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Il 1 giugno primo passaggio della costruzione dell’opposizione politico-sociale al governo Meloni

Un corteo di almeno 10 mila persone contro il governo Meloni ha attraversato le strade e le piazze della Capitale partendo da Piazza Vittoria e giungendo a Porta Pia. È stato un primo importante passaggio di coagulo a livello nazionale di un’opposizione politica e sociale contro l’attuale esecutivo, la sua politica bellicista filo-atlantista, le sue scelte economiche in direzione dell’austerità, il suo portato razzista e i suoi attacchi ai diritti civili, in particolare contro le donne.

È stato un momento di sintesi politica avanzata, reso possibile da una costruzione territoriale capillare da parte degli organizzatori e con un notevole sforzo logistico che ha reso possibile giungere a Roma dal Nord e dal Sud dell’Italia con bus, treni e auto.

La mobilitazione del Primo Giugno afferma altresì un metodo importante del fare politica nel nostro paese in maniera unitaria, con passaggi condivisi sin dalla costruzione dell’assemblea del 20 aprile al cinema L’Aquila a Roma, in cui questa manifestazione è stata ufficialmente lanciata con la costituzione del comitato promotore. Un comitato promotore che ha reso possibile il lavoro “pancia a terra” delle settimane successive, fatto di assemblee territoriali, volantinaggi, “attacchinaggi” ed iniziative di agitazione e propaganda.

Siamo sicuri che l’impegnativo lavoro di costruzione della sinistra di classe parta necessariamente proprio da questo lavoro che coniughi l’identificazione del nemico con un lavoro di radicamento al di fuori, e per certi versi contro, la costituzione del “campo largo” a trazione PD-M5S.

La manifestazione ha infatti dimostrato che non è solo necessario, ma è anche possibile per la sinistra radicale occupare uno spazio politico che non sia l’essere l’appendice e la stampella del centro-sinistra, dando protagonismo a tutti quei settori di classe che testimoniano una certa vivacità sociale. Una vivacità che incomincia ad erodere la passività e la letargia di questi anni e che ha come motore principale il sindacalismo conflittuale dell’Unione Sindacale di Base.

Certamente, le mobilitazioni a fianco del popolo palestinese sono state da questo autunno un vettore importante per questa parziale inversione di tendenza e un ulteriore terreno di politicizzazione per fasce importanti di giovani che hanno risposto positivamente all’appello a manifestare a Roma dentro una cornice tutta “politica” e non solo solidaristica. Un risultato che sarebbe stato impossibile senza il lavoro di organizzazioni giovanili (Cambiare Rotta ed OSA) e collettivi universitari (CAU) che sono stati i vettori di questo rinnovato protagonismo giovanile dentro questo contesto.

Altre due considerazioni sono doverose. La prima è legata al fatto che sono gli ambiti come quello della costruzione della manifestazione in cui è possibile un confronto fruttuoso tra le soggettività comuniste e le esperienze reali di movimento con un obiettivo comune praticabile attraverso il lavoro di massa, che permette una proiezione sul piano politico impossibile altrimenti da realizzare “ognun per sé”.

La seconda è legata alla costruzione di un’ipotesi di rappresentazione politica delle classi subalterne di cui Potere al Popolo si conferma essere il perno imprescindibile ed il punto più avanzato, in grado di affermare una propria agenda politica indipendentemente dalla mancata presenza nella congiuntura elettorale europea.

Come Rete dei Comunisti siamo più che soddisfatti del risultato politico ottenuto grazie alla manifestazione nazionale del Primo Giugno, a cui abbiamo lavorato con costanza, determinazione e passione, senza risparmio di risorse ed energie. Un passo in avanti che ci permetterà, ne siamo certi, di fare ulteriori passi in direzione della costruzione di un’opposizione politica e sociale al governo Meloni.

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5 Commenti


  • Felice Di Maro

    Premesso che i telegiornali hanno ignorato la manifestazione anche perché 10mila manifestanti che fanno un corteo contro il governo non fanno notizia e ignorare ciò, secondo me, è sbagliato ma è ordinario purtroppo per i media nel loro complesso s’intende. I media si dicono che sono osservatori dei fenomeni sociale ma per loro in Italia nessuno è contro il governo e che lo manifesta pubblicamente
    La sinistra di classe, sempre secondo me s’intende, va definita e chiarito bene che cosa è perché al momento si confonde con la sinistra genericamente intesa che è anche a volte anticomunista la quale è parte del centrosinistra e del Campo largo che è ben diviso ma si compone e scompone a seconda che lo decidano Pd e M5S. Sappiamo bene che la diaspora comunista non è mai stata così articolata e anche così alta e dinamica come lo è in questa fase ma i comunisti comunque sono un riferimento contro una destra asfissiante che sta cambiando la Costituzione. Servono però strumenti di partecipazione e anche di coinvolgimento. Per la manifestazione ci voleva una diretta come riferimento per non proprio quei pochissimi che per varie ragioni non hanno potuto partecipare.
    Le nuove tecnologie di comunicazione potrebbero contribuire, come dire a favorire l’aggregazione di forze che non sono e non vogliono essere di destra. Ognuno per se è la linea di oggi, ma la destra governa e continuerà a farlo se non viene contrastata da un blocco sociale complessivo ma che abbia al suo interno presenze significative di comunisti.


  • Felice Di Maro

    A saperlo.


  • Pino Bertoldo

    “La seconda è legata alla costruzione di un’ipotesi di rappresentazione politica delle classi subalterne di cui Potere al Popolo si conferma essere il perno imprescindibile ed il punto più avanzato…”
    Da quest’affermazione (perentoria e chiara) sorgono un paio di domande:
    1. La “questione comunista” è quindi oggi leggibile e spendibile soltanto dentro il “contenitore” PaP che comunista non è nè aspira ad esserlo?
    2. Se sì, la presenza della RdC dentro un “contenitore” più grande va intesa in senso strategico o in senso tattico/congiunturale?
    E una domandina fuori posto ( e fuori dai denti…), ma a voi della Rete dell’unità dei comunisti, non quelli già organizzati in micro-entità residuali e testimoniali ma i tantissimi della “diaspora” , importa davvero qualcosa o lo considerate tempo sprecato?
    (Scusate il tono, ma tra compagni è bene capirsi anche attraverso una schiettezza un po’ rude)


    • Redazione Contropiano

      Schiettezza per schiettezza… Le unità vere non si fanno a tavolino (o non solo, o non tanto), ma in un processo di lavoro politico con qualche effetto pratico (ovviamente sempre insufficiente alla bisogna, di questi tempi). Di convocare riunioni o conferenze tra sordi, in effetti, non si vede l’utilità… I comunisti della diaspora troppo spesso sono diventati dei “borbottoni” con troppe cicatrici del passato che hanno rinunciato a qualsiasi intervento sociale, sindacale, insomma tra la classe. Con quelli che hanno ancora voglia di battersi se ne può discutere

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