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Il giorno più difficile per chiedere la pace

Ieri, 17 febbraio 2024, può essere considerato come il giorno più difficile per chiedere la pace rispetto ai due fronti, quello russo – ucraino e quello israeliano – palestinese, sui quali è maggiormente appuntata l’attenzione internazionale.

Ciò che è accaduto di drammatico in queste ore rende più evidente e pressante la linea dell’andare fino in fondo, della sublimazione della logica del nemico da abbattere, dell’estraneo da espellere definitivamente.

Eppure dobbiamo insistere anche se il movimento per la pace trova sempre più difficoltà ad esprimersi e – almeno in Italia – si levano voci che vengono represse anche per via poliziesca (come accade nelle giustamente deprecate autocrazie assassine).

Per rispondere adeguatamente si tratta allora di non scivolare verso quelle teorie “realiste” che affermano come la politica internazionale è condannata a ripetersi senza evoluzione: un mondo tragico segnato dall’inevitabilità della guerra e dell’impunità, dove – come scriveva Tucidide – il forte (la grande potenza) fa ciò che vuole e il debole (il piccolo stato, oppure l’etnia privata anche dello “status” statuale) soffre quello che deve.

Partiamo allora dal riaffacciarsi delle politiche di potenza in un mondo con molte aspiranti potenze regionali che rivaleggiano lungo le periferie del pianeta mentre ambiscono a ritagliarsi sfere di influenza commerciale e militare.

Vale la pena allora interrogarsi circa il ruolo degli imperi, o quanto meno dei retaggi e delle gerarchie imperiali, nonché della resistenza ai medesimi.

Nell’evidente tentativo in atto di costruzione di un nuovo fronteggiamento bipolare quanto vale, ad esempio, avere la Turchia nella NATO o l’Arabia Saudita nei BRICS?

In passato era emersa la teoria della stabilità egemonica: secondo questa prospettiva, caduto il muro di Berlino, gli USA hanno perseguito una sfera di influenza globale chiamata “ordine liberale mondiale“, segnato da istanze di governance globale.

Ma questo ordine è progressivamente entrato in crisi su diversi fronti: in questo ambito la Russia ha ripreso a definire proprie ambizioni imperiali e Israele ha risposto all’attacco del 7 ottobre cogliendo l’occasione per una reazione/aggressione che non si è posta il limite del rapporto storico con l’alleato americano.

Questo stato di cose pone una serie di difficoltà teoriche inedite. E’ dunque necessario stabilire (o ri-stabilire) un equilibrio tra sfere d’influenza domandandosi nel contempo: a questo si riduce l’ipotesi della pace oggi? Alla richiesta di una pace che sarebbe una tregua più o meno illusoria?

Accettare la premessa del riconoscimento delle sfere d’influenza significa accettare che una grande potenza può fare quello che vuole dentro la porzione che gli è stata attribuita: a partire dal fare o dal disfare regimi politici (dal Cile alla Cecoslovacchia), vincolando o espiantando la democrazia.

Il rifiuto di questa logica potrebbe rappresentare il punto di identità per una ripresa dell’Unione Europea al di fuori delle secche del monetarismo e della reciprocità di riconoscimento dei nazionalismi?

Battersi per la pace deve significare oggi come oggi cercare soluzioni mettendo a confronto una teoria della pace come soluzione politica all’ipotesi della guerra, considerata inevitabile nella concezione di Von Clausewitz.

Si pongono così due temi sui quali si dovrebbe ragionare, almeno dalle nostre parti, per avanzare una proposta concreta di politica estera: il ruolo dell’ONU come organismo sovranazionale e non soltanto come sede di confronto delle rappresentanze nazionali e quello dell’Unione Europea ponendo con chiarezza il punto della non coincidenza tra UE e NATO.

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2 Commenti


  • Vannini Andrea

    per i comunisti, mai come ora, si tratta di battersi per la fine della nato e della ue. la bandiera della liberazione nazionale e sociale é sempre stata quella dei comunisti.


  • Lollo

    A mio avviso non si tratta di un problema solo comunista. Ma qualsiasi cittadino di qualunque credo politico, se tiene a vivere in pace coi popoli in una nazione neutrale e pacifista, deve combattere associazioni imperialiste come Nato ed UE. Pacifista non vuol dire smilitarizzata. Vedi la Svizzera. Tutta la popolazione svizzera è addestrata alla vita militare e sa usare armi all’ occorrenza. Ma non sì vende, ne si fa comandare da nessuno.

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