Fonte: Misna
Domenica gli aventi diritto francesi, di cui tre milioni sono originari del Nord africa e dell’Africa subsahariana, andranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Un voto al quale il continente africano guarda con attenzione: 17 ex colonie francesi, ma non solo, hanno Parigi come partner commerciale privilegiato. A 50 anni dall’indipendenza dalla Francia i rapporti bilaterali sono ancora difficili, a causa della pesante eredità dell’epoca coloniale, di una lunga serie di ingerenze politiche e diplomatiche negli affari interni e di accordi con società francesi – da Areva a Elf-Total – quasi sempre iniqui per le nazioni africane e poco trasparenti.
Se ci sono 10 candidati in lizza, all’unanimità la stampa africana scommette su un ballottaggio, da tenersi il 6 maggio, tra il presidente uscente Nicolas Sarkozy, che ambisce a un secondo mandato, e il suo principale contendente, il socialista François Hollande. Anche se l’attenzione dedicata dai media continentali al voto francese è minore rispetto al 2007 – in parte a causa della preoccupante situazione in Africa occidentale, teatro di due colpi di stato in Mali e Guinea Bissau – la scadenza di domenica suscita numerosi interrogativi. Il più pressante riguarda il futuro delle relazioni bilaterali: in molti sperano in un cambiamento netto dopo decenni di ‘Françafrique’ (concetto che riassume l’intreccio di rapporti più o meno leciti tra la potenza occidentale e le sue ex colonie) ma in pochi credono che ciò avverrà, anche se dovesse vincere Hollande. In Africa c’è la netta convinzione che chiunque verrà eletto farà di tutto per continuare a tutelare gli innumerevoli interessi di Parigi nel continente.
Dal punto di vista africano, dal 2011 Sarkozy, candidato dell’Unione per un movimento popolare (Ump), ha perso molti punti in parte a causa della “netta deriva a destra” del suo partito in tema di immigrazione, diritti umani e attacchi al mondo musulmano rivolti ai migranti residenti in Francia. L’immagine del presidente uscente sul continente è stata molto offuscata da promesse di nuove relazioni fatte all’inizio del suo mandato ma non mantenute. Anzi, sotto il mandato di Sarkozy la Francia è intervenuta militarmente in Costa d’Avorio, a favore dell’attuale presidente Alassane Dramane Ouattara, dando una svolta alla violenta crisi elettorale dell’anno scorso con l’arresto dell’ex capo di Stato, Laurent Gbagbo. I soldati francesi dell’operazione ‘Licorne’ hanno sostenuto i caschi blu dell’Onuci e le forze pro-Ouattara.
Dal Camerun al Niger passando per il Mali, in molti sono stati delusi dall’intervento militare in Libia: negli ultimi mesi molti paesi del Sahel stanno subendo le pesanti conseguenze umane, militari ed economiche della caduta della guida libica, Muammar Gheddafi. Altri motivi di malcontento e di preoccupazione per il futuro, se Sarkozy venisse riconfermato, sono la questione degli accordi militari, la svalutazione del franco Cfa e il costante sostegno dell’Eliseo ai regimi dell’Africa occidentale. In Nicolas Sarkozy, ancora considerato un “leader dinamico e preparato”, molti osservatori africani vedono un baluardo della ‘Françafrique’ che nei fatti non è pronto a cedere terreno decisionale alle ex colonie. A Kinshasa, molti congolesi vicini al partito di opposizione di Etienne Tshisekedi non perdonano il silenzio di Parigi su quello che considerano un “furto elettorale” a favore del presidente Joseph Kabila, confermato alle controverse elezioni di novembre. A Bamako, dove la preoccupazione è alta per il futuro incerto dopo il colpo di stato e la crisi nel Nord, il nome di Sarkozy non è affatto popolare. La Francia viene indicata come parte in causa nella situazione creatasi nell’Azawad e accusata di avere una responsabilità diretta nell’espansione di Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) per il frequente pagamento di riscatti quando i suoi cittadini vengono rapiti.
Il socialista Hollande viene invece presentato come “un volto nuovo”, una personalità “più aperta” nel suo rapporto con il continente, “meno aggressiva” e che forse potrebbe aprire la strada a rapporti se non alla pari almeno più equi. Dal suo programma di campagna e dai suoi discorsi elettorali, gli osservatori continentali valutano positivamente la volontà del Partito socialista (Ps) di favorire la cooperazione Sud-Sud, di collaborare con l’Unione Africana e le organizzazioni regionali e di dare maggiore spazio alla società civile africana. Altri sottolineano la sua “totale inesperienza” nelle questioni africane, criticano la sua apparenza “poco decisa e poco convincente” e considerano il suo programma politico sull’Africa “troppo vago”.
Nelle capitali africane il dibattito sulle presidenziali francesi è destinato a riaccendersi appena saranno noti i risultati del primo turno e in vista del ballottaggio.
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