IL TRAMONTO DEL “CARO LEADER” COSTA AI MERCATI ASIATICI
Non sono passate neanche 24 ore dalla notizia diffusa dall’agenzia stampa ufficiale della Corea del Nord sulla morte del suo leader Kim-Jong Li che il sud-est asiatico và in fibrillazione.
La vicina Corea del Sud non perde tempo e subito diffonde seria preoccupazione per l’arsenale nord coreano: la bomba atomica, gli esperimenti missilistici a corto raggio, le dimensioni dell’esercito spaventano i vicini anti-comunisti e la stampa occidentale è ben attenta ad affiancare al nome “Kim-Jong Li” le parole “arsenale” e “povertà”, e solo in serata mostra alcune scene di cordoglio collettivo del popolo nord coreano.
Il Giappone, in preda ad isteria, ha formato un comitato di crisi ed ha riunito il governo subito in seduta d’emergenza. Il premier Yoshihiko Noda ha disposto di tenere contatti “serrati” con Usa, Cina e Corea del Sud sulla vicenda, oltre ad avviare ogni preparativo “per fronteggiare” gli scenari possibili.
L’esercito di Seul ha aumentato il livello di allerta e il presidente sudcoreano, Lee Myung-bak, ha convocato il National Security Council.
Obama si è mobilitato immediatamente e sacramentando con le solite litanie di stabilità della penisola coreana, la libertà e la sicurezza dei nostri alleati, ha aperto i controlli della situazione con un appropriato “Gabinetto di Pre-Guerra”, sentendosi telefonicamente con i capi di stato di Giappone e Sud Corea.
D’altronde si sa che gli States hanno nella regione uno schieramento di decine di migliaia soldati delle forze armate a difesa e controllo del territorio. È sicuramente ancora troppo presto per fare previsioni, ma se dovesse succedere l’unificazione delle due Coree tutti dovrebbero fare i contri con un concorrente commerciale molto temibile, in quanto si potrebbe usare la manodopera a basso costo fornita dalla Corea del nord.
Non conviene agli Stati Uniti perché per una penisola unificata e quindi pacificata non ci sarebbe più motivo di mantenere un contingente di decine di migliaia di uomini nella Corea del sud.
Non conviene alla Cina perché da una penisola unificata probabilmente verrebbero meno i presupposti per esercitare quella forte politica, quella forte influenza sulla Corea del Nord che sta esercitando in questo momento.
E le preoccupazioni dei Capitalisti Asiatici hanno conferme dagli andamenti dei listini della regione; la Borsa di Tokyo termina gli scambi in calo dell’1,26%, l’indice Nikkei chiude intorno ai minimi di seduta, a 8.296,12 punti (-105,60),Seoul è arrivata a perdere fino al 5%, e l’indice coreano Kospi che ha ceduto oltre 3 punti , mentre l’indice generale Msci dell’area Asia-Pacifico, che non comprende Tokyo, intorno alle 8,40 italiane cede il 2,3%. Un forte rimbalzo finale ha portato SHANGHAI a cedere solo lo 0,3% dal -2,6% segnato nel corso della seduta con l’indice Shanghai Composite a 2218,24 punti, ,più corposo il calo di HONG KONG; meglio del listino, con -0,45%.
Ripercussioni anche in Australia; Sydney ha inaugurato la settimana con segno negativo. L´S&P/ASX 200 ha terminato la seduta in flessione del 2,38% a 4.060,374 punti.
Ad affrontare l’attacco dei mercati capitalistici la Repubblica Popolare Coreana è preparata; dalla fine degli anni ’50 subisce continuamente le interferenze degli “sgherri imperialisti” che continuamente cercano di completare il puzzle sud-est-asiatico delle conquiste del dopo Seconda Guerra Mondiale subendo le uniche sconfitte dalla Repubblica popolare di Corea e dalla Repubblica popolare del Vietnam.
Dato di fatto che non hanno mai digerito.
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