L’ultima inchiesta di Maurice Lemoine sul processo comunale venezuelano offre una fotografia viva, emozionata, a tratti epica, di una trasformazione sociale che attraversa il Paese di Simon Bolivar da oltre vent’anni. Una narrazione che merita attenzione, perché coglie l’essenza di un laboratorio politico unico nel mondo contemporaneo.
E tuttavia, accanto al racconto necessario, è fondamentale aggiungere una lettura critica, capace di collocare l’esperienza delle Comuni dentro le contraddizioni – anche dure – che attraversano il Venezuela bolivariano, il sistema economico globale e le sfide della transizione socialista.
Il comunardo come soggetto politico
Lemoine apre con le parole di Ángel Prado: «Soy un comunero… esta es mi profesión, mi estilo de vida». Non è una dichiarazione folkloristica ma la definizione di un’identità politica collettiva. La Comune – quella di El Maizal, che Prado contribuì a fondare – non è solo un territorio: è una forma di vita, un modello di produzione sociale, una costruzione di potere popolare organizzato.

E quando il nuovo ministro ricorda che “la Comuna es la única vía para construir una nueva sociedad”, egli non parla da burocrate, ma da militante.
È un punto strategico: la trasformazione socialista non nasce nei palazzi, ma si alimenta nei territori, nelle decisioni assembleari, nei processi di autogestione produttiva, nella democrazia diretta che si prova giorno per giorno.
Chávez: “Comuna o nada!” — continuità e rotture
Lemoine ricostruisce con precisione l’origine del progetto: il passaggio dalla fase dei consigli comunali alla nascita delle Comuni come livello superiore di integrazione territoriale.
Giustamente il giornalista francese ricorda una frase chiave del Comandante: «La democracia popular bolivariana nacerá en las comunidades…».
Ed è vero: Chávez comprese, prima di molti, che la democrazia partecipativa non è un semplice accessorio della democrazia rappresentativa, ma un suo superamento dialettico.
Tuttavia, bisogna anche osservare che la costruzione dell’“Estado comunal” non è un percorso lineare. Richiede il confronto con le istituzioni esistenti, con la cultura politica ereditata dalla IV Repubblica, con la pressione esterna di un blocco imperialista che vede nella partecipazione popolare la vera minaccia al suo dominio. Qui l’analisi di Lemoine è giusta, ma forse troppo indulgente rispetto alle difficoltà reali del processo.
Il nodo decisivo: economia e potere
Lemoine insiste sulla dimensione sociale, politica, comunitaria. Ma l’autogoverno popolare è impossibile senza autonoma capacità economica. È questo il terreno in cui si misura il successo o il fallimento del progetto socialista del XXI secolo.
Quando il reportage ricorda come El Maizal abbia “costruito scuole, case popolari, strade, reti elettriche, produzione agricola autogestita”, si descrive un esempio concreto di pouvoir populaire. Ma la vera questione oggi è un’altra: come scalare questo modello a livello nazionale in condizioni di blocco economico, iperinflazione e guerra non convenzionale?
La risposta che viene dalle Comuni non è teorica, è pratica: cooperazione produttiva, controllo popolare, redistribuzione collettiva del surplus, partecipazione diretta alle decisioni economiche.
Un principio che Marx, nella sua analisi della Comune di Parigi, avrebbe riconosciuto immediatamente: il potere sociale diventa potere materiale soltanto quando gestisce i mezzi di produzione.
La lezione del 23 de Enero
Splendida – e necessaria – la sezione in cui Lemoine ricostruisce la storia rivoluzionaria del quartiere “23 de Enero”.
Quando cita le parole di Robert Longa, che afferma con ironica radicalità che «les conseils communaux, c’est les soviets !», coglie una verità profonda: i consigli sono organismi di democrazia diretta che trasformano la coscienza delle masse.
Ma qui occorre aggiungere un elemento che l’articolo lascia sullo sfondo: i soviet funzionavano perché erano organi del potere operaio. Le Comuni venezuelane devono ancora compiere pienamente questo salto: consolidarsi non solo come spazi comunitari, ma come strutture politico-economiche di gestione integrale dei territori.
Il momento costituente permanente
La costruzione del potere comunale non è un progetto amministrativo: è una fase storica, un processo costituente permanente.
Lemoine ricorda che «Il n’y avait pas de manuel», che tutto si crea con prove ed errori. Ed è vero. Ma l’assenza di manuale non deve significare assenza di strategia.
Se le Comuni rimangono isole virtuose, non possono cambiare lo Stato.
Se diventano rete, sistema, forma di governo, allora la trasformazione socialista diventa irreversibile.
Criticità interne ed esterne
Il reportage ne accenna appena, ma è essenziale dirlo con chiarezza: il blocco economico imposto dagli Stati Uniti ha devastato il tessuto produttivo; il controllo dei prezzi, necessario nelle fasi iniziali, ha generato distorsioni; la coesistenza tra strutture comunali e istituzioni tradizionali produce conflitti; il rischio di burocratizzazione è sempre presente.
Eppure, nonostante tutto questo, le Comuni resistono.
Come racconta Lemoine attraverso le parole di Juan Lenzo, durante la pandemia si è dovuto “chercher les survivants”.
E li hanno trovati.
Perché il popolo organizzato – quando crede nel proprio ruolo storico – non arretra.
L’eredità e la promessa
Il testo di Lemoine è un contributo importante, perché mostra al mondo ciò che spesso si vuole occultare: il Venezuela non è solo petrolio, crisi, propaganda internazionale. Il Venezuela è un popolo che costruisce un modello politico alternativo, radicato nella storia emancipatrice latinoamericana, negli insegnamenti di Chávez, nelle lotte comunitarie, nella partecipazione popolare.
Ma l’esperienza comunale non deve essere idealizzata: va rafforzata, corretta, ampliata.
Perché la Comune non è un simbolo: è l’embrione del nuovo Stato.
E la scelta posta da Chávez, “Comuna o nada”, continua a essere più attuale che mai.
La Comune è il cammino.
Il resto è il ritorno all’ordine borghese.
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