Si resta attoniti e sconvolti a fronte delle immagini provenienti da Seul.
Corpi accatastati nei sacchi anonimi sui marciapiedi, cifre incredibili di morti, feriti e “dispersi” e un età media dei deceduti bassissima. Insomma una catastrofe.
Il tutto – come ci rimbalzano i video provenienti dai circuiti internazionali – in un contesto surreale dove il luccichio sfavillante della metropoli coreana continua incessantemente la sua (pacchiana) ostentazione e dove, persino, i lampeggianti delle autoambulanze sembrano in sintonia scenografica con gli effetti della devastazione.
Il presente come catastrofe.
E’ evidente che una tragedia di questo tipo non può essere classificata, unicamente, come il prodotto di una maledetta casualità o le conseguenze drammatiche di una particolare tipologia architettonica dello spicchio della metropoli coreana abitualmente attraversato dalla movida.
Il tema – meglio ancora il vero e proprio dilemma – che una simile vicenda segnala è come sia concepibile e possibile che centinaia di migliaia di persone siano – tutte assieme – mosse da un fremito e da una potente voglia di “agitarsi” che riempie strade e piazze per “festeggiare” un “capodanno celtico” che nel corso degli ultimi decenni – a partire dagli Stati Uniti – si è configurato, sempre più come un orgia consumistica.
Una colossale speculazione – immaginaria e materiale – con buona pace di tutta la mitologia, la simbologia e i variegati significati, più o meno mistici ed allusivi, che si richiamano ad Halloween.
Alcuni commentatori hanno fatto notare che questa festa a Seul è stata tra i primi mega/eventi dopo un lungo periodo di limitazioni a seguito della Crisi Pandemica e che lo straordinario afflusso di giovani è ascrivibile al desiderio di “socialità” che era stato compresso e limitato durante le restrizioni.
Probabilmente tale dato è tra i fattori che hanno determinato il grande afflusso ma – sempre a mò di dilemma irrisolto – resta confusa e poco chiara la conoscenza delle motivazioni vere per cui una “festa di questo tipo” genera una attrattività esagerata ed un fattore emulativo a scala internazionale.
Nelle moderne metropoli imperialiste in tutto il globo – Seul è tra le più titolate da questo punto di vista – l’industria dell’ Entertainment non è solo produzione, vendita e consumo di merci (tra cui una di tipo particolare e devastante: la droga) ma è, soprattutto, costruzione ideologica di “senso” e di “modelli comportamentali” che avviluppano le fasce giovanili e non solo.
Stiamo parlando di uno sfrenato accumulo di “miti”, di “valori” e di “stili di vita” in cui si mixano una genuina ricerca di amicizia, socialità e spinta umana ad una auspicabile rottura dei dispositivi di “nuova e vecchia” solitudine con i meccanismi spietati del Mercato, con quella specificità che Marx definiva “il carattere feticcio della merce” e con quell’insano cocktail di sessismo, razzismo, individualismo e classismo su cui si fondono le immanenti ed inumane relazioni sociali e comunitarie vigenti.
Insomma – a parere di chi scrive – la tragedia di Seul è un ulteriore aspetto di quel processo di sussunzione totale che l’egemonia dominate (nei suoi aspetti parossistici) provoca anche in ambiti e sfere che – apparentemente – ad uno sguardo veloce possono sembrare astratti e che invece sono la cartina tornasole di una produzione di morte ideale e, spesso, fisica che il corso del capitalismo genera inesorabilmente nel suo dipanarsi.
Ovviamente – di fronte ai morti e al complesso del carico di dolore proveniente da Seul – occorre discutere con sobrietà evitando superficiali approssimazioni o inutili “scomuniche”.
Da comunisti – che agiscono in questa complessa contemporaneità – dobbiamo interpretare questa fenomenologia riconducendola, oltre il dato drammatico ed emotivo della cronaca, all’analisi complessiva della “Sovrastruttura e dell’Egemonia” e di come il combinato disposto tra questi fattori agisce, prepotentemente, fin dentro la vita e la testa degli individui sociali e delle loro relazioni.
La necessità della rottura sistemica e rivoluzionaria deve fare i conti con questo tipo di “complicazioni sociali”, con l’intero arco di questioni che né derivano e che riverberano, a vario titolo, tra tutte le classi sociali.
Un compito analitico e pratico dell’oggi di cui la tragedia di Seul è solo un ulteriore triste campanello d’allarme.
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Stefan Burnett
Pyongyang è megl’ ‘e Seul
Giuseppe Aeagno
Molto bello e interessante.
Giancarlo staffo
Barbarie come normalità.. Mercato delle facili emozioni indotte dai modelli
sottoculturali dominanti e assorbite in modo totalmente a critico. “Il sonno della ragione…
c. Sergio Binazzi
Esempio lampante di come è scivolata in basso questa società
Carlo
Mi trovo in sintonia con le riflessioni di questo articolo.
In estrema sintesi definisco Halloween ” festa delle zucche vuote”. Declino inarrestabile e mode gradite al Capitale che oltre al Dio Mercato, persegue istupidimenti di massa con i quali è una parola fare i conti…