Il governo statunitense ha rivitalizzato la sua campagna per etichettare il Venezuela come un “narco-stato”, accusando i suoi vertici di traffico di droga e mettendo taglie milionarie sulle loro teste per la cattura. Questa campagna, che solo momentaneamente era passata in secondo piano, è una fabbricazione strategica, non una valutazione fattuale.
Quest’accusa, particolarmente amplificata durante l’Amministrazione Trump, è una cortina fumogena calcolata per giustificare un’agenda di lunga data: il rovesciamento del governo venezuelano e l’impadronirsi delle sue vaste risorse petrolifere e minerarie.
Un esame più attento dei fatti rivela un paese che ha attivamente combattuto il traffico di droga a modo suo e un governo statunitense con una storia chiara e coerente di destabilizzazione di paesi indipendenti in America Latina.
La lotta del Venezuela contro il traffico di droga: una realtà post-DEA
Nel 2005, un momento cruciale nella strategia anti-droga del Venezuela si verificò quando l’allora Presidente Hugo Chávez espulse la Drug Enforcement Administration (DEA) statunitense, accusando l’agenzia di spionaggio e di minare la sovranità venezuelana. Questa decisione si basava sulla convinzione di Chávez che la DEA fosse “usata come una copertura… per svolgere lavoro di intelligence in Venezuela contro questo governo“.
All’epoca, i funzionari venezuelani insistettero sul fatto che il paese avrebbe continuato a combattere il traffico di droga per conto proprio. “La DEA non è essenziale nella lotta in Venezuela contro il traffico di droga. Continueremo a lavorare con le organizzazioni internazionali contro la droga”, dichiarò Chávez.
Contrariamente alla narrazione USA secondo cui questa azione avrebbe portato a un’ondata di droga, il governo del Venezuela, attraverso il suo Ufficio Nazionale Antinarcotici (ONA) e la Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB), ha intensificato i propri sforzi antidroga.
Secondo la Superintendenza Nazionale Antidroga del Venezuela (SUNAD), il paese ha effettuato sequestri significativi di droga nel corso degli anni. Ad esempio, nel 2015, il Dipartimento di Stato USA citava l’ONA riportando il sequestro di 65,76 tonnellate metriche di droghe illegali nei primi otto mesi dell’anno, un aumento del 132% rispetto allo stesso periodo del 2014. Cocaina e marijuana costituivano la stragrande maggioranza dei sequestri. Il Venezuela ha anche cooperato con altri paesi, firmando un accordo internazionale con la Russia per combattere il traffico di droga nel 2014.
Sebbene il governo USA abbia spesso etichettato il Venezuela come un “paese di transito maggiore per la droga“, questa caratterizzazione spesso ignora le misure proattive della nazione e la sua realtà geografica. L’esteso e poroso confine del paese con la Colombia, il più grande produttore mondiale di cocaina, che ospita sette basi militari USA e tre uffici della DEA, può renderlo un punto di transito, ma ciò non è indicativo di complicità statale.
Uno studio del Tricontinental Institute for Social Research e dell’Osservatorio Lawfare ha infatti rilevato che, dopo cinque decenni di “Guerra alla Droga“, la DEA stessa ha riferito a metà del 2023 che le principali organizzazioni di traffico di droga continuano a operare a livello globale.
George Papadopoulos, Vice Amministratore Principale della DEA, ha testimoniato davanti al Congresso degli Stati Uniti che i soli cartelli di Sinaloa e Jalisco hanno “associati, facilitatori e intermediari in tutti i 50 stati degli Stati Uniti“.
Lo studio sostiene che questa interventismo continentale in materia di stupefacenti sia parte di un piano generale di dominazione politica e militare sulle Americhe, dall’Alaska a Capo Horn, compresa l’Antartide, diventato un punto cruciale di contesa globale.
Le accuse dell’amministrazione Trump: un’arma politica
L’amministrazione Trump ha elevato l’accusa di “narco-stato” a un livello senza precedenti, usandola come un’arma politica e legale diretta contro il governo venezuelano.
Nel marzo 2020, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato un incredibile atto d’accusa contro il Presidente Nicolás Maduro e altri 14 alti funzionari venezuelani, attuali ed ex, per accuse di “narcoterrorismo“, corruzione e traffico di droga.
Annunciando l’accusa, l’allora Procuratore Generale William Barr accusò Maduro e i suoi colleghi di aver cospirato con una fazione dissidente delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) per spedire tonnellate di cocaina negli Stati Uniti.
Barr dichiarò: “Per più di 20 anni, Maduro e un numero di alti colleghi avrebbero cospirato con le FARC, facendo sì che tonnellate di cocaina entrassero e devastassero le comunità americane“. Sostenne inoltre che la leadership venezuelana “aveva ottenuto il sostegno del regime Maduro, che permette loro di usare il Venezuela come un porto sicuro da cui possono continuare a condurre il loro traffico di cocaina e la loro insurrezione armata”.
Un premio per la cattura di Maduro accompagnava questa accusa, inizialmente fissato a 15 milioni di dollari e da allora aumentato a 50 milioni. Questa mossa, che ricorda la taglia su un leader terrorista, era un chiaro tentativo di delegittimare Maduro e creare una giustificazione legale per la sua rimozione dal potere. Fu un atto di straordinaria pressione politica senza precedenti per un capo di Stato in carica.
I funzionari venezuelani hanno condannato fermamente le accuse, definendole una “ridicola cortina fumogena“. Il Ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil ha definito la taglia “patetica” e una “grossolana operazione di propaganda politica“.
In un discorso televisivo, il Presidente Maduro ha giurato che il Venezuela avrebbe “difeso i nostri mari, i nostri cieli e le nostre terre“, caratterizzando la pressione USA come “la minaccia bizzarra e stravagante di un impero in declino“.
Anche il leader dell’Assemblea Nazionale venezuelana Jorge Rodríguez è intervenuto, affermando che gli USA avevano firmato una “dichiarazione che passerà alla storia delle pagine della diplomazia internazionale come una dimostrazione di infamia“.
Motivi imperialisti ed escalation militare
L’assalto legale e retorico al Venezuela non è un incidente isolato. Coincide con una chiara escalation militare. Nell’aprile 2020, durante la prima amministrazione Trump, il presidente americano annunciò un’operazione potenziata di contrasto al narcotraffico nei Caraibi, inviando navi da guerra e schierando migliaia di Marine verso le acque venezuelane.
Questa accumulazione militare, combinata con la taglia su Maduro, serviva a un duplice scopo. Primo, intimidire il governo venezuelano e segnalare una prontezza per un intervento diretto. Secondo, era progettata per distrarre dai problemi interni negli USA, in particolare dalla gestione della pandemia di COVID-19 da parte dell’amministrazione.
L’allora Ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza twittò: “Mentre la gente in Florida agonizza per la pandemia, il Pentagono calunnia il Venezuela per promuovere la rielezione di Trump e assicurare risorse per la sua macchina da guerra. Commettono un crimine contro il Venezuela e contro il loro stesso paese“.
Una nuova escalation militare arriva dopo che l’amministrazione Trump ha recentemente firmato un memorandum del Pentagono sul confronto con i cartelli della droga in America Latina, una direttiva che inquadra queste organizzazioni criminali come una minaccia alla sicurezza nazionale.
In una dimostrazione chiara e presente di questa politica, gli USA hanno dispiegato tre cacciatorpediniere lanciamissili Aegis — la USS Gravely, la USS Jason Dunham e la USS Sampson — nelle acque al largo del Venezuela. Questo fa parte di un’operazione più ampia che coinvolge approssimativamente 4.000 marinai e Marines, insieme ad aerei spia P-8 e almeno un sottomarino d’attacco, destinati a operare in prossimità delle coste venezuelane.
Queste manovre militari hanno incontrato la netta condanna dei leader di tutta la regione. La Presidente messicana Claudia Sheinbaum ha fermamente respinto l’uso di forze militari statunitensi nel suo paese, sottolineando che la cooperazione non si estende a un'”invasione” e che il suo governo non ha prove di un legame diretto tra il Presidente Maduro e i cartelli messicani.
Il Presidente colombiano Gustavo Petro ha dichiarato esplicitamente che avrebbe considerato qualsiasi operazione militare USA non approvata un'”aggressione contro l’America Latina e i Caraibi” e che un attacco al Venezuela sarebbe stato visto come un attacco alla Colombia.
Nel frattempo, il Venezuela ha chiamato i suoi oltre quattro milioni di miliziani a mobilitarsi in tutto il paese in difesa della sua sovranità. E’ stata la milizia bolivariana a catturare i mercenari che tentavano di entrare in Venezuela nel maggio 2020 per compiere una serie di assassinii e seminare il caos nel paese.
Il dispiegamento di navi da guerra e truppe, insieme al memo del Pentagono, serve come un duro promemoria che l’accusa di “narco-stato” è un pretesto per una politica estera ostile guidata dal desiderio di controllare un paese con le più grandi riserve petrolifere accertate al mondo. Per le persone di coscienza in tutto il mondo, la difesa della sovranità venezuelana è un fronte cruciale nella più ampia lotta contro l’interventismo guidato dagli USA e per l’autodeterminazione di tutte le nazioni.
* Bio dell’Autore: Manolo De Los Santos è Direttore Esecutivo di The People’s Forum e ricercatore presso il Tricontinental: Institute for Social Research. I suoi scritti appaiono regolarmente su Monthly Review, Peoples Dispatch, CounterPunch, La Jornada e altri media progressisti. Ha coeditato, più recentemente, Viviremos: Venezuela vs. Hybrid War (LeftWord, 2020), Comrade of the Revolution: Selected Speeches of Fidel Castro (LeftWord, 2021), e Our Own Path to Socialism: Selected Speeches of Hugo Chávez (LeftWord, 2023). – da Globetrotter
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Cassia Clarindo
Trump inizierà con il Venezuela per dopo mettere mani nel Stato più importante dell’ America Latina: il Brasile. questo sono le intenzioni di Trump. Sta facendo propaganda anti_ Lula e pro Bolsonaro.
Redazione Contropiano
vero, ma si sopravvaluta decisamente… mica se la sta prendendo con Grenada…