Scenderemo in piazza anche noi il 22 novembre a Roma assieme a @donnedeborgata nel corteo chiamato da NonUnaDiMeno e il 25 novembre nelle mobilitazioni territoriali per la giornata contro la violenza sulle donne e di genere. E lo faremo con lo sguardo verso tutte coloro che attualmente subiscono la violenza strutturale di questa società basata sull’oppressione, sullo sfruttamento e la prevaricazione, dalle nostre periferie fino alla Palestina e ai popoli del Sud Globale.
Ogni anno sono centinaia i femminicidi, le molestie e gli stupri perpetrati su donne e persone queer: dalle lavoratrici che subiscono violenze e ricatti sul posto di lavoro, alle giovani studentesse molestate che rischiano il percorso universitario, alle violenze e discriminazioni che subiscono le soggettività LGBTQ+ fino alle madri che non possono lasciare la propria casa perché non hanno un’alternativa di futuro da dare ai figli. Una violenza sistemica che mostra la sua faccia più feroce proprio su tutte quelle che come noi sono già precarie e sfruttate.
Allo stesso tempo, gli strumenti per combattere la violenza di genere, come i centri antiviolenza e le case rifugio, sono sempre meno, spesso malfunzionanti e assenti nei quartieri popolari. Una condizione che si inserisce in un quadro generale di smantellamento di servizi, tutele e garanzie per le donne e persone queer meno privilegiate, operato oggi dal governo Meloni, così come in passato dal centrodestra e centrosinistra.
Oltre a questo si aggiunge il problema della femminilizzazione e precarizzazione del mondo del lavoro, i salari sempre più bassi, il carovita e l’inflazione che rendono per tantissime donne impossibile fuoriuscire dalla violenza, obbligandole spesso, per mancanza di casa e reddito, a convivere con il partner violento.
In questi decenni nessun governo ha offerto soluzioni reali né per contrastare la violenza né tantomeno per eliminarla alla radice, ed è inutile dirlo ma anche il Governo Meloni, quello della donna madre cristiana – e fascista -, ha fallito poiché non è riuscito a fornire un’alternativa a tutto ciò. Anzi, ha messo ancora più a rischio un diritto all’aborto garantito permettendo ai ProVita di entrare nei consultori; ha ostacolato l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, e ora, mentre le nostre condizioni di vita peggiorano e la violenza ha modo di replicarsi in tutte le sue forme all’interno e all’esterno delle mura domestiche, propone anche il riarmo e una finanziaria che metterà ancora più in difficoltà chi già si trova in miseria.
Perché nella finanziaria proposta dal Governo le misure rivolte alle donne sono pochissime: bonus irrisori prevalentemente riservati alle madri di 3 o più figli, in un paese in cui le famiglie sono sempre meno numerose, a cui si aggiunge un’integrazione al reddito (€60 al mese), ancora più misera, riservata alle madri con 2 o più figli.
Non ci sorprende poi che non ci sia alcun passo in avanti sul tema della violenza: non sono previsti aumenti ai fondi stanziati invece per i CAV, e il fondo per il diritto di libertà per le donne vittime di violenza viene incrementato di soli 500 Mila euro.
Non si tiene quindi minimamente conto della condizione di violenza a cui tante donne sono relegate, le quali spesso non hanno accesso ai servizi di base per fuoriuscirne, né ad un reddito, né a tutele di alcun tipo.
Una finanziaria proposta dal governo Meloni nella quale grande spazio è invece dato in termini di “Difesa”, che si traduce in riarmo, finanziamenti nell’apparato industriale-militare come risposta alla crisi, e che comporta non solo il rinnovato ruolo dell’Italia tra i paesi occidentali esportatori di “pace” a suon di bombe e distruzione, ma anche una maggiore militarizzazione della società e repressione del dissenso, come abbiamo già sperimentato in parte nelle mobilitazioni contro il sionismo e il genocidio in Palestina.
La finanziaria proposta si inserisce perfettamente nel generale operato delle “democrazie” occidentali: USA, NATO e Unione Europea continuano a portare avanti i piani di riarmo, il sostegno economico, militare e diplomatico dello stato sionista e terrorista di Israele, le destabilizzazioni e le aggressioni militari, come nel caso del Venezuela, dove si utilizza la scusa del traffico di droga in America Latina per giustificare l’interventismo militare e tentare un colpo di stato. Nel frattempo, milioni di persone continuano a subire la guerra e le sue conseguenze, dalla Palestina, al Sudan, al Congo.
In questo contesto, le donne diventano sempre di più partecipi di questa tendenza: le Signore della Guerra che, da Von Der Leyen a Meloni fino alle “democratiche” come Schlein portano avanti guerre, riarmo e avallano il genocidio in Palestina.
Dall’altra parte della barricata però ci siamo noi, quelle che vogliono costruire l’opposizione al Governo Meloni e alle sue politiche antipopolari, così come alla guerra e alla complicità con il genocidio delle sorelle e fratelli palestinesi.
Per questo non possiamo che portare in alto i nostri esempi che ogni giorno ci insegnano a lottare: sono le palestinesi che resistono al Sionismo, le Sudanesi che proteggono i figli a costo della loro vita, sono le venezuelane e le donne del Carribe in prima linea nella difesa dagli Yankee, le donne cubane che resistono all’embargo criminale… i nostri esempi sono proprio quelle donne dimenticate o vittimizzate dal femminismo liberale, donne che resistono a un Occidente in crisi che cerca di difendere la propria egemonia, lo stesso che utilizza l’attenzione per i diritti delle donne e delle persone queer per legittimare le guerre e il genocidio in Palestina.
La nostra lotta per liberarci dalle catene della violenza quindi è la lotta di tutte e tutti, perché è la lotta di chi è sempre stata fra gli ultimi anelli nella catena dell’oppressione, quelle su cui scaricare la maggior parte dei costi del sistema, condannate al ruolo passivo di vittima da salvare, o al ruolo di madre relegata alla dimensione domestica.
Oggi però il vento sta cambiando e, non a caso, in questi mesi abbiamo visto il protagonismo di milioni di donne che si sono opposte non solo al Genocidio operato da Israele, ma anche a quella condizione di subalternità materiale e ideologica a cui vorrebbero farci sottostare: donne che scioperavano dai posti di lavoro e sindacaliste, madri che portavano i figli a manifestare, studentesse, sanitarie, docenti, disoccupate… le donne e persone queer precarie e sfruttate hanno scelto da che parte stare e sono in prima fila nella lotta!
Sta a noi quindi nelle giornate del 22 e 25 novembre lottare contro un sistema che genera violenza a tutti i livelli, perché sappiamo che l’Occidente che esporta guerra e devastazione nel Sud Globale, si fonda sullo sfruttamento e prevaricazione delle donne in casa propria, scaricando specialmente su di esse i costi della crisi.
È per questo che vogliamo che, al posto di investire nell’apparato bellico e nel riarmo, si investa in più centri antiviolenza, case rifugio, consultori in ogni quartiere, servizi garantiti e accessibili a tutte, sanità, spazi culturali, salari.
Vogliamo che si blocchi ogni accordo economico, militare e culturale con Israele che sta continuando a portare avanti il genocidio delle sorelle e fratelli palestinesi, vogliamo la fine dell’economia di guerra e del genocidio.
Infine vogliamo che il governo Meloni si dimetta, perché è un governo reazionario e classista, che odia le donne povere, le persone queer e le donne immigrate, ed è complice del genocidio in Palestina.
Per questo il 22 novembre (a Roma) e il 25 novembre (nei nostri territori) scenderemo in piazza contro la violenza di genere e la violenza di questa società e parteciperemo allo sciopero generale del 28 novembre e alla manifestazione nazionale del 29 novembre a Roma contro la finanziaria di guerra, contro il governo Meloni, per la Palestina libera: BLOCCHIAMO TUTTO!
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