Il giovane Ernst Nolte, nella prima edizione di "Der Faschismus in seiner Epoche", aveva respinto ogni assimilazione tra il regime sovietico sotto Stalin, compresi i campi di lavoro, e il sistema di sterminio su basi razziali del nazismo.
Veniva detto in quel libro che l’emergere del «concetto di totalitarismo» ha contribuito ad oscurare la necessità di una teoria generale del fascismo, rallentando così la ricerca storiografica (Piper, München 1963… 1994, pp. 7-8 ). Veniva poi fatto notare che «Se per totalitarismo si intende l’opposto della forma costitutiva non-totalitaria, vale a dire liberale, in tal caso vi è
stato totalitarismo nel più remoto passato, e si dà oggi totalitarismo
come una forma universalmente diffusa dell’esistenza politica» (p.
30). Di conseguenza, egli rifiutava di sussumere «a priori» nazismo e bolscevismo «nel formale concetto di “totalitarismo”» (p. 31).
Nolte era dunque chiarissimo sull’assoluta impossibilità di equiparare i due regimi politici, ed era estremamente attento a sottolineare i condizionamenti oggettivi della dittatura staliniana. In ogni caso, affermava, «l’affinità di taluni fenomeni nei due sistemi non dovrebbe far dimenticare la contrapposizione fondamentale» (p. 637; cfr. p. 731 sgg.).
Qualche anno dopo Nolte cambierà idea e con la teoria della guerra civile internazionale (che include la tesi del contromovimento e del controannientamento) sarà uno dei protagonisti della controffensiva revisionistica che ha accompagnato sul terreno storiografico la rivoluzione passiva neoliberale. Evidentemente, lo storico tedesco ha recepito le critiche e gli avvertimenti minacciosi del liberale Karl Dietrich Bracher, il quale accostava l’opera del 1963 alla «teoria marxista del fascismo» ("Zeit der Ideologien", Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 1990, pp. 114, 120 e 137-8).
In ultimo, pur mantenendosi su posizioni fortemente orientate a destra e non distanti dalla tesi dello scontro di civiltà, Nolte non mancherà di comprendere, in chiave anche parzialmente autocritica, le conseguenze negative degli argomenti da lui indirettamente forniti alla teoria del totalitarismo.
Tra tanti banali apologeti storiografici dello pseudouniversalismo liberaldemocratico, pur nella sua finale subalternità, Nolte ha avuto comunque il merito di mettere a frutto la lezione di Nietzsche, Heidegger e Schmitt. Rimarrà perciò un buon nemico, contro il quale sarà a lungo proficuo combattere e al quale in altre circostanze sarebbero state riservate buone pallottole e un buon muro.
(Rinvio su tutto ciò al mio vecchio libro "Pensare la Rivoluzione conservatrice", La Città del Sole, Napoli, p. 30 sgg.).
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