Per un compagno vintage, come il sottoscritto, la scomparsa di Franco Piperno è l’occasione per ripensare, con l’evidente carico emozionale che un lutto comporta, ai decenni alle nostre spalle e ai vari intrecci umani, culturali e politici che hanno caratterizzato una epoca che resta una pietra miliare del Novecento ed oltre.
Purtroppo i tempi della biologia stanno assottigliando i protagonisti di una formidabile stagione politica la quale resta costantemente sotto il fuoco di una narrazione opaca e criminalizzante la quale procede, imperterrita, nonostante i cantori del trionfo del capitalismo non perdono occasione per decantare le magnifiche virtù mirabolanti di questa formazione sociale.
Ben vengano, quindi, gli appassionanti e i bei ricordi che, in queste ore, stiamo leggendo a proposito della morte di Franco. Ognuna di queste testimonianze, di questi flash/back, di questi racconti esprime – a vario titolo – non solo un pezzo di comune immaginario collettivo o di condivisone di un passato più o meno simile. Il ricordo come gli aneddoti che si raccontano sulla vita e l’azione di Franco Piperno sono la testimonianza pratica che – parafrasando il Grande Timoniere – non tutte le morti e sono uguali e che ogni vita ha un peso diverso a seconda delle persone.
A questo polifonico omaggio voglio aggiungere alcune riflessioni ad alta voce su Piperno ma, necessariamente, su una complessa stagione politica la quale è ancora tutta da scandagliare adeguatamente per ricavarne spunti e frammenti teorici per corroborare una tensione pratica alla trasformazione – alla Rivoluzione – la quale resta il vero antidoto alla barbarie di un capitalismo sempre più parossistico ed antisociale.
Franco Piperno è stato tra i tanti che sul finire degli anni sessanta hanno imparato a conoscere la classe nei luoghi della produzione, dello sfruttamento e del conflitto. Ai cancelli di Mirafiori o nei quartieri della città che si trasformavano sotto gli effetti della modernizzazione capitalistica una generazione prendeva coscienza, si dotava di strumenti di inchiesta e d’intervento ma – soprattutto – provava e riprovava le forme dell’Organizzazione.
L’impegno nelle riviste militanti di quel periodo, la vicenda complicata di Potere Operaio fino alla fine formale del gruppo ma anche nel prosieguo, le polemiche con Negri ed altri compagni, il movimento del ’77 con il plateale azzardo di Metropoli e l’immaginifico quanto evanescente desiderio di coniugare la geometrica potenza del 12 Marzo con la terribile bellezza di Via Fani .
Insomma una vita militante vissuta di corsa, sul filo della contraddizione, sporcandosi le mani senza però perdere l’ironia, la sagacia e la provocazione sopra le righe. Uno stile che rifletteva non solo lo spirito del tempo ma anche il suo spumeggiante carattere personale e la profonda ed articolata formazione intellettuale che lo distingueva, oggettivamente, rispetto a tanti altri bravissimi compagni.
Mi piace ricordare che lo sforzo (praticamente la redazione di Metropoli e qualcun altro) di avviare una difficile trattativa per salvare la vita ad Aldo Moro offrendo, nel contempo, una sorta di status di riconoscimento politico alle Brigate Rosse fu l’unico serio tentativo per impedire la feroce militarizzazione dello scontro con i tragici epiloghi a cui si giunse successivamente. Non a caso i più feroci oppositori di quell’abortito tentativo di trattativa furono i falchi dell’Emergenza: Cossiga, Berlinguer, l’ambasciata USA, la Nato e l’intera rete Gladio ancora operante in Italia.
Franco fu – ovviamente – tirato dentro nella famigerata inchiesta del Sette Aprile contro l’Autonomia Operaia ma Calogero (o meglio Kalogero!) e i suoi apologeti non ebbero la soddisfazione di imprigionarlo.
Restano memorabili alcune trovate geniali di Franco che ridicolizzavano i presupposti della costruzione giudiziaria e la totalizzante copertura mediatica di quell’inchiesta/mostre: nelle settimane successive alla retata del Sette Aprile – in collaborazione con il giornale satirico “il Male” – Piperno, allora latitante, appariva sempre truccato da qualcosa (aviatore, carabiniere, sacerdote, capellone) e annunciava improbabili insurrezioni come se per davvero fosse lui il capo assoluto delle formazioni armate che allora agivano in Italia.
Gli anni che seguirono sono stati duri e difficili. L’esilio, la latitanza in Francia ed in Canada, il rientro in Italia, il carcere e poi il rimettersi in gioco nella vita, nel lavoro e negli affetti. Una condizione simile vissuta da tante compagne e compagni a cavallo del secolo passato.
Franco tornò a Cosenza, nel suo Sud, ai suoi studi di Fisica ma con una puntuale attenzione alle modificazioni del territorio e della società. Non fece mancare il suo spirito critico alle forme nuove di partecipazione sociale e seguì le esperienze che, di volta in volta, in Calabria e nel complesso del Meridione d’Italia si sono prodotte.
Ovviamente su alcune sue elaborazioni nutro perplessità ed alcune riserve politiche (lo spirito pubblico del Meridione oppure una particolare indulgenza verso un Pensiero Meridiano astratto dal corso vigente del modo di produzione capitalistico) ma c’è tempo e contesto adatto per discutere ed arrovellarsi su tali snodi.
Nell’ultimi anni Franco non si è mai sottratto alle discussioni, al confronto critico ed autocritico, ha conosciuto nuove generazioni di compagni ed attivisti a cui ha trasmesso saperi e metodo di lavoro. Particolarmente la sua passione per gli studi astrali era diventata occasione di incontro, di trasmissione di competenze dove si intrecciavano scienza, filosofia ed antropologia. Il tutto sempre con l’immancabile rigore accompagnato da quella sottile leggerezza espositiva di cui sono capaci coloro i quali conoscono veramente le questioni che trattano e che non si fermano (o che si arrendono) alla superficie.
Franco Piperno ci mancherà, questo è indubbio. Ma alcune figure umane (e sociali) restano nel tempo presente ed in quello futuro oltre il limite della singola esistenza.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
