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La Libia “ribelle” si scopre integralista

Un capolavoro di strategia: eliminare un regime laico e installarne uno filo-qaedista. La logica petrolifera della Nato produce disastri epocali. Leggere questo lancio d’agenzia “insospettabile” di filo.gheddafismo per pcredere.

“Vedi quello? Fino a ieri fumavamo insieme l’hashish e bevevamo whisky: ora si è fatto crescere la barba, va in giro con l’Ak-47 e gli piace sentirsi chiamare mujaheddin»: la confessione arriva da un ribelle 34enne di Misurata, che preferisce rimanere anonimo. Ma le sue parole restituiscono comunque l’immagine di una rivoluzione che inizia a guardare sempre più attentamente all’Islam, come dimostra la bozza di costituzione del Cnt circolata nei giorni scorsi che individua nella sharia, la legge islamica, la prima fonte del diritto. Tra i più giovani ‘vestirsi da mujaheddin’ è quasi un fatto di moda. «Le ragazze ci guardano di più», ammicca un 20enne a un posto di blocco. Ma nei Kateba, gli accampamenti, la situazione è più seria: «Non scattare foto, altrimenti dicono che siamo di al-Qaida», si sente ripetere da giorni. All’ora della preghiera poi, i ‘comandantì- in realtà non ci sono gradi nell’esercito irregolare dei ribelli, tranne per i militari che hanno defezionato dalle forze del rais – officiano il rito, in particolare quello delle 18.30. I miliziani percepiscono l’interesse dei cronisti, e mettono le mani avanti: «Noi beviamo, facciamo quel che ci pare, non dare retta a come siamo vestiti ora», dicono, assicurando che con la fine della guerra «torneremo a vivere normalmente, non sembreremo talebani». «Ho combattuto per la libertà e per la pace. Finita la guerra tornerò a fare il camionista. La storia dei mujaheddin è solo una moda», conferma Ibrahim Mohammad al-Bus, leader di uno dei più agguerriti e celebri gruppi armati di Misurata, che oggi conta su oltre 1000 combattenti, che prende il nome dal fratello di Ibrahim, Mohammad, un eroe della rivoluzione ucciso ad aprile. «Fino a gennaio scorso i giovani erano molto ‘in stilè occidentale, anche qui a Misurata. Grande attenzione al taglio delle basette, dei baffi, molta gelatina», racconta Abdullah al-Kabir, uno degli scrittori più celebri della ‘città martirè. «Molti stanno al fronte da mesi, la barba non la tagliano per necessità. È vero che ci sono dei gruppi islamici che cavalcano l’onda, ma sono delle minoranze, non hanno futuro». Oggi in Libia «tutti hanno accesso a internet, ai social network, alla PlayStation: la società è cambiata. Ci sono i pub, i biliardi aperti fino a tardi. Certo, l’alcol è proibito, e secondo me resterà tale in tutto il Paese», continua al-Kabir, convinto che «come in passato ci saranno delle isole per gli stranieri, in particolare a Tripoli, dove si potrà anche bere. Ma solo per gli stranieri, per la società libica legalizzare l’alcol sarebbe inaccettabile». Discorso simile per i libri, molti dei quali messi all’indice dal regime di Gheddafi: «Siamo liberi di scrivere quello che vogliamo, ma attenzione a sesso e religione, perchè sarà possibile trattare questi temi ma anche molto, molto pericoloso», conclude lo scrittore, che confessa di avere in programma un libro sulle relazioni tra uomini e donne, che scriverà «in una maniera opportuna», insomma in modo da evitare un processo. O peggio.(ANSA).

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