Menu

Due stati per due popoli?

I governi occidentali continuano a proporre ogni volta la “formula”, due stati per due popoli, per risolvere il conflitto in Medio Oriente.

Anche il governo italiano e la pseudo opposizione in parlamento ripete come un “mantra” questa formula, chi dichiarandosi solidali con lo Stato genocida sionista, chi dichiarandosi vicini al popolo palestinese, ma vivaddio, non con Hamas, il male per loro.

Esplicitamente affermo che la formula “due stati per due popoli” è una proposta truffa, forse aveva qualche speranza ai tempi di Camp David, ma l’assassinio di Ytzach Rabin e svariati anni dopo di Arafat (non è stata una morte naturale) ha svelato l’obiettivo vero e ultimo dei sionisti: colonizzare tutta la Palestina mandataria e sicuramente in seguito anche un bel pezzo di Medio Oriente (dal Nilo all’Eufrate è un loro slogan).

Per chi non volesse capire le intenzioni dei sionisti, ci pensa il loro parlamento a ribadire che uno Stato palestinese non può esistere perché altrimenti minaccerebbe quello loro.

Più chiari di così!

Se la formula diplomatica è fasulla e non porta da nessuna parte, allora cosa si dovrebbe fare?

Proporre altre forme di partizione o di coesistenza, allo stato attuale, sarebbero solo esercizi retorici, perché il problema che impedisce ogni accordo di pace sono i sionisti, che la pace proprio non la vogliono, solo gli ipocriti atlantisti non lo vedono e ipocritamente (perché lo sanno quanto sono criminali i sionisti) difendono lo Stato sionista, ma il padrone yankee che li protegge non si mette in discussione, mai, anche quando ti distrugge il North-stream.

Per la pace in Medio Oriente è necessaria una pre-condizione insostituibile, pena non cavare un ragno dal buco: la sconfitta totale e assoluta del partito sionista.

Quando parlo del partito sionista non mi riferisco unicamente al Likud o alla destra messianica e colonialista, ma intendo anche tutto il quadro politico che è all’opposizione, compresi i laburisti, tutti complici nel aver costruito uno Stato razzista, colonialista, di apartheid, terrorista e ora anche genocida.

E’ perciò necessario operare perché lo Stato sionista collassi come fu per il Sudafrica, bianco, boero e razzista, isolato da tutto il mondo civile (ma sostenuto e collaborante con lo Stato sionista e in maniera ipocrita dagli USA).

Lo Stato sionista ogni volta dimostra un bullismo assoluto per cui ogni legalità internazionale è da lui rifiutata, quindi proporre l’espulsione di quello Stato dall’ONU è legittimo ma solo un primo passo.

Il BDS deve diventare il cardine di ogni azione a supporto di un’azione di pace e di protezione dei palestinesi: bloccare i traffici economici, commerciali, turistici, impedire collaborazioni, vendita di armi, insomma rendere la vita penosa nello Stato sionista.

Il BDS non deve essere un’azione individuale, come per quegli ecologisti che sperano di salvare il Mondo con quello che fanno a partire da loro stessi: il BDS deve avere un carattere principalmente politico.

L’azione degli Houti dello Yemen è legittima proprio perché assolve al compito di isolare lo Stato sionista.

I governi occidentali, yankee in testa, si rifiutano al BDS (che però applicano a quegli Stati che ritengono nemici) affermando che lo Stato sionista è legittimo, ma noi dobbiamo smontare questa visione ricordando senza sosta come invece sia razzista come lo fu il Sudafrica boero e in più terrorista e genocida.

Esiste un pericolo, ogni volta rimosso, che il possesso dell’arma atomica sia in mano a uno Stato che ogni volta si conferma terrorista, quindi fuori dal consesso civile e quindi una minaccia per tutto il mondo.

E’ necessario di conseguenza contestare i sostenitori sionisti da noi, esplorando tutti gli ambiti e ambienti, e quindi smascherare quelle forze politiche pseudo di sinistra che il BDS non vogliono farlo o proporlo solo come “facciata” da spendere pubblicamente: l’interruzione dei rapporti diplomatici con lo Stato sionista con l’Italia è primario, perché da quello dipendono tutti i rapporti civili e militari e per questo dobbiamo chiedere di impegnarsi pubblicamente.

Bisogna ricordare sempre in Italia che avere messo in mano ai sionisti la nostra sicurezza digitale significa essere ricattati ed esposti a futuri attentati contro gli italiani se a loro, per qualche nostra azione o presa di posizione, risulta conflittuale, e ci vuole poco visto la facilità con cui accusano tutti di “antisemitismo”.

Solo dopo il collasso dello Stato sionista sarà possibile (e necessario) capire quale forma di coesistenza pacifica necessita la Palestina mandataria e le popolazioni che ci vivono

 * Collettivo Palestina Roma-Trullo

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

4 Commenti


  • Pasquale

    Non si fermeranno fino all’ultimo palestinese. I sionisti non riconosceranno mai uno stato di Palestina. Loro non vogliono la pace. Per loro, che pensano di essere davvero gli eletti, esiste solo lo stato ‘terrorista’ di Israele. L’intero occidente porterà per sempre il peso di un genocidio perpetrato in nome di ‘false democrazie’ che si reggono sulla negazione dei diritti universali.


  • Pina

    👏👏👏👏👏👏👏


  • Andrea vannini

    giustissimo, come sempre, ciò che scrive il bravissimo Paolo De Prai.


  • Gianni Sartori

    DALLE CARCERI ISRAELIANE ALLA STRISCIA, LE CONDIZIONI DI VITA DEI PALESTINESI SONO OLTRE L’UMANAMENTE SOPPORTABILE
    Gianni Sartori (18 0tt0bre 2024)
    Ancora in gennaio i prigionieri palestinesi lanciavano l’allarme sul rischio non certo ipotetico della propagazione di malattie, infezioni, contagi e di vere e proprie epidemie all’interno delle carceri israeliane. Tra le più diffuse quelle della pelle (scabbia, rogna…). Una conseguenza delle procedure, definite “autentici abusi” nel comunicato, applicate sistematicamente dall’amministrazione penitenziaria.
    Tra cui il sovraffollamento (mediamente oltre una decine di reclusi, almeno quattro in più, per cella), scarsa disponibilità d’acqua, riduzione al minimo delle docce (con effetti drammatici sull’igiene), l’isolamento, la privazione del movimento…
    Tenendo presente che se prima del 7 ottobre 2023 i detenuti palestinesi erano circa 5250, dopo quella data già in dicembre erano approssimativamente attorno a 8800. Misure repressive ulteriormente esasperate dall’utilizzo della tortura che provoca ferite, curate malamente, sui prigionieri con conseguenti infezioni. Con il conseguente degrado dello stato di salute dei detenuti. A questo andrebbero aggiunte la “politica della fame” adottata dall’amministrazione carceraria e la penuria di vestiti (in gran parte sequestrati dopo il 7 ottobre). Con i detenuti costretti a indossare gli abiti ancora bagnati dopo averli lavati (anche nel periodo invernale).
    Con effetti deleteri che si sono via via accumulati nel tempo, aggravandosi con i continui arresti di migliaia di persone. Sempre secondo i prigionieri palestinesi, sarebbero in aumento anche quelli che definiscono “crimini medici”. Intesi come deliberati atti che vanno ben oltre la “normale” negligenza più o meno intenzionale. Atti che sarebbero all’origine dell’incremento della mortalità tra i prigionieri registrata negli ultimi anni.
    Quanto alle vittime accertate della tortura (sempre stando al comunicato), sono aumentate dopo il 7 ottobre. Ancora in gennaio erano almeno sette quelli deceduti.
    E intanto a Gaza le cose andavano e vanno sempre peggio. Nell’agosto di quest’anno il Consiglio di sicurezza si interrogava sui primi casi di poliomelite (da 25 anni a questa parte) registrati nella Striscia.
    Malattia che notoriamente si trasmette per contagio (per via oro-fecale, con l’ingestione di acqua o cibo contaminati, saliva, per le goccioline prodotte da colpi di tosse e starnuti).
    Dato che l’essere umano costituisce l’unico (o almeno il principale) “serbatoio naturale”, appare evidente quale fosse il livello di rischio di una diffusione su larga scala in una situazione di totale degrado ambientale (v. la contaminazione dell’acqua a causa dei bombardamenti che distruggono la rete fognaria). Dato che non sempre la persona infetta sviluppa sintomi evidenti (come la paralisi), è chiaro che la “catena di trasmissione”, in mancanza di misure igieniche adeguate, andrebbe allargandosi in maniera esponenziale. Con l’agghiacciante particolare che a esserne colpiti sono soprattutto bambini di età inferiore ai cinque anni.
    In agosto, la richiesta di convocazione del Consiglio di sicurezza era partita dalla Svizzera, preoccupata perché “le condizioni di sicurezza sul terreno” non avrebbero consentito alle organizzazioni umanitarie di compiere adeguatamente la loro missione, necessaria anche in assenza di un “cessate-il-fuoco”. E questo per il delegato svizzero sarebbe “semplicemente inaccettabile mentre la situazione umanitaria va aggravandosi di giorno in giorno”. Alla Svizzera si associavano altri membri del Consiglio (come la Francia) soprattutto sulla richiesta “non negoziabile” di una campagna di vaccinazione contro la poliomelite.
    Sorvolando sul “pronto intervento” (le vaccinazioni) generosamente consentito dalle autorità israeliane. Non credo si sia trattato di spirito umanitario (altrimenti avrebbero smesso di bombardare ospedali e tendopoli), ma di evitare che l’epidemia si diffondesse anche in Israele.
    Da parte della Federazione Russa si sottolineava come non fosse possibile obbligare gli operatori umanitari a intervenire in situazioni di tale ostilità (anche nei loro stessi confronti, vedi il caso dei veicoli del Programma Alimentare Mondiale). Per cui rilanciava la richiesta di un cessate-il-fuoco. Così la Slovenia (a cui si allineava la Gran Bretagna) che richiedeva alle parti belligeranti la trasparenza e il rispetto delle regole d’ingaggio nei confronti del personale onusiano.
    Mentre gli Stati Uniti ridimensionavano l’incidente del 27 agosto (quando una squadra del PAM era finita sotto il fuoco di un check point israeliano nei pressi del ponte di Wadi Gaza) definendolo frutto di “un errore di comunicazione tra i membri dell’esercito israeliano”. Pur augurandosi che simili episodi non si ripetessero.
    Con ben maggiore aderenza alla realtà dei fatti, il delegato algerino aveva dichiarato che “l’evacuazione forzata della popolazione e la morte di 297 operatori umanitari a Gaza costituiscono nient’altro che dei crimini di guerra”. Quanto alla coordinatrice degli interventi onusiani a Gaza, esprimeva profonda indignazione per “la moltiplicazione degli ordini di evacuazione emessi dall’esercito israeliano con conseguenze devastanti sia per i civili che per il personale sanitario”. Ordini di evacuazione che avevano colpito circa il 90% degli abitanti della Striscia costretti a vivere stipati su qualcosa come l’11% del territorio di Gaza. Aggiungendo che “i civili hanno fame, sono malati, senza riparo. In condizioni ben al di là di quanto un essere umano possa sopportare”. Questo in agosto. E da allora le cose sono andate soltanto peggiorando.
    Tornando alla questione dei prigionieri, il 15 ottobre sono stati liberati una quindicina di detenuti palestinesi. Tra loro un caso emblematico, quello del quindicenne Eyad Ashraf Ed’eis (originario del campo profughi di Shu’fat ). Dopo aver trascorso in prigione sette mesi, è andato agli arresti domiciliari (ma in ospedale, non al domicilio della famiglia) con braccialetto elettronico. Motivo della sua scarcerazione, la scabbia. La stessa che si va diffondendo a a macchia d’olio tra i palestinesi rinchiusi in varie carceri israeliane. Per la Società dei prigionieri palestinesi, la maggioranza soffre di malattie croniche e complicazioni varie. Inoltre esprime il fondato sospetto che l’amministrazione penitenziaria utilizzi la scabbia come ulteriore misura di controllo e maltrattamento nei confronti dei prigionieri. Dando prova quanto meno di negligenza in materia di cure mediche. Per cui sui loro corpi i segni della negligenza, oltre a quelli della tortura e della fame, sono sempre più evidenti, incisi. Come ha confermato in questi giorni un avvocato dopo la visita al carcere di Gilboa “i detenuti vivono in condizioni tragiche, immersi in una realtà dolorosa a causa delle politiche fasciste e razziste adottate dall’amministrazione penitenziaria israeliana. Tra i metodi adottati, le percosse, gli insulti, le irruzioni nelle celle e nelle sezioni. Il cibo fornito risulta mediocre sia in qauantità che in qualità. Vi è una grave penuria di abbigliamento e di coperte e tutto sta a indicare che le condizione meteorologiche, con l’arrivo dell’inverno, non vengono prese in considerazione. Le malattie della pelle si propagano, i prodotti per la pulizia e la disinfestazione sono assenti, si mantiene la politica di isolamento dal mondo esterno così come le restrizioni e le difficoltà alla comunicazione tra le celle e le sezioni”.
    Gianni Sartori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *