“Circa 1000 detenuti del Nuovo Complesso di Rebibbia hanno iniziato da lunedì 23 maggio lo sciopero della fame (di questi 300 hanno firmato la dichiarazione di sciopero), rimandando indietro i pasti forniti dall’amministrazione penitenziaria e non acquistando generi alimentari dalle imprese interne (ad eccezione di the, caffè, zucchero, camomilla e tabacchi)”. Lo rende noto una lettera diffusa dai Cobas. «Si ricorda che proprio da Rebibbia, che ‘ospità circa 1.700 persone e dove, al momento, sono impegnate nello sciopero tre sezioni, sono state spedite da tempo lettere al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, per esporre i gravi problemi legati al sovraffollamento (e non solo), senza che ad oggi sia stata data ancora alcuna risposta – continua la lettera – Tale protesta non violenta vuole sottolineare le invivibili condizioni nelle quali si trovano i detenuti di Rebibbia e della maggior parte degli istituti penitenziari italiani, soprattutto a causa del sovraffollamento e delle precarie condizioni igienico-sanitarie. Lo sciopero della fame è iniziato a Latina (dove i detenuti sono costretti a dormire con i materassi per terra per mancanza di brande e spazio dove metterle), si è diffusa ben presto in numerose carceri italiane e a Roma sta coinvolgendo anche le detenute del Femminile. Si calcola che almeno 3.000 siano i detenuti interessati alla lotta e 600 i familiari che si sono associati allo sciopero della fame; inoltre, in alcuni istituti penitenziari della Toscana e della Sardegna persino i Direttori hanno adottato proprie forme di protesta per le ormai strutturali carenze di organico sia degli agenti penitenziari che del personale dell’area educativa. Ciò sottolinea in maniera ancora più marcata il problema dell’insostenibilità delle condizioni di vita dei detenuti, che non si ha difficoltà a definire ‘ indegnè per qualunque paese civile. Quanto accade oggi nel sistema carcerario italiano rivela la totale la mancanza di rispetto per l’individuo ed è un vero e proprio insulto alla dignità della persona. La forma di protesta, fanno sapere i detenuti, durerà a tempo indeterminato e si propone di ottenere migliori condizioni di vita all’interno delle strutture penitenziarie (con l’applicazione della normativa europea che prevede 7mq a persona come spazio minimo previsto per la vivibilità interna alle celle), di diffondere la cultura del rispetto della dignità dei detenuti, i raggiungere la realizzazione di politiche sociali a sostegno degli individui e delle famiglie».
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