Il 22 settembre sarà uno sciopero generale diverso dal solito. Innanzitutto perché è un lunedì. Abbiamo sentito mille volte, specialmente da “Precetto la qualunque” alias Salvini, che gli scioperi cadono sempre di venerdì perché così le lavoratrici e i lavoratori “fanno ponte”. Ovviamente non è così, anche perché sarebbe un ponte talmente costoso da non consentire alcuna gita fuori porta, ma di certo l’impatto economico di uno sciopero indetto a inizio settimana è diverso, e maggiore.
In secondo luogo per la ragione dello sciopero. Ciò che accade a Gaza è al di là dell’umano, ed è contemporaneamente stato prevedibile sin da subito; prevedibile, più che nell’esito, nella ferocia, determinazione e barbarie con cu Israele procede nel genocidio del popolo palestinese.
In terzo luogo perché, inaspettatamente, dopo che il nostro mondo sembrava essersi assuefatto anche a quest’orrore, c’è stato un risveglio. Le manifestazioni per la Palestina non si sono mai fermate, nemmeno quest’estate, ma a un certo punto abbiamo assistito a un crescendo di partecipazione. Abbiamo iniziato a vedere, inoltre, persone in piazza evidentemente poco “abituate” ad esprimere il proprio dissenso e le proprie opinioni in questo modo: insomma, gente lontana dallo spauracchio dei “professionisti delle proteste” agitato dall’ultradestra al governo in Italia e non solo.
Quest’onda crescente di dissenso, di “adesso basta”, ha trovato nello sciopero del 22, meritoriamente e tempestivamente indetto dall’USB e dalla gran parte del sindacalismo di base, un’occasione di precipitazione.
Abbiamo visto, nello scorrere dei giorni, sempre più lavoratrici e lavoratori attivarsi e dire a gran voce che ci saranno; il più grande settore del pubblico impiego, la scuola, accendersi in uno sciame di mozioni, prese di parola collettive, minuti di silenzio, attivazione contro il genocidio. E non parliamo certo del settore lavorativo più combattivo nel nostro Paese.
Palestina è ormai diventato il nome archetipico della violenza, dell’oppressione, dello sterminio; ma ci sembra, contemporaneamente, che sia anche l’espressione di una rabbia e di un malcontento le cui cause vanno al di là della sacrosanta, umana solidarietà con Gaza, e affondano le radici in vite precarie, erosione dei diritti, precipitazione verso il basso nella scala sociale, e ancora.
Ciò che oggi si concretizza nell’indignazione, protesta, rabbia per il massacro del popolo Palestinese si nutre di anni di oppressione, repressione, arretramento delle condizioni materiali: per le e i più giovani, soprattutto, c’è anche l’assenza di un futuro, la paura, la consapevolezza di vivere in contesti sociali e politici dove ad avere voce in capitolo sono solo ed esclusivamente coloro che sono orrendamente ricchi e potenti.
Insomma, Palestina è il nome del nostro scontento.
Di fronte a questa constatazione, si può cogliere l’occasione per fare un vero salto di qualità; tutte e tutti coloro che sono, sinceramente e genuinamente, indignati e allibiti per il genocidio in corso possono convergere sulla data del 22 e trasformare questa giornata in un punto di svolta, per le sorti del popolo palestinese – forzando la mano a un governo che continua nella sua piena complicità con Israele – e per le sorti dei nostri nel nostro Paese, per riconquistare alla politica milioni di persone sfiduciate e disilluse, per dare l’esempio che con la lotta si può cambiare e vincere.
Tutto può ancora accadere: sarebbe stato un enorme segnale se, ad esempio, il principale sindacato italiano, la Cgil, avesse deciso di fare sua la data, invece di indire da un giorno all’altro scioperi a macchia di leopardo.
Ciò non è accaduto e indietro non possiamo tornare, ma riteniamo che sia anche un segno dei tempi, o meglio, un segno dell’incapacità di leggere i tempi da parte di gruppi dirigenti che forse ancora non si sono accorti che i tempi stanno cambiando.
Noi siamo convinti che lunedì non sarà solo “uno sciopero generale”, sarà molto di più. E per questo stiamo investendo tutte le nostre forze su questo, e continueremo a farlo dopo, creando reti, mobilitando e attivando energie, tenendo fermo il punto dell’opposizione al genocidio in Palestina, al criminale stato israeliano e ai suoi alleati occidentali, a chi ci spinge nella fame e nella miseria per comprare armi, munizioni e altri strumenti di morte. Fermiamo il genocidio del popolo palestinese, blocchiamo tutto!
* portavoce di Potere al popolo
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Oigroig
Ci sono dei punti di svolta che segnano la trasformazione del tempo storico e aprono inedite possibilità di cambiamento radicale. Ieri mi è tornata in mente cosa diceva nel 1947 Luigi Longo sull’insurrezione popolare di Napoli nel settembre 1943: «Dopo Napoli la parola d’ordine dell’insurrezione finale acquistò un senso e un valore e fu d’allora la direttiva di marcia per la parte più audace della Resistenza italiana». Ieri abbiamo avuto un segnale che la gente comincia ad essere stanca dell’incubo in cui ci ha precipitato questa manica di mentecatti al governo del mondo. Ora si tratta di andare avanti a bloccare e contrastare i piani di guerra e dominio. Ieri è stato un primo passo. Una presa di coscienza collettiva. Speriamo davvero che ci sia anche una «parte più audace» del nostro scontento, una parte che sia all’altezza del compito che la mobilitazione di ieri ci ha fatto vedere e sentire.