La morte, oggi, in un ospedale di Bangkok, chiude non solo la vicenda terrena di Chin Peng ma anche un’epoca della storia dell’Asia post-coloniale. Chin, il più famoso tra i leader comunisti malesi, guidò infatti, negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, una guerriglia implacabile contro il potere coloniale britannico prima di volgersi contro il nuovo Stato malese e fuggire poi esule in Thailandia.
Nato nel 1924 da una famiglia di origine cinese, si distinse presto per fedeltà ideologica e capacità militari, prima nella resistenza contro i giapponesi, poi contro i colonizzatori anglosassoni ritornati dopo il conflitto mondiale e non intenzionati a garantire l’indipendenza. A capo di 10.000 guerriglieri per un decennio tenne testa a 70.000 militari del Commonwealth in uno dei conflitti post-coloniali più lunghi e certamente il più sanguinoso su territorio malese
Capacità belliche e convinzione ideologica gli guadagnarono la fama di invincibilità, una fama che rivolse conto il governo malese successivamente all’indipendenza nel 1957 e fino al 1960, quando le difficoltà ormai evidenti della sua leadership in un paese stanco di conflitti e disilluso dall’intransigenza della guerriglia comunista, lo costrinsero a passare il confine settentrionale e rifugiarsi in Thailandia con centinaia di altri combattenti.
Solidarietà degli ex compagni di lotta e coinvolgimento nella folta comunità musulmana di origine e linga malese del meridione thailandese gli hanno fornito un rifugio sicuro, ma nessuno sforzo – ultima una battaglia legale durata anni – gli ha permesso di tornare in patria. Nemmeno il giuramento di fedeltà allo Stato malese nel 1989 e, oggi, la sua morte a 88 anni per un male incurabile hanno placato, infatti, il sospetto e il rancore che lo hanno sempre circondato anche nell’esilio.
“Per la nostra fermezza, il traditore Chin Peng non è riuscito a tornare nella sua terra d’origine fino alla morte – ha comunicato via Twitter, dopo avere appreso la notizia del decesso, Mohamad Ezam Nor, senatore della coalizione Umno al potere a Kuala Lumpur –. Una buona notizia per la Malesia e per il suo governo”.
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