In ordine cronologico, fu l’anno di quel ‘mistero’ della strage di Ustica, la cui matrice francese ed euroatlantica è stata definitivamente svelata dalle recenti dichiarazioni di un importante uomo politico quale è Giuliano Amato.
Fu l’anno della strage alla stazione di Bologna (85 morti e più di 200 feriti), che segnò il culmine (e la vittoria) della ‘strategia della tensione e del terrore’ scatenata nel 1969 dalle classi dominanti contro il movimento operaio, giovanile e popolare del nostro Paese.
E fu l’anno della sconfitta storica del movimento sindacale alla Fiat.
Da quel momento i rapporti di forza si modificano radicalmente a favore delle classi dominanti; la ‘grande paura’ del ’68 e del ’69 finisce; ha inizio il cosiddetto ‘riflusso’, cioè il passaggio da un’egemonia della sinistra ad un’egemonia della destra, che comincia ad affermarsi allora e, rafforzandosi sempre di più attraverso gli eventi epocali degli anni ’80 e ’90, giunge sino ai nostri giorni.
L’obiettivo delle frazioni più reazionarie delle classi dominanti era quello di spingere verso l’instaurazione di uno Stato autoritario e poliziesco per spianare la strada al padronato, limitare le stesse libertà democratiche, mantenere e rafforzare al potere i gruppi oligarchici che erano i beneficiari di quel piano eversivo della P2, che ancora oggi ispira i politicanti borghesi.
Ma la sola lettura interna non è sufficiente per capire come dietro alla ‘strategia della tensione e del terrore’ vi fosse una convergenza di interessi e obiettivi più complessa e più vasta.
Nel 1980, infatti, la superpotenza americana era impegnata in un’offensiva strategica per vincere la “guerra fredda” e imporre la sua incontrastata egemonia mondiale.
Sempre in quell’‘annus mirabilis’ quanto nefasto si diffondeva nel mondo il neoliberismo; veniva eletto un papa anticomunista, il polacco Karol Wojtyla, al fine di destabilizzare il blocco dei ‘paesi socialisti’; l’instabilità internazionale e l’escalation militare vedevano poi un ulteriore aggravamento con la dislocazione – anche in Italia, punto cruciale della “guerra fredda” – degli euromissili americani puntati contro un’Unione Sovietica che a livello internazionale interveniva militarmente nella guerra afghana e a livello interno viveva un periodo di stagnazione economica.
Sennonché l’impegno italiano sugli euromissili era incerto e il consenso politico fragile. Gli Usa temevano che gli euromissili sarebbero divenuti merce di scambio nei negoziati interni ai partiti italiani per la formazione di un nuovo governo, la cui costituzione era fortemente condizionata dall’ascesa politica di Bettino Craxi, una forte personalità che avrebbe impresso la sua impronta sul decennio seguente.
Si era inoltre in un momento in cui la diplomazia italiana ed europea, allo scopo di perseguire i propri interessi durante la seconda crisi petrolifera (1979), invitava al dialogo euro-arabo sui problemi energetici e si mostrava favorevole alla causa palestinese. Basti pensare che nella dichiarazione di Venezia del Consiglio europeo del 13 giugno 1980 fu riconosciuto per la prima volta il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi.
Tali scelte politiche non erano tollerate né dagli USA, che attaccarono la dichiarazione, né da Israele, che reagì proclamando Gerusalemme capitale “eterna e indivisibile” dello Stato di Israele.
Fu così che il 27 giugno 1980 avvenne la strage di Ustica. Un DC9 dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo fu abbattuto, lungo un’aerovia dove vi era un intenso traffico militare, da caccia della NATO impegnati in un’operazione contro un “paese ostile” (la Libia di Gheddafi).
Gli 81 morti che costò tale abbattimento, dovuto ad un missile sparato da un caccia francese, furono considerati come il “danno collaterale” di un’azione di guerra non dichiarata nel Mediterraneo, regione dove si scaricavano le tensioni internazionali.
Una strage nascosta dallo Stato italiano per decenni dietro un cinico muro di gomma e sempre ignorata dallo Stato francese: un muro di gomma e di omertà, che ora è stato finalmente intaccato, anche se richiedere le scuse al governo del vicino Paese, un atto simbolico peraltro dovuto, non basterà mai a lenire l’immenso dolore delle famiglie di quei morti innocenti.
In questo scenario si collocano la strage di Bologna e il silenzio assordante del governo francese sull’abbattimento dell’aereo civile ad Ustica, che possono essere letti come un terribile avvertimento e un feroce condizionamento volti a stroncare qualsiasi politica contrastante con gli interessi atlantici e a ribadire il principale “vincolo esterno” del nostro paese.
Tutto ciò è avvenuto anche a costo di un conflitto tra forze e apparati della borghesia italiana, la quale, ad ogni modo, ha sempre seppellito sotto la “doppia lealtà” (prioritaria quella alla Nato e puramente retorica quella all’Italia) l’individuazione dei mandanti e dei moventi delle stragi, gettando nel fango la bandiera dell’indipendenza e della sovranità popolare.
Quella bandiera della dignità e del riscatto che non sembra intenzionato ad impugnare neppure il governo formalmente più “sovranista” che abbia retto questo Paese in un dopoguerra che, forte dei gravami dell’asservimento imposto dalla superpotenza e dello sfruttamento imposto dalla borghesia italiana ed europea, attualmente mediato dai rappresentati politici ad esse organici (FdI, Lega, FI e Pd), dura ormai da quasi ottant’anni.
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