Sono esattamente 6364 i voti di scarto con cui Salvador Sánchez Cerén, candidato del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln, ex guerriglia di sinistra), ha vinto il ballottaggio delle presidenziali di domenica scorsa: a decretarlo, il Tribunale supremo elettorale (Tse) che a mezzanotte ha completato il riconteggio definitivo delle schede.
A scrutinio concluso, il Fmln – con l’ex guerrigliero Sánchez Cerén e il suo aspirante vice, Oscar Ortiz candidati alla presidenza e alla vicepresidenza – ha ottenuto il 50,11% delle preferenze; al candidato della destra, Norman Quijano, con il suo aspirante vice, René Portillo Cuadra, è andato il 49.89% dei suffragi.
Già lo scrutinio preliminare, a poche ore dalla chiusura dei seggi, dava in seppur leggero vantaggio il Fmln del presidente uscente Mauricio Funes, nonostante i sondaggi prevedessero per Sánchez Cerén una comoda vittoria.
Il Tse non ritenendo il primo computo sufficiente a proclamare un vincitore, aveva quindi annunciato un nuovo conteggio, che si è bloccato almeno due volte quando i rappresentanti della coalizione di destra Arena hanno presentato una serie di ricorsi denunciando irregolarità, chiedendo l’annullamento del secondo turno elettorale e finendo per ritirarsi dal gruppo di lavoro dopo avera accusato il Tse di non aver rispettato le corrette procedure.
Il Fmln ha reagito al ricorso di Arena accusandola di voler destabilizzare il paese e scavalcare la volontà popolare. Le mosse della destra nazionalista manovrata da Washington, ha affermato in una nota il partito di governo, “intendono proseguire nel loro esercizio di destabilizzazione, assomigliando all’opposizione venezuelana e generare violenza”.
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