Menu

L’artificio retorico che sorregge “decoro” e “invasione di migranti”

È interessante, non meno che deprimente, rilevare come i meccanismi cognitivi e dialettici che vengono chiamati in causa dalla questione “decoro” per le strade di Roma siano esattamente gli stessi chiamati in causa dalla oggi meno trending questione di “aiutare a casa loro” i migranti.

Chi promuove la retorica del “decoro” [laddove non promuoverla e non cavalcarla non significa certo voler vivere nell’immondizia, ma in atmosfere binarie bisogna specificarlo] non sta in realtà esprimendo alcuna empatia per chi si riduce a dormire per strada, non vorrebbe un ambiente “decoroso” che sappia suggerire l’idea che tutti abbiano un tetto sopra la testa: no, il decoro bramato è appunto una pulizia degli spazi pubblici di cui i senzatetto usufruiscono in mancanza di alternative, deturpando l’ambiente con la loro sudicia presenza.

È un desiderio di decoro puramente scenografico, atto a nascondere i drammi umani e lucidare le idiozie, basato sull’idea che la presentabilità di un luogo sia molto più importante della salute e delle condizioni di un essere umano, portatore di inquinamento visivo. Che il vestito di una città sia più importante della sua anima.

L’artificio retorico usato dai cialtroni del decoro è sempre lo stesso: “quindi sei contro il decoro, quindi non vorresti che questa gente avesse un posto in cui dormire, anziché bivaccare su una panchina?”, risuonano personaggi piccini e meno piccini, da Calenda in giù.

A quel punto l’idea che dovrebbe passare indisturbata sulla passerella dell’ignavia altrui è di quelle quasi magiche: se prendi un’area come quella davanti a stazione Tiburtina, la sgomberi dagli esseri umani che ci dormono adagiati su un cartone e lì ci fai sistemare delle “fioriere anti bivacco”, oppure metti le sbarre sulle panchine come a Treviso, o altre iniziative che assimilano gli uomini ai piccioni e ai gabbiani, non solo stai restituendo l’area al decoro ma sopratutto, ed è lì la magia, stai facendo sparire il problema dei senzatetto.

Sparire nel senso che non saranno più senzatetto, penseranno dei dolci sognatori. Sparire nel senso che te li tolgo dalla visuale e li costringo a dormire nelle fogne o spostarsi 100 metri sotto ai ponti, lontane da turisti e altri occhi sensibili, pensa chi concepisce queste porcherie (è la Raggi ma poteva essere chiunque, questa è una gara, una rincorsa a cui partecipano tutti perché il “decoro” è un concetto di agevole vendibilità).

Facciamoci caso: non c’è mai lo straccio di mezzo accenno a nessun elemento che sia concretamente tangente il tema delle politiche abitative, quando ‘sti giullari cullano la cittadinanza nel sogno del “decoro”, nella celebrazione individualista di una città che diventa sana se mette i problemi sotto al tappeto e si trucca per bene, se si mette l’eye-liner con lo zigomo rotto.

Si parla sempre e solo di spostare delle roba, di sgomberare, di ridipingere, ripulire, bloccare, costruire. Mai nessun verbo associabile agli umani.

Va da sè: quando sentite parlare di decoro ricordatevi che in realtà si parla di costringere delle persone a trovarsi un altro luogo tra quelli a cielo aperto, e non certo di maneggiare questo decoro dall’unico lato ricevibile, cioè quello di un welfare che però, se sollevato, rischierebbe di indispettire il potenziale elettore che – cresciuto in questo paese avvelenato – si chiederà perché mai si debbano trovare sistemazioni a tizio e caio che vivono sotto la stazione dopo aver attraversato mezzo continente e un mare, e non a lui italiano purosangue.

Parlare di decoro a partire dalla necessità di affrontare il tema dell’indigenza diffusa è molto meno accattivante che farlo dal lato della pulizia delle strade. E fa paura riconoscerlo e rifletterci ma è esattamente questo il problema che abbiamo: la coscienza delle persone viene chiamata in causa quando i luoghi che frequentano rivelano sporcizia ai loro occhi, ma lo è molto meno – per non dire zero – quando a questi occhi si rivela la sofferenza altrui.

Perché nel primo caso c’è qualcosa che turba la propria permanenza in un luogo; nel secondo caso non ci riguarda, basta girarsi dall’altra parte, o appunto far rimuovere gli elementi di disturbo dal campo visivo, disincentivandoli al ritorno con fioriere, spuntoni o strane impalcature. Magari anche del mangime andato a male, boh, oppure del sonnifero. Ah no scusate questa era la parte sui piccioni.

Insomma, chi vi fa quelle domande del cazzo di cui sopra non esprime alcun desiderio che le persone sgomberate stiano meglio, e d’altronde se fossero animati da questi sentimenti la notizia non dovrebbe mai essere che si “sgombera” un luogo o che si costruisce qualcosa per rendere quel luogo più “anti bivacco”; la notizia semmai dovrebbe essere “trovata una sistemazione nel palazzo Y per le persone che dormivano all’addiaccio nel luogo X; il luogo X, dove dormivano i senzatetto, verrà adibito a… ecc”.

Ma lo sappiamo bene: se dicessi una roba del genere passerebbe il messaggio di una misura a beneficio dei “barboni”, quindi di poco interesse per quasi tutti e per alcuni anche elemento di fastidio. Se invece dico che “finalmente abbiamo ripulito Y” (ma intendi anzitutto che hai cacciato 30 senzatetto da un luogo pubblico per vederli sistemati in un altro luogo pubblico, dove prima o poi si innescherà la stessa dinamica malata), avrai la gente che sbava all’idea che finalmente il disagio potrà sparire in una buca, permettendogli di sentire i gelsomini al posto della puzza di urina.

E che sia cristallino: a me il decoro fa schifo. E mi farà sempre vomitare l’idea di un decoro che eluda le politiche abitative. Per quel che mi riguarda, ci vorrebbe proprio una legge in base alla quale se decidi di sgomberare un posto dai senzatetto, poi quel posto lo puoi ripresentare al pubblico in un solo caso: fornendogli la prova che ognuna di quelle persone sgomberate, costrette a trovare un giaciglio ancora peggiore, adesso ha invece un tetto sopra la testa. Con tanto di recapiti.

In tutti gli altri casi io vorrei essere il primo in assoluto a cacarvi sulla nuova aiuola, e io sarei il primo a sostenere il diritto di chiunque non abbia alternative a sdraiarsi nudo a 4 di spade sotto alla scalinata di piazza di Spagna.

Mutatis mutandis, i migranti che attraversano il Mediterraneo, è evidente. Quando sentite i fenomeni (ahimè anche nel centro sinistra) che cavalcano la retorica dei “troppi sbarchi”, del “non possiamo accoglierli tutti”, quando li vedete assumere quella inconfondibile posa paternalista con cui vi dicono “ma aiutiamoli a casa loro, non vuoi che siano felici lì, dove hanno le loro radici?”, fate sempre tanta attenzione: dentro a tali damigiane di apparente misericordia c’è in realtà un fondo acido, perché la nozione di “aiutare a casa loro” (chi non vorrebbe vedere più solido il paese che un migrante è costretto a lasciare?) chiama in causa una dimensione che si attiva unicamente nel lungo termine, mentre quella di accogliere chiunque sia necessario accogliere è una dimensione di breve termine, che deve attivarsi adesso, altrimenti c’è chi ci rimette la vita o la salute.

Sono dimensioni che non comunicano, eppure i cialtroni fanno finta che siano connesse, interscambiabili, parte di uno stesso piano inclinato.

E invece devo accoglierti ora, perché è ora che hai bisogno, è ora il momento in cui hai deciso o sei stato indotto a lasciarti tutto alle spalle, ora è il momento in cui ti ritrovi in mare dopo aver affidato i tuoi risparmi a trafficanti, perché vieni da un continente in cui solo una manciata di paesi hanno accordi per la concessione di visti dall’Europa. Dopo è tardi.

Devo accoglierti adesso, mentre simbolicamente (o meno) lasci la tua vita e/o casa distrutta: non posso dirti di rimanere lì di fronte alle macerie, promettendoti che verrò a ricostruirtela. Tu nel frattempo un posto dove stare devi avercelo, portare avanti la tua vita che scorre sempre più veloce e allo stesso tempo più lenta, sempre uguale; altrimenti ti sto solo prendendo sadicamente per il culo.

Quindi anche qui: quando qualche sciacallo parla della diminuzione degli sbarchi come un risultato politico di cui vantarsi – con sciacalli dell’altro versante che gli si accodano e rilanciano coi meno sbarchi che assicurerebbero loro -, ricordatevi che sta semplicemente declinando la sua xenofobia, mascherandola da pretesa di controllo, da management della “sicurezza”.

Ogni volta che si parla di una diminuzione degli sbarchi bisognerebbe semmai partire dalle condizioni in cui versa ORA chi è stato costretto a rimanere sulla terra ferma in Libia e altrove, sovente alla stretta portata di centri di detenzione e tortura pagati anche coi nostri soldi a prova di decoro.

Tratterò come normodotato e munito di pudore il primo personaggio politico che troverà la decenza di non parlare mai di sbarchi (o meglio, che dica senza ambiguità che si accolgono tutti coloro che ne hanno bisogno, ovviamente riformando Dublino nel frattempo, perché in Italia non ci vuole stare nessuno) ma di cooperazione allo sviluppo – in Italia tra le più basse in Europa come quota del PiL -, di risultati ottenuti o dinamiche favorite nel luogo N e nel corso del tempo, tali da invertire in modo naturale i trend di emigrazione nel medio lungo termine (perché una casa non la ricostruisci in un giorno, mentre è nello stesso giorno che devi trovarne una a chi l’ha persa).

Non il fenomeno che fa finta di provare una qualche forma di empatia mentre butta lì un esercizio di risciacquo della coscienza, un “aiutiamoli a casa loro” (—> intanto non venire, mi faccio sentire io) inserito in modo subdolo all’interno di un discorso che flirta esplicitamente o implicitamente con la difesa della purezza etnica, o che racconta di concorrenzialità che non esistono, o che elogia dei confini con cui mai vorrebbe fare i conti a parti invertite, e che mai vorrebbe veder intralciare il percorso delle merci che ordina su Amazon da luoghi a 10mila km di distanza da dove vive.

Diminuiti gli sbarchi” equivale esattamente a “ripulita la piazzetta, ecco le fioriere”. Significa il nulla, significa che hai scelto di ingannare, di passare il cerone mentre parli a tutti della tua salute dermatologica.

Questo cialtroname bi e tri-partisan inizia a provocarmi la nausea, mi verrebbe proprio da rendervi decorosi, o perlomeno aiutarvi ad esserlo lì dove vi trovate adesso.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *