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L’ American Dream è in crisi, come la “democrazia liberale” Usa

L’American Dream, il ben noto “sogno americano” è da sempre celebrato in migliaia di produzioni cinematografiche, serie tv e soprattutto in letteratura. Ogni studente che si è avvicinato a studi di cultura angloamericana è stato obbligato, obtorto collo, ad analizzarlo in lungo e largo.

E allora andiamo a definirlo: quando si parla di American Dream, di solito ci si riferisce alla speranza – condivisa sia dagli estimatori degli Stati Uniti d’America, sia da parte della stessa popolazione americana – che attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica.

Questi valori furono condivisi da molti dei primi coloni europei, e sono stati poi trasmessi alle generazioni seguenti. Cosa sia diventato nei secoli il sogno americano, è una questione controversa e ancora discussa.

Rifletterei comunque su quanto abbia portato ad enfatizzare esclusivamente il benessere materiale come misura del successo e/o della felicità.

Il Sogno Americano non fa altro che mantenere in vita un concetto che evoca soltanto un pensiero capitalista, divisivo, che solo una radicale rivolta veramente popolare potrebbe mettere in crisi.

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Secondo il rapporto annuale 2020 di Freedom House [1], dal titolo Freedom in the world (Libertà nel mondo) che misura il grado di libertà civili e diritti politici garantiti in ciascun paese, la democrazia liberale è in crisi in tutto il pianeta.

La situazione è però particolarmente preoccupante negli Stati Uniti, dove un decennio di autoritarismo strisciante, prima responsabile la passata amministrazione Trump, ha prodotto un deterioramento democratico ancora più rapido che in altre nazioni nel mondo.

Analizzando il rapporto, in termini di libertà individuali, gli Usa ora sono “più vicini a paesi come Romania e Panama che a partner dell’Europa occidentale come Francia e Germania”; la ragione principale di tale flessione è quella economica, e i ricercatori hanno scoperto che l’enorme divario tra ricchi e poveri è nello stesso tempo causa ed effetto di tale processo, e che accompagna una perdita di democrazia sia oltreoceano che altrove.

Ma andiamo nello specifico.

Gli Stati Uniti negli ultimi10 anni hanno sofferto una flessione di ben 11 punti nella classifica mondiale delle nazioni più attente ai diritti del proprio popolo, passando dai 94 punti del 2010 agli 83 dell’anno passato.

E continuano a farne le spese le etnie meno integrate. I cosiddetti non-bianchi.

Ad una lettura dei dati più approfondita e disaggregata, infatti gli Stati Uniti perdono punti soprattutto in materia di parità di trattamento ai sensi della legge. Sul posto di lavoro, per esempio, esiste un enorme gap retributivo tra i bianchi, ovviamente meglio remunerati, e tutti gli altri.

Un dato, questo, che costringe a riflettere soprattutto se, come osserva il rapporto, “è rimasto relativamente costante negli ultimi decenni”. Svela un’ingiustizia strutturale che va braccetto con un altro dei problemi storici ed irrisolti del paese: il razzismo strisciante. Che continua a dividere il paese.

Il problema razziale lo ritroviamo anche in quelle che il rapporto chiama “disparità di lunga durata interconnesse nell’istruzione e negli alloggi” e che sono un altro dei motivi principali di preoccupazione, se si vuole interpretare obiettivamente la relazione.

Secondo Freedom House, la percentuale di neri che possiede una casa di proprietà continua a scendere, dopo aver raggiunto il picco massimo nel 2004, e questo in parte a causa della discriminazione che colpisce tutti i non bianchi – non solo i neri – alla richiesta di accensione di un mutuo.

Negli Stati Uniti, la proprietà della casa è allo stesso tempo il motore della ricchezza della classe media e uno dei principali fattori determinanti per ottenere un’istruzione pubblica e di qualità.

Per rendere meglio il concetto: se sei proprietario di casa puoi accedere ad una formazione scolastica di relativo rilievo, che in futuro potrebbe permettere ai tuoi figli di accedere ad un mondo del lavoro di serie A. Se non possiedi una proprietà accedi ad una scuola che ti preparerà a lavori meno dignitosi.

E, secondo i dati del rapporto, i proprietari non-bianchi negli Stati Uniti stanno via via scomparendo, in barba ai progetti di integrazione sbandierati dalla nuova amministrazione.

Ne consegue un enorme dislivello di ricchezza tra le famiglie americane bianche e quelle nere, o per meglio dire non-bianche. Si consolidano le divisioni di classe, e razziali.

Gli Stati Uniti sono anche carenti nel campo dell’“uguaglianza di opportunità e libertà dallo sfruttamento economico”, scrivono gli autori. Il sogno americano – “l’idea di una società giusta in cui il duro lavoro porterà progresso economico e sociale, indipendentemente dalle circostanze della propria nascita”, come viene definito – sta vacillando in una società che nell’ultimo anno ha registrato uno dei tassi peggiori di mobilità verticale nel mondo sviluppato.

La quota di statunitensi che guadagnano più dei loro genitori è crollata, trainata da decenni di stagnazione salariale per tutti tranne che per le classi più alte. Da oltre un decennio il salario minimo federale non aumenta.

La pandemia da covid-19 ha dato l’avvio ad una massiccia ondata di licenziamenti e condizioni di precarietà per milioni di persone che svolgono lavori indispensabili per far funzionare il paese.

La forbice fra poveri e ricchi si fa sempre più ampia, e ai poveri non -bianchi non vengono date le stesse opportunità di quelle che vengono offerte alla popolazione “bianca”.

Il rapporto Freedom House, a leggerlo ed interpretarlo oggettivamente e con attenzione, ci rivela anche che la disuguaglianza e l’autoritarismo si rafforzano a vicenda.

Qui una riflessione è d’obbligo: quando le persone non sono in grado di migliorare la propria situazione economica attraverso il “duro lavoro”, possono arrivare a ritenedere che il sistema sia “truccato”, contro di loro (ed è vero, del resto).

Ed ecco che – in assenza di spiegazioni migliori – possono diventare più propensi a sostenere leader autoritari e populisti che promettono di fare cose come “prosciugare la palude” o “rendere di nuovo grande l’America”. Slogan che abbiamo sentito ripetere all’infinito proprio dall’ex presidente Trump.

Storicamente, il messaggio precipuo dei movimenti populisti e di destra estrema è stato: “la gente comune viene sfruttata da un’élite privilegiata e per evitare tale sfruttamento è necessario un cambiamento istituzionale radicale”. Non il sistema economico, insomma, ma la struttura delle “istituzioni democratiche”…

Il più delle volte, peraltro, i leaders autoritari e di destra – quando sono riusciti a mettere in pratica le proprie “ricette” – hanno devastato le economie dei loro paesi.

Anche questa è Storia, e viene sottolineato chiaramente dai dati del rapporto, che rileva come i paesi che sono passati da un regime autocratico ad uno “fortemente progressista”, non una mera democrazia liberale, hanno ricevuto un aumento del prodotto interno lordo del 20% negli anni successivi al cambiamento.

I leaders autoritari di estrema destra, infatti, di solito nutrono una forte sfiducia nei confronti degli “esperti”, in qualunque materia, e questa spesso implica una scarsa capacità di giudizio in campo economico. Un esempio viene dalla mossa del presidente turco Recep Tayyip Erdogan per limitare gli aumenti dei tassi di interesse, che causò il crollo del valore della lira turca.

Non dimentichiamo che gli oligarchi tendono in genere ad arricchire sé stessi e i loro circoli interni a spese di tutti gli altri: le ben documentate relazioni personali del presidente Donald Trump, mentre era in carica, sono l’esempio più calzante.

L’appropriazione indebita e la corruzione sono considerevolmente più comuni nei governi dittatoriali di destra che nelle “repubbliche popolari”, per esempio. Alla fine, i paesi entrano in un circolo vizioso in cui un’economia in deterioramento rischia di portare a un governo autoritario, magari di destra “populista”, che non fa altro che peggiorare ulteriormente le condizioni economiche.

Il problema è che i dati del rapporto, riguardo gli Usa, sono espliciti: ci dicono che un autoritarismo sempre più forte è in marcia oltreoceano. E non sarà sufficiente una “democrazia liberale” a fermarlo.

Il presidente Biden nelle ultime settimane è in calo nei sondaggi a ritmo vertiginoso, ma continua a vendere alla propria nazione la balla che sta investendo nel rilancio dell’economia. Nel frattempo è entrato in crisi sia nelle soluzioni per combattere la pandemia, sia nel piano di rilancio delle infrastrutture: il fondo tanto promesso, composto da circa 4.000 miliardi di dollari, dovrà essere rivisto al ribasso.

Una crisi di queste proporzioni così a ridosso delle elezioni di mid-term non si era mai vista.

Il Sogno Americano sembra ritorcersi come un boomerang contro la sua “patria d’origine” ed il popolo che ci ha creduto. E la sua crisi potrebbe rinforzare i movimenti antidemocratici e nazionalisti.

Biden vorrebbe pervicacemente continuare nel tentativo di “esportare libertà nel mondo”, ma non riesce a gestire le “piccole” libertà che dovrebbe offrire al proprio popolo.

[1] Freedom House è una organizzazione non governativa internazionale, con sede a Washington, DC., che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani.

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