soluzione ideale sarebbe il ritorno a una tradizione nigerina: il putsch come parte della reinvenzione e del rinnovamento del processo politico, un riavvio di un processo ordinario che ha fallito.
Il PNDS non sarebbe escluso da un tale processo, ma verrebbe preso in considerazione a pieno titolo e non per il modo in cui ha abusato della sua posizione dominante.
Dubito che la giunta di Niamey rifiuterebbe un accordo che preveda la revoca delle sanzioni in cambio dell’attivazione di un processo politico di questo tipo, con garanzie per il Niger, magari attraverso l’intermediazione di osservatori dell’ECOWAS (in particolare i nigeriani) con sede a Niamey – il che sarebbe un modo per Tinubu di “salvare la faccia“.
C’è poi l’ossessione delle potenze occidentali per la Russia. Nonostante la russofilia degli ideologi nazionalisti, la Russia non è un fattore importante nell’equazione nigerina. Le visite di Salifou Modi [generale nigerino membro della nuova giunta, ndr] a Bamako non devono dare questa impressione.
L’idea alla base di queste visite è quella di creare le condizioni per una sicurezza collettiva con il Mali (e successivamente con il Burkina Faso), non di “wagnerizzare” il Niger. Modi stava già lavorando a questa idea all’epoca di Bazoum, e le sue visite a Bamako non significano necessariamente che fosse un pianificatore del putsch.
È troppo presto per dire esattamente come sia avvenuto il putsch, ma il fatto è che ha creato opportunità che prima non esistevano.
L’ideale sarebbe saper sfruttare razionalmente queste opportunità e abbassare la temperatura delle posizioni, non solo a Niamey e Abuja, ma anche a Parigi e Washington.
L’ideale si realizza raramente, ma l’opposto dell’ideale (sanzioni prolungate nel migliore dei casi, intervento armato nel peggiore) è troppo squallido per essere accettabile.
* Profilo di Rahmane Idrissa
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Luciano Seller
Troppi riferimenti a persone, organizzazioni e vicende che non conosciamo. Senza spiegazioni l’articolo è poco comprensibile.
Redazione Roma
L’autore è un attivista politico africano, forse siamo noi che dobbiamo cominciare a sforzarci di saperne di più. Nel resto del giornale c’è molto altro materiale sul Niger e le numerose rivolte sociali in Africa. Buon lavoro