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Nadežda Savchenko presidente d’Europa

Chissà se abbia un suggeritore discreto alle spalle, oppure se i pochi mesi dietro le sbarre abbiano agito sulle facoltà psichiche di Nadežda Savchenko, la neonazista ucraina del battaglione “Ajdar” condannata in Russia perché giudicata responsabile della morte di due giornalisti russi e graziata mercoledì da Valdimir Putin.

Fatto sta che, appena insignita della stella d’oro di Eroe d’Ucraina dal presidente Porošenko, Nadja non ha tardato ad annunciare al mondo di volergli fare le scarpe. Pare ne abbia bisogno, lei: dopo l’apparizione, ieri, a piedi nudi, nell’aula deserta della Rada, dove le è stato mostrato lo scranno (durante la detenzione, è stata nominata deputato e anche membro dell’Assemblea Permanente del Consiglio d’Europa) la neonazista ha proclamato di volersi candidare alla presidenza del paese, ma anche di non voler “smettere di uccidere i russi”. La persona giusta al posto giusto: sia alla massima carica di una giunta golpista erede delle SS ucraine, sia in un Consiglio d’Europa che plaude alle scelte di Kiev.

Per quanto riguarda le dichiarazioni rilasciate dall’attuale presidente in occasione del ritorno a Kiev della “eroina nera”, secondo cui “allo stesso modo del ritorno di Nadežda, così avremo quello di Donbass e Crimea”, da Atene, dove si trova in visita ufficiale, Vladimir Putin ha detto, a proposito della Crimea, che Mosca “considera la questione chiusa definitivamente. C’è stata una decisione storica del popolo di Crimea e la cosa non si discuterà più, con nessuno” e, ricorrendo agli aneddoti, ha aggiunto: “voglia dio che il vostro vitello mangi il nostro lupo” – come dire: quando i ciuchi voleranno! – quindi “cerchiamo di non tornare più sulla faccenda”.

Per quanto riguarda invece il “ritorno del Donbass”, qualche scintilla è scoppiata dopo i commenti del portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, che aveva risposto alle parole di Porošenko dicendo che se queste sono “dettate da considerazioni umanitarie, allora il Cremlino le accoglie”. Le condizioni di un ipotetico ritorno del Donbass in ambito ucraino erano già state esplicitate dal leader della DNR Alexandr Zakharčenko. Ma a qualcuno le parole di Peskov proprio non sono andate giù: l’arciprete Vsevolod Čaplin le ha definite vergognose. “Sembra che negli ultimi giorni i nostri compagni dirigenti siano venuti definitivamente a patti con l’Occidente per le proprie egoistiche faccende (cioè: l’abolizione delle sanzioni) e i cedimenti politici”, ha detto Čaplin. “Meglio qualunque guerra, di questo. E, in fin dei conti, è necessario cacciare dal potere tutti coloro che hanno soldi, proprietà e famiglie all’estero. Cacciarli in 24 ore. Sono incorreggibili nemici del popolo. E’ un abominio di fronte al Signore, e il giudizio di Dio su di loro, i loro figli e i loro cari sia il più spietato. Pregherò per quel giudizio”, ha concluso l’arciprete. Gli ha fatto eco il diacono pietroburghese Pavel che, dal Donbass, ha detto che “la chiesa e i preti non devono stare a guardare. Se gli uomini che si battono oggi per la loro terra sono in prima linea e non possono andare in chiesa, è la chiesa stessa a dover andare da loro al fronte. Sono venuto nel Donbass perché ho sentito la necessità di sostenere la lotta di liberazione del popolo russo, la necessità di partecipare alla difesa del popolo russo qui nel Donbass”. Può succedere anche questo, oggi, nel Donbass.

 

FP

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