Denunciando «la deriva autoritaria» del governo, la France Insoumise ha reiterato per la seconda volta la proposta della deposizione di una mozione di sfiducia nei confronti dell’attuale esecutivo ai partiti che compongono l’opposizione parlamentare a sinistra.
Tale ipotesi era stata scartata dal Partito Socialista e dal Partito Comunista che l’avevano considerata prematura il 14 gennaio, ed è stata nuovamente formulata sabato 25 gennaio dagli insoumis.es.
L’ipotesi di riforma pensionistica è arrivata al Consiglio dei Ministri venerdì scorso, il giorno in cui era stato contemporaneamente convocato il settimo sciopero “inter-generazione” ed “inter-professionale” con manifestazioni in tutta la Francia promosso dall’”intersindacale”(CGC,CGT, FO, SFU, Solidaires ed organizzazioni giovanili).
La mobilitazione di venerdì scorso ha visto la partecipazione di un milione e trecento mila manifestanti per la CGT, 249.000 per il governo. Più di 200 cortei si sono svolti in tutta la Francia con il corteo della capitale che per la centrale di Mentreuil ha visto la partecipazione di 350.000 persone.
La FI reitera tale possibilità, forte delle pesanti critiche a riguardo formulate dal Consiglio di Stato che tra l’altro deplora «l’insicurezza costituzionale del testo di legge».
L’esecutivo mantiene il calendario previsto con la discussione parlamentare nell’Assemblea Nazionale dal 17 febbraio, e con l’esame dei possibili emendamenti dal 3 febbraio.
Il Consiglio di Stato che ha avuto solo di tre settimane per dare il suo giudizio sui due progetti di legge (uno organico e l’altro ordinario ) – che l’esecutivo ha comunque cambiato sei volte in quest’arco di tempo – ha emesso una nota molto dura venerdì scorso.
Nel comunicato deplora la scarsità di tempo avuta per occuparsi di un progetto così importante: una riforma «inedita dal 1945 e destinata a trasformare per gli anni a venire (…) una delle componenti maggiori del contratto sociale».
Una critica, quella del più alto organismo dell’amministrazione francese, che comprende anche il voluminoso studio d’impatto economico che accompagna le due leggi e di cui giudica le proiezioni finanziare su un tot di aspetti «lacunose».
Il Consiglio critica anche la scelta di affidare a 29 decreti governativi che daranno corpo alla riforma anche per quegli aspetti «strutturanti del nuovo sistema pensionistico», non permettendo quindi da ora di valutarne le conseguenze della riforma con cognizione di causa, e pertanto la sua costituzionalità e la sua validità giuridica.
Il Consiglio denuncia il fatto che sarà una «Conferenza dei Finanziatori» – che dovrebbe iniziare dal 30 gennaio – a definire le modalità di ritorno all’equilibrio finanziario “da qui al 2027” dei regimi utilizzando potenzialmente differenti leve economiche.
L’annuncio della Conferenza alcune settimane fa era stato salutato come un grande avanzamento del governo da parte della “riformista” CFDT e dall’UNSA. L’esecutivo aveva delegato appunto a tale consesso la possibilità di trovare una soluzione alternativa rispetto all’introduzione dell’ “età pivot” a 64 anni, anche se si tratta solo di una sospensione temporanea di tale parametro, o meglio un posticipo della sua introduzione e che in realtà rischia di essere 65 anni, per aumentare ulteriormente in futuro.
Uno dei criteri fondamentali della transizione dall’attuale sistema pensionistico basato su 42 regimi speciali verso uno universale a punti sarà quindi conosciuto solo al completamento dei lavori di questo tavolo – e non è detto che si trovi una soluzione alternativa alla sostituzione dell’età pivot a 64 anni – alla fine del mese d’aprile, cioè nel momento della seconda ed ultima lettura dei progetti di legge al Senato, la cui approvazione è infatti prevista prima dell’inizio dell’Estate.
Il Consiglio di Stato bacchetta anche la supposta pretesa del governo di volere creare un sistema universale, quando in realtà prevede delle deroghe per alcune categorie – tra cui per esempio i controllori di volo – , una contraddizione in termini e che manca dei necessari attributi costituzionali: «alcuna differenza di situazione né alcun motivo di interesse generale giustificano una tale differenza di trattamento, non può essere mantenuta nel progetto di legge».
Sono parole pesanti come macigni, da parte di un organo non «francamente conosciuto per il suo carattere rivoluzionario» ironizza “Mediapart”. Tali affermazioni danno di fatto ragione all’ampio fronte di lotta che dal 5 dicembre ha dato vita al più lungo sciopero ad oltranza della storia della Francia del Dopoguerra – per ora “sospeso” – e a ben sette astensioni generali dal lavoro dal 5 dicembre, oltre ad un movimento reale inedito che ogni giorno si reinventa.
Un pasticciaccio dunque, a cui solo CFDT e UNSA sembrano dare qualche andando in soccorso dell’Esecutivo anche grazie ai consigli di due economisti di “area macronista” come Jean Pisani-Ferry e Philippe Aghion.
La dirigenza delle due centrali sindacali smentite a più riprese dalla base nella “Conferenza” si troveranno tra l’incudine delle richieste padronali e il martello dell’opposizione di piazza dentro un tracciato di discussione da cui il Primo Ministro Eduard Philippe ha escluso come possibilità per posticipare provvisoriamente l’età pivot l’aumento dei contributi da parte delle aziende e la diminuzione delle pensioni.
Tale Conferenza è una specie di prova generale di quello che sarà l’organismo incaricato della futura governance del sistema pensionistico pensato dal governo in una logica di co-gestione formale dell’austerity neo-liberale e di apertura alle pensioni per capitalizzazione, l’unico orizzonte a cui le due centrali complici sembrano guardare.
La FI intende ripristinare il ruolo fondamentale del Parlamento nella costruzione del quadro legislativo, funzione di fatto by-passata dall’Esecutivo che tra l’altro con lo strumento della decretazione vuole ulteriormente svuotare delle sue prerogative il corpo degli eletti, marginalizzandolo ulteriormente.
Si tratta né più né meno di una logica di “esecutivizzazione” del potere politico d’Oltralpe in una cornice di rappresentanza della 5° Repubblica che non brilla proprio per il suo carattere democratico e che fu inaugurata da De Gaulle in piena “Guerra d’Algeria” nel 1958, sfruttando lo spettro di un possibile colpo di Stato.
Per essere depositata questa mozione ha bisogno di 58 firme su 577, e la FI ne dispone solo di 17. Tale strumento era già stato utilizzato durante questa legislatura riguardo all’affare Benalla nell’Estate del 2018, e poi in piena crisi dei “gilets juanes”. Lungo la sua storia è stato adoperato più di un centinaio di volte, ma è riuscito nel suo intento solo nel 1962 facendo cadere il governo di Georges Pompidou.
Da destra a sinistra, tranne la maggioranza parlamentare composta da LREM e MODEM, tutti bocciano la riforma, anche se l’esecutivo ha i numeri per farlo passare, al netto del “malpancismo” della cosiddetta sinistra di LREM che avrebbe voluto un dialogo più serrato con la CFDT e che teme lo tsunami del calo di consensi per le elezioni amministrative a marzo.
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Ciò che “Le Monde” ha definito nel suo editoriale domenicale «il peso della sfiducia» sulla riforma pensionistica è rilevabile da un ultimo sondaggio della BVA per cui circa il 70% dei francesi intervistati crede che le mobilitazioni continueranno.
L’ “intersindacale” ha rilanciato venerdì mattina scorso 3 giorni di mobilitazione a partire da venerdì 29 gennaio con l’ottavo sciopero “inter-categoriale” ed “inter-generazionale” dal 5 dicembre, proseguendo con iniziative sabato 30 e domenica 31 gennaio.
Tutti i maggiori esponenti delle organizzazioni che compongono l’ “inter-sindacale” sono ottimisti, valutano positivamente la riuscita delle marce notturne con le fiaccole che danno la possibilità di esprimersi anche a chi non può fare sciopero, prendono atto che questo movimento si sta inscrivendo nella durata.
Eric Beynel di Solidaires dice giustamente a “Libération”: «siamo partiti per i 400 metri e faremo la maratona».
Solo il sindacato dei quadri, la CGC, che fino ad ora ha chiamato alla mobilitazioni si è astenuto da dare indicazioni di partecipazione per questa settimana, chiamando ad una pausa, ma continuando a chiedere il ritiro del testo che impatta fortemente i suoi iscritti perché introduce la pensione privata per “capitalizzazione” per 200.000 lavoratori ad alto reddito.
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Dopo la “marea gialla” iniziata il 17 novembre del 2018, la vicenda della riforma pensionistica è la più grande manifestazione della fine dell’egemonia neo-liberista in Francia e decreta la sconfitta in casa propria del più fervente paladino continentale dell’europeismo.
Non c’è uomo politico che maggiormente incarni il progetto complessivo della UE di Macron.
Sul “fronte interno” il “Presidente dei Ricchi” coniuga le politiche di austerity “made in UE” con una evidente torsione autoritaria a tutto campo, sul “fronte esterno” il neo-colonialismo francese si sta concretizzando con una maggiore aggressività in Africa e Medio Oriente, basti pensare che la missione sempre più “europeizzata” Barkhane in Sahel supererà a breve la soglia psicologica di 5.000 soldati nell’Africa Sub-Sahariana.
La Francia è il Paese dove la polarizzazione sociale ha portato ad una polarizzazione politica reale dove una parte dei subordinati si stanno mobilitando da 8 settimane contro un progetto fortemente voluto dalla UE e dall’oligarchia finanziaria.
I corpi intermedi sindacali sono ridiventati il perno della vita politica, in grado di dare una chiara rappresentanza ad una malessere sociale diffuso ed ad una sfiducia nell’establishment politico, in grado di fra cambiare opinione ai francesi rispetto alle narrazioni propinate…
Quelle idee dominanti, in realtà idee delle classi dominanti di cui scriveva un tale.
Nel gennaio del 2019 un sondaggio di Elabe rivelava che più di due terzi dei francesi erano favorevoli ad un regime universale. Un anno dopo, un altro studio sempre dello stesso istituto per BFM TV constata che sono ormai il 61% a considerare che Emmanuel Macron deve ritirare la riforma.
Meraviglie della dialettica che posano su una solida base materiale: la lotta di classe.
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