Le riflessioni degli ultimi 8-9 mesi su Contropiano relative allo scacchiere asiatico, hanno avuto come punto di riferimento essenzialmente due argomenti la la geopolitica asiatica con il “ritorno in forza” degli Usa e la situazione interna cinese e il modo in cui interagisce con la politica estera. Ora il punto sulla situazione estera si è evoluto in questi mesi e il processo/tentativo di accerchiamento e di isolamento da parte americana della Cina è andato avanti.
A luglio si sono tenute a largo delle Hawai le più grandi esercitazioni militari navali del mondo, organizzate dagli Stati Uniti, e che vedono la partecipazione dei paesi che si affacciano sul pacifico, russi compresi.
Sono presenti 4 su 5 membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu, tranne uno. Ovviamente si tratta della Cina, che in questo modo, si chiarisce, diventa evidentemente l’oggetto delle esercitazioni navali stesse.
Nei mesi precedenti gli Usa hanno tentato di coinvolgere nel processo di isolamento del gigante asiatico l’altro gigante, l’India, con risultati che nonostante l’inserimento dell’India nel sistema di alleanze occidentali, non sono stati entusiasmanti almeno sul piano diplomatico. Personale politico-diplomatico indiano ha infatti negato che il paese faccia parte di questa strategia, in diretta risposta alla questione sollevata da ufficiali americani.
Poi vi è stata la volta del Myanmar, con la visita storica di Hillary Cinton, l’avvio di un processo di democratizzazione a scapito della giunta militare, il rispolvero del premio nobel Aung San Suu Kyi e guarda caso, il blocco di un progetto per una centrale idroelettrica in collaborazione con Pechino. Anche qui gli Usa tentano di insinuarsi e di contendere alla Cina il rapporto privilegiato che il paese ha con il regime birmano, isolato da tutti gli altri. La Thailandia, destabilizzata negli anni passati sul piano politico, è stata direttamente reinserita nel sistema di alleanze occidentali senza nemmeno togliersi il cappello, dato che è stata semplicemente citata nel documento strategico sul secolo pacifico dell’America come uno dei pilastri portanti della presenza militare americana nel sud est asiatico.
Proseguendo attorno al gigante cinese, troviamo il Vietnam che in questi hanni, complice il conflitto con Pechino per i giacimenti di idrocarburi e gas nel Mar della Cina Meridionale, ha trovato sponda in un’inusuale riavvicinamento con gli Usa e che si è spinto fino alla collaborazione militare in funzione anticinese, dopo che i russi, tradizionali alleati del Vietnam, li avevano scaricati per cementificare l’alleanza strategica con Pechino.
Dopo il Vietnam, è il caso di Malesia e Indonesia. Dopo la fase apertasi con la conferenza di Bandung questi paesi sono stati forzatamente riportati nel campo delle potenze occidentali(le dittature indonesiane e la repressione del movimento comunista locale in salda collaborazione con gli Usa negli anni ’60 e ‘70 è spesso coincisa con dei pogrom contro le diffuse comunità cinesi nel gigantesco arcipelago, accusate di legami con Pechino e con l’occasione espropriate di un ruolo economico rilevante).
Le Filippine sono parte di quella prima e seconda catena di isole che secondo l’ex colonizzatore americano fanno parte di un naturale sistema di scudo e contenimento della Cina che vanno dalle montagne del confine sudcoreano, passando per il Giappone, e Taiwan, fino alla parte meridionale di tale scudo di arcipelaghi costituito appunto dalle Filippine stesse.
Nonostante movimenti di protesta contro il ruolo coloniale imposto dagli Usa al paese anche importanti, gli articoli dei mesi scorsi e la vicenda in corso degli arcipelaghi contesi non necessitano di altre precisazioni sul ruolo assunto dalle Filippine in questo senso.
L’Australia-Nuova Zelanda e la base di Darwin nel nord del paese sono d’altronde stati il trampolino di lancio mediatico della stessa strategia americana di ritorno in Asia, parti integranti del mondo anglosassone e dunque automaticamente delle strategie statunitensi, nonostante i forti legami commerciali(vendita di minerali e gas a Pechino)con la Cina.
Giappone e Sud Corea sono state la base di partenza di molte esercitazioni navali durante quest’anno, se ne contano ormai una ventina in una spirale di escalation che ha destato le preoccupazioni del continente.
Rappresentano la parte nordorientale del dispositivo di sicurezza statunitense in funzione anticinese e completano il semicerchio attorno al paese che nelle intenzioni americane andrebbe dall’India alla Corea del Sud.
Tuttavia il retroterra russo e la libertà di navigazione cinese nel Pacifico comunque assicurate rappresentano, oltre al soft power economico e diplomatico di Pechino, un elemento di respiro reciproco, così come la Cina lo è per la Russia. In questi anni dell’era putiniana il riavvicinamento tra Mosca e Pechino si è rivelato di natura strategica. Dopo anni di ostilità tra Usa e Cina da una parte, e il blocco sovietico dall’altra, per trovare un periodo di collaborazione tra i due paesi altrettanto intenso e coordinato su tutta una vastità di questioni di politica internazionale bisogna tornare al periodo pre-rottura tra Cina e Urss, dal 1949 al 1964.
La recente intervista di Putin sulla contesa con l’Occidente nel suo complesso, qualora ce ne fosse bisogno, chiarisce ulteriormente il posizionamento strategico della Russia nell’alleanza con Pechino.
Attualmente il caso più evidente di convergenza tra interessi russi e cinesi al di fuori del gruppo di Shangai e dell’Unione Euroasiatica lanciata dalla Russia, strumenti utili a riacquisire il controllo geopolitico su paesi ex satelliti dell’impero sovietico ricchi di risorse e ricompattare attorno ai due paesi una più vasta area euroasiatica, è rappresentato dal dossier Siria.
In questo caso lo scontro è attualissimo e vede da un lato gli occidentali che continuano ad armare la resistenza nel tentativo di rovesciare Assad e assicurarsi il completo controllo dei paesi arabi, e dall’altra russi e cinesi che, dopo aver bloccato il tentativo occidentale di condanna della Siria in sede Onu, continuano a sostenere il governo siriano e a spingere sulla stabilizzazione.
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