In Venezuela, il cammino della democrazia partecipativa e protagonista continua a definirsi attraverso i processi reali della classe lavoratrice, che oggi più che mai rappresentano il motore vivo della Rivoluzione Bolivariana.
L’elezione delle nuove delegazioni del Ministerio del Poder Popular de Economía y Finanzas, in vista del Congresso Nazionale Costituente della Classe Operaia, non è solo un evento interno all’apparato statale: è un atto politico di enorme rilevanza. È il segno di un Paese che decide di affidare il proprio futuro economico e sociale alle lavoratrici e ai lavoratori di base, non alle élite burocratiche.
Non si tratta di cariche calate dall’alto, né di posizioni assegnate per fedeltà personale. Come ricordano i protagonisti, “non sono incarichi di fiducia, né imposti, né burocrati, ma lavoratori e lavoratrici di base rispettati dalla maggioranza dei loro compagni e delle loro compagne”.
È una rivoluzione dentro la Rivoluzione, un ribaltamento radicale della logica del potere tradizionale a favore di un modello realmente collettivo, radicato nella partecipazione e nella democrazia operaia.
Questo processo è anche la risposta al richiamo del presidente Nicolás Maduro, che chiede di “eleggere il soggetto che approverà il piano economico produttivo di cui il Paese ha bisogno, blindare i processi di lavoro nonostante le minacce e proteggere la sovranità, per continuare a cambiare ciò che deve essere cambiato”. È un appello alla responsabilità e alla maturità politica della classe lavoratrice, chiamata non solo a sostenere la Rivoluzione, ma a guidarla nella costruzione del nuovo modello economico post-rentista.
E, come sempre ricorda la tradizione bolivariana, “non esiste Rivoluzione né Socialismo senza una classe lavoratrice cosciente, organizzata, mobilitata e in lotta”. Questo principio, che Chávez ha posto al centro del socialismo bolivariano, trova oggi in Maduro un continuatore coerente. Non un semplice successore istituzionale, ma l’erede politico che ha scelto di radicare con ancora più forza il progetto rivoluzionario nella partecipazione popolare e nelle organizzazioni operaie.
Maduro ha raccolto l’eredità del Comandante Chávez nel modo più difficile: in un’epoca di attacchi economici, minacce militari, destabilizzazioni e assedi finanziari. Eppure, proprio in questo contesto, ha rilanciato l’idea che la sovranità si difende con la produzione, con la partecipazione e con il protagonismo diretto del mondo del lavoro. Ha rifiutato la tentazione di trasformare la Rivoluzione in un apparato centralizzato e statico, e ha invece promosso nuovi spazi di decisione collettiva, dai consigli produttivi ai congressi costituenti settoriali.
Nicolás Maduro — e questo va riconosciuto — ha scelto di dare continuità al progetto socialista proprio ampliandone le basi popolari. L’ha fatto rilanciando le comunas, sostenendo le imprese sociali, promuovendo la democrazia nei luoghi di lavoro, e intensificando il ruolo dei lavoratori nella pianificazione economica. Non è un caso che la convocazione del Congresso Nazionale della Classe Operaia coincida con una fase di ricostruzione economica e di riformulazione del modello produttivo nazionale: là dove si decide il futuro del Paese, lì devono esserci i lavoratori.
La Rivoluzione Bolivariana sopravvive perché non si è mai accontentata di essere un governo. È un processo sociale vivo, pieno di conflitti, di avanzamenti, di correzioni, ma sostenuto da una coscienza popolare che nessuna aggressione esterna è riuscita a spegnere. Ed è proprio in questa dialettica che si colloca il lavoro delle vocerías: un ponte tra la quotidianità della produzione e le grandi decisioni strategiche.
Il Congresso della Classe Operaia, infatti, non è un evento protocollare, ma un laboratorio politico da cui usciranno nuove proposte, nuove linee produttive, nuovi modelli gestionali. È lo spazio dove la classe lavoratrice venezuelana può assumersi pienamente il ruolo che Chávez le ha assegnato e che Maduro continua a difendere: essere soggetto, non oggetto della trasformazione.
Come scrivo da anni, la Rivoluzione Bolivariana è forte quando la sua base è forte. E oggi, nel pieno delle contraddizioni globali, essa riafferma la sua natura di rivoluzione sociale, economica e culturale proprio rimettendo la classe operaia al centro del potere. È la conferma che la sovranità non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana che nasce nelle fabbriche, nelle officine, nei territori organizzati.
Perché il socialismo — quello vero, non quello di facciata — vive solo quando i lavoratori sono coscienti, organizzati, mobilitati e in lotta. E il Venezuela lo sta dimostrando di nuovo, affidando il proprio futuro alle mani di chi produce la sua ricchezza e difende la sua libertà.
Il socialismo bolivariano riparte dai lavoratori: il progetto di Maduro per il futuro del Paese
In questa prospettiva di lungo respiro, è utile tornare alle radici storiche del processo bolivariano, così come lo stesso Nicolás Maduro ha spesso raccomandato ricordando che “in Venezuela, il 4 febbraio 1992, fu issata una bandiera, quella di Bolívar, e il comandante Hugo Chávez e il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200 irruppero sulla scena, rivendicando le nostre radici storiche più profonde, libertarie e indipendenti; questo era e questo è nei geni del popolo venezuelano”.
Ricollegandosi a quella stagione, Maduro invita a tornare a un testo cruciale per comprendere l’aggressione degli Stati Uniti nei confronti del progetto bolivariano, il documento strategico Santa Fe I, elaborato nel 1980 durante l’amministrazione Reagan. Secondo il Presidente, “quel documento rivela come conservatori e repubblicani definiscano il bolivarismo come una delle minacce alla loro esistenza”. È un’ammissione che conferma la lunga continuità della pressione imperialista contro qualsiasi tentativo di autonomia politica dell’America Latina.
Frequentemente, Maduro insiste sull’importanza di cogliere la portata storica della rivoluzione inaugurata da Chávez: “Quelle idee, tutta quella forza hanno significato l’emergere della prima rivoluzione del XXI secolo”, ha affermato il legittimo presidente del Venezuela, spiegando che la rivoluzione bolivariana “democratica, costituzionale, ha preso anche la strada del socialismo, con un pensiero molto creativo come quello del comandante Chávez, che continua ad avere un grande impatto sul mondo di oggi”.
Il Capo dello Stato ritiene centrale, nel conflitto culturale in atto a livello globale, mantenere la consapevolezza che il modello neoliberale che gli Usa vorrebbero imporre rappresenta una minaccia ai legami fondamentali della società venezuelana e latinoamericana: “Questa cultura autodistruttiva cerca la dissoluzione del nucleo familiare, la dissoluzione sociale; ci sono molte cose che si vedono e si dicono: non vogliamo quel mondo vostro – imperialisti –”. Per Maduro, difendere la coesione popolare e la memoria storica significa preservare la capacità del Paese di resistere alle aggressioni economiche, mediatiche e politiche provenienti dall’esterno.
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