La vicenda della dottoressa e della infermiera, e del loro video in cui invitavano a boicottare l’azienda israeliana TEVA ha destato molto rumore, e non sono mancate inesattezze, strumentalizzazioni e tentativi pretestuosi di invalidare una campagna che, partita dall’Italia, ha ormai assunto carattere internazionale: fosse proprio questo il problema?
Si potrebbe discutere della postura etica di un Paese che si scandalizza per un video di sensibilizzazione e di denuncia più che per i video e le immagini che arrivano da Gaza, e che richiamano alla memoria un passato che nulla ha insegnato.
Si potrebbe discutere anche della postura etica di media che parlano nientemeno che di video-choc, e di politici che si appellano nientemeno che al decoro del camice, chiedendoci se codesto decoro si perda nel denunciare la uccisione sistematica di medici e paramedici, assieme alla distruzione mirata di ogni ospedale e presidio medico, fino alla negazione di medicinali e apparecchiature, financo delle incubatrici per bambini oppure se sia macchiato dal silenzio assordante dietro cui i vari Ordini si nascondo da ventidue mesi.
Preme sottolineare alcune questioni.
IL VIDEO (NON) DI SCUSE
Al video di sensibilizzazione se ne è aggiunto un secondo di spiegazione, reso necessario dal clima di intimidazione di politici e dalla usuale macchina del fango mediatica: in esso si chiarisce l’ ovvio, ovvero un gesto simbolico, che le scatole non sono state effettivamente buttate se nonnel tempo necessario alla ripresa, realizzata fuori orario di servizio: questo a tacitare chi si scandalizzava per una scatola di salviette e integratori parlando di sottrazione di farmaci e chi scopriva unrispetto per il cartellino più che svizzero e sorprendente in questo Paese. A differenza di quello che vari cronisti hanno provato a dire e titolare, le due non si sono scusate per il gesto, ma soprattutto per tutelarsi da chi, era evidente, era disposto a ogni pretesto per montare un caso.
Fa piacere constatare, dalle reazioni delle persone e dai commenti, che il gesto è stato in larghissima parte applaudito, condiviso, perfettamente compreso nelle sue limpide intenzioni: segno di una cresciuta
sensibilità sui crimini israeliani in Palestina e del lavoro credibile portato avanti dalla campagna.
LA CAMPAGNA TEVA? NO,GRAZIE non nasce dalla iniziativa coraggiosa del sindaco di Sesto Fiorentino, come qualcuno ha erroneamente scritto, ma è partita oltre un anno fa da BDS Italia, assieme ai Sanitari per Gaza. Conta ora partner in Francia, Gran Bretagna, Germania, USA e Canada. Si rivolge ovviamente al singolo cittadino, per un principio di consumo etico e scelta consapevole, ma anche a medici, farmacisti, associazioni di pazienti, presidi solidali, affinché smettano di prescrivere, laddove possibile– di fatto pressoché sempre- farmaci legati a TEVA e alle sue consorziate Dorom, Ratiopharm e Cephalon.
Il passo successivo è ovviamente nella direzione di Sesto Fiorentino, ovvero la richiesta agli enti territoriali- Comuni, Regioni- affinché interrompano le forniture #TEVA.
In un’ottica più ampia e oltre Israele, pretendiamo appalti etici e gare che escludano aziende complici nella violazione dei diritti umani, o che da questi traggano profitto. In questo senso si sono mossi, ad esempio, il comune di Napolie il comune di Bologna.
PERCHE’ TEVA.
Teva non è oggetto di una campagna di boicottaggio internazionale in quanto israeliana- il boicottaggio valuta la complicità, non la appartenenza, si potrebbe schematicamente sintetizzare. TEVA è oggetto di boicottaggio perché trae profitti illeciti dal mercato vincolato imposto da un sistema di occupazione che larende monopolista, esattamente mentre soffoca ogni possibilità di sviluppo e di autodeterminazione da parte palestinese, che sia una farmaceutica propria o altro. È inoltre attivamente coinvolta nella mattanza in corso a Gaza con forniture e con incessanti campagne di immagine a favore dell’ esercito e di Israele. Né si limita alla Palestina un profilo etico a dir poco discutibile, essendo stata multato dalla UE per 462 milioni di euro per concorrenza sleale e forme di abuso di posizione dominante.
IL BOICOTTAGGIO E LA SALUTE
Sapendo di toccare un tasto sensibile nelle corde degli italiani, si è provato a dire che il boicottaggio comprometta il diritto alle cure e l’ accesso al farmaco di medicinali indispensabili e non sostituibili. Nulla di più falso, anzitutto perché TEVA stessa trova il suo core business nel generico, dunque è già e per definizione un sostituto. E per un limitatissimo range di farmaci non boicottabili, le farmacie sono tenute a rendere disponibile il farmaco richiesto, decidendo in autonomia per il resto di quelli perfettamente sostituibili.
ECCELLENZA E POSTI DLAVORO SONO NON-MOTIVI
Un’altro pseudo-argomento vorrebbe TEVA eccellenza in campo medico, leader di Ricerca e di progresso: posto che sia vero, e non collocabile nel solco della decennale campagna di immagine di Israele, anche il Terzo Reich era leader nella fisica teorica e nucleare: questa presunta superiorità, ora scientifica, ora tecnologica, ora militare, ora culturale, legittima forse un genocidio? Questa è- nuovamente e sempre- postura coloniale di chi, arrogandosi un (molto dubbio) primato di civiltà, pensa di farne un lasciapassare alla pulizia etnica e all’ arbitrio: si chiama techwashing.
Tutti i colonialismi, tutti i genocidi hanno narrazioni suprematiste simili. Quanto agli stabilimenti TEVA in Italia, e alle persone cui darebbero lavoro, davvero in nome del lavoro si può abdicare a ogni principio etico, venire a patti con ogni complicità? E poi davvero sarebbe necessario, o è solo, di nuovo, uno pseudo-argomento per toccare tasti sensibili? La stessa questione si poneva, per esempio, con la campagna contro Carrefour, ora invia di felice chiusura in quanto, come forse noto, Carrefour lascerà l’ Italia: questo non significa ovviamente che lo spazio da loro lasciato non venga riempito da altre aziende, si spera con un profilo etico migliore, che possano riassorbire i dipendenti ex Carrefour. È in fondo un modo di pressione per selezionare e premiare aziende e realtà più sostenibili dal punto di vista dei diritti. In questo senso, la campagna per la Palestina traccia lavia per altre forme di responsabilizzazione civica.
LA CAMPAGNAPROSEGUE
La campagna non solo prosegue, ma beneficia dellapubblicità che chi voleva denigrare il gesto, peraltro senza riuscirvi, ha prodotto. I commenti delle persone sui social, anche di fronte ai titoli più beceri, sono stati positivi e incoraggianti, segno di una opinione pubblica che, nonostante il vergognoso appiattimento dei media su Israele, attinge ad altri canali informativi e si rende conto, o comunque percepisce, con più o meno consapevolezza, il livello di censura e faziosità dei media mainstream italiani, che non hanno mai cessato di essere “scorta mediatica del genocidio” Resta la amarezza per delle risposte, anche istituzionali, che non vanno nell’ ordine della agibilità democratica, della liceità del dissenso, soprattutto quando contro un orrore che, a detta di tutti gli esperti, non ha precedenti negli ultimi decenni.
Minacce di licenziamento, di misure disciplinari, di aver offeso il camice e tutto l’usuale tritacarne mediatico, in fin dei conti per cosa? Un gesto assolutamente e senza riserve encomiabile. È il silenzio che offende, e di fronte a una situazione di una tale enormità e di un tale orrore, richiamare a questioni come la netiquette, l’ immagine aziendale, la sobrietà, o lo spreco economico, è rivelatore di tempi bui. Non solo per la Palestina.
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Petrillo Angelina
Ho esercitato la libertà di scelta e per ragioni etiche, morali e umanitarie non ho acquistato farmaci Teva.