L’agenzia boliviana ABI riportava ieri le parole del presidente Evo Morales a proposito di agenti cileni che, sotto la copertura dell’accreditamento giornalistico, tentano di minare l’economia e destabilizzare la situazione politica della Bolivia. Morales ha ricordato come, lo scorso febbraio, “gli oligarchi e i partiti di destra cileni avessero esultato”, in occasione del referendum in cui il 51% dei boliviani si era espresso contro le modifiche costituzionali che avrebbero permesso a presidente e vice presidente di ripresentare la propria candidatura due volte di seguito. In tal modo, pur considerando l’adozione della nuova Costituzione nel 2009, alla scadenza del 2019 Morales non potrà ripresentarsi per la carica presidenziale.
La polemica con il vicino Cile avviene sullo sfondo dei contrasti territoriali tra La Paz e Santiago. Nel marzo scorso, Morales aveva detto che il Cile deve pagare alla Bolivia lo sfruttamento del Silala che, sorgendo in Bolivia, viene deviato con canali artificiali realizzati in territorio boliviano da aziende cilene, che ne utilizzano le acque a scopi industriali, soprattutto nelle miniere di rame nel deserto dell’Atacama. Sul problema del Silala, La Paz starebbe preparando una denuncia contro il Cile alla Corte di Giustizia de L’Aia, dopo aver portato di fronte al tribunale internazionale anche la questione della restituzione alla Bolivia di un proprio sbocco al mare sul suo antico litorale oceanico, perso in risultato della guerra del Pacifico del 1879-’84 contro il Cile.
A inizio maggio, Morales aveva poi protestato contro la dislocazione di basi militari cilene nelle immediate vicinanze del confine con la Bolivia, definendola “una minaccia” alla sicurezza del paese e “un atto aggressivo” e ricordando come le norme internazionali stabiliscano, per le basi militari, una distanza non inferiore ai 50 km dai confini dei paesi vicini, mentre Santiago avrebbe in programma l’apertura di una nuova base a 15 km dal confine con la Bolivia.
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