Il New York Times svela il contenuto di documenti interni dell’agenzia mondiale antidoping (Wada), in relazione all’inchiesta sul ‘doping di stato’ varato da Mosca. “Le prove disponibili non sono state sufficienti per sostenere, contro questi 95 atleti, l’accusa relativa una violazione delle norme antidoping“, scrive Olivier Niggli, direttore generale della Wada, in un report interno ottenuto dal quotidiano. Il documento non fa riferimento all’identità degli atleti.
Secondo il rapporto stilato dall’avvocato canadese Richard McLaren, a capo della commissione indipendente creata dalla Wada, che ha dato il via alla fantasmariga accusa di massa per tutta l’atletica russa, sarebbero stati oltre 1000 gli atleti russi favoriti dalla manipolazione dei test antidoping e schierati ai Giochi olimpici e paralimpici estivi e invernali da Londra 2012 a Sochi 2014.
Sulla base di questa accusa rivelatasi insostenibule per 95 atleti su 96, gli atleti russi erano stati esclusi – tutti – dalle Olimpiadi di Rio, e solo alcuno avevano potuto partecipare ai mondiali di Londra di quest’anno; ma come “atleti indipendenti”, senza bandiera e senza inno.
Ora, arriva la notizia dell’archiviazione di quasi 100 casi. Ma lo stesso NY Times, che pure dà la notizia che smantella l’accusa (un solo “dopato” scovato), continua a volerla mantenere in piedi, domandosi retoricamente “se le strategie della Russia per la distruzione delle prove siano state efficienti al punto da impedire” la prosecuzione dei procedimenti “o se i dirigenti abbiano adottato un approccio troppo soft nell’adozione delle sanzioni“. Della serie: se ci inventavamo qualche prova, forse riuscivamo ad ottenere una condanna.
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