E’ salito all’incredibile cifra di 948 morti il bilancio delle vittime del crollo del Rana Plaza alla periferia di Dacca. Lo ha reso noto un funzionario del coordinamento dei soccorsi, dopo che sono stati estratti ancora altri corpi dalle macerie dell’edificio di otto piani crollato il 24 aprile scorso travolgendo migliaia di operai e operaie impiegate in 5 fabbriche tessili ed altre attività. Le operazioni sono ancora in corso e si teme che il bilancio delle vittime possa salire ulteriormente. Più di 2400 persone sono rimaste ferite nel crollo del palazzo all’interno del quale si trovavano almeno cinque fabbriche tessili.
”Sangue sulle camicie. Il Ceo di Benetton ammette i legami del suo gruppo con la tragedia del Rana Plaza”: il sito di informazione statunitense ‘Huffington Post’ apre così la sua prima pagina e pubblica un’intervista con Biagio Chiarolanza, la prima dell’executive italiano da quando il palazzo di Dacca é crollato travolgendo migliaia di lavoratori intenti a produrre, in condizioni vicine alla schiavitù, vestiti per le grandi marche internazionali. Chiarolanza ha detto che Benetton aveva acquistato tra dicembre 2012 e gennaio 2013 una partita relativamente “piccola” di camicie – circa 200 mila – da una società chiamata New Wave Style, che gestiva una delle fabbriche dentro il Rana Plaza. ”New Wave al tempo del disastro non era una dei nostri fornitori ma uno dei nostri diretti fornitori indiani aveva subappaltato due ordini”, ha ammesso l’amministratore delegato della multinazionale. Benetton aveva deciso di fermare la produzione con New Wave un mese prima della tragedia perché la società non era in grado di garantire ”severi” criteri di qualità ed efficienza, si è difeso Chiarolanza nell’intervista all’HuffingtonPost. Il gruppo italiano, ha aggiunto però il Ceo, continuerà comunque a rifornirsi in Bangladesh: ”Uscire dal Bangladesh non é un’opzione. Noi possiamo aiutare quel Paese a migliorare le proprie condizioni. Ma occorrono un ambiente di lavoro migliore e migliori misure di sicurezza”. L’ipocrisia padronale, a volte, si traveste da filantropia…
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