S&P riduce 24 banche Fitch abbassa la Fiat Spread Btp/Bund a 390
Galapagos
Più problematica è la situazione del Vecchio continente: i paesi dove la crescita è superiore al 3% si contano sulle dita di una mano. Quel che è peggio è che la locomotiva europea – la Germania – sta rallentando vistosamente. Le previsioni per il 2012 danno una crescita inferiore all’1% e già si intravvedono alcuni segnali preoccupanti: l’indice Zew che misura le aspettative sull’andamento dell’economia è peggiorato in ottobre scendendo a -48,3 punti dai -43,3 di settembre. Si tratta dei livelli più bassi dal novembre 2008. Il dato – peggiore delle attese degli analisti – registra l’ottavo mese consecutivo di ribassi. Sul dato, spiega l’istituto di ricerca che cura la rilevazione, pesano i timori sugli investimenti e le attese per un calo della spesa. Secondo previsioni pessimiste, nel primo trimestre del prossimo anno il Pil potrebbe addirittura registrare un andamento negativo.
In Germania un contributo alla frenata della crescita lo sta dando la caduta della domanda di molti paesi europei che hanno varate misure correttive. Insomma, l’export tedesco è frenato e visto che la domanda interna è debole a farne le spese è il Pil. Unica consolazione per la Germania è che l’inflazione appare sotto controllo e i rendimenti sui titoli del debito pubblico (a fronte di acquisti enormi dall’estero di Bund) stanno diminuendo. Questo spiega in parte perché stanno crescendo gli spread tra i Bund tedeschi e gli altri titoli pluriennali dei maggiori paesi europei a cominciare dai Btp italiani e ai Bonos spagnoli. Ieri il differenziale di rendimento tra i Btp e i Bund ha toccato i 390 punti base (3,9%) per poi ripiegare in serata a 385 punti. Sul mercato prevale una generale avversione al rischio che penalizza i paesi periferici dell’area euro, i cui titoli vengono venduti per fare spazio nei portafogli agli affidabili Bund tedeschi. Il pessimismo ha toccato anche i titoli di stato francesi, penalizzati dalla possibile modifica dell’outlook stabile sul rating sovrano di Parigi minacciato da Moody’s: lo spread tra il Bund e l’OaT francese ha superato i 100 punti base, arrivando a 110 punti base, il nuovo record dall’introduzione dell’euro.
In questa situazione un aiuto ai paesi europei potrebbe arrivare da una forte discesa delle quotazioni dell’euro sia nei confronti del dollaro che dello yen. Ma l’euro, nonostante la situazione critica dell’Europa, soprattutto nei confronti del dollaro è stabile oscillando attorno quota 1,35 e ieri, anche se in ribasso, era a poco meno di 1,37. Il problema è che anche l’economia statunitense è fragile e il dollaro che tendenzialmente non può recuperare terreno rispetto all’euro, fa dei piccoli balzi unicamente perché gli investitori internazionali, vista l’aria di crisi che tira, seguitano a investire negli Usa. In agosto, ad esempio, i flussi netti di capitale hanno registrato un saldo positivo di 57,9 miliardi di dollari, in rialzo da 9,5 il mese precedente. L’unica novità è solo che sono diminuiti gli investimenti della Cina che, tuttavia, detiene oltre 1.200 miliardi di dollari di bond statunitensi.
Le brutte notizie per l’Italia non arrivano solo dallo spread. Ieri, infatti, Standard and Poor’s ha annunciato di aver ridotto i rating di 24 istituti bancari fra cui Mps, Ubi e Bpm, a causa del deterioramento del clima economico in Italia. «Non riteniamo – scrive S&P – che questo difficile clima operativo sia transitorio o facilmente reversibile». Confermati invece i rating di Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Fitch ha, invece, abbassato il rating di lungo termine di Fiat a «BB», con outlook negativo.
Da “il manifesto” del 19 ottobre 2011
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Michelangelo Cocco PECHINO
Cina/ IL PIL È CRESCIUTO «SOLO» DEL 9,1%
Un elefante in bicicletta, la seconda economia del pianeta rallenta
Per il terzo trimestre la produzione cinese decelera. È il dato peggiore da due anni
Visto dall’Europa travolta dalla crisi, il +9,1% fatto registrare dal prodotto interno lordo (pil) cinese nel terzo trimestre di quest’anno potrebbe apparire un risultato straordinario. Ma gli economisti di Pechino paragonano il Paese che dalle riforme di Deng Xiaoping cresce a un tasso medio annuo del 9,4% a un elefante in bicicletta: se rallenta, cade e fa tremare la terra. E per la seconda economia del pianeta quello ufficializzato ieri rappresenta il dato peggiore da due anni a questa parte, nonché il terzo trimestre consecutivo in cui la produzione ha decelerato, rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente. Dovendo fare i conti con la recessione alle porte dei suoi principali partner commerciali (Europa e Usa) logico che anche la Repubblica popolare si preoccupi.
Un disastro? Niente affatto. L’inflazione è scesa al 6,1% e, anche se si mantiene ben al di sopra dell’obiettivo previsto del 4%, molti analisti si dicono convinti che quella che il premier Wen Jiabao ha definito una «tigre» stia per essere rimessa in gabbia grazie alle politiche aggressive dell’ultimo anno: alle banche è stato imposto per nove volte di aumentare le riserve valutarie, la Banca centrale ha alzato il tasso d’interesse per cinque volte consecutive nel corso del 2010, gli istituti di credito sono stati inoltre obbligati a contenere i prestiti e sono stati posti limiti al numero di appartamenti acquistabili per tentare di sgonfiare la bolla immobiliare. Il mese scorso in 59 città – sulle 70 censite dall’Ufficio centrale di statistica (Nbs) – i prezzi delle nuove case sono aumentati meno dello stesso periodo dell’anno precedente, proseguendo il trend di agosto, quando il raffreddamento era stato registrato in 40 centri su 70.
Secondo il Nbs ci sono ottime possibilità che, nonostante la crisi internazionale, l’economia cinese continui a crescere, in maniera più equilibrata, anche nei prossimi mesi. Insomma tutti si augurano che stia procedendo per il meglio il piano definito di «atterraggio morbido» che prevede una diminuzione controllata sia della crescita che dell’inflazione. In particolare l’obiettivo del Partito comunista (Pcc) è quello di aumentare la domanda interna per diminuire la dipendenza dall’export.
Anche gli esperti del Fmi che lo scorso fine settimana hanno presentato le loro stime per il 2012 sperano che queste previsioni si avverino, ma c’è un grosso «ma» che si chiama Europa, perché la crisi delle banche europee e dei debiti sovrani rischia di far crollare la domanda dal Vecchio continente (il primo acquirente dei prodotti cinesi, 380 miliardi di dollari nel 2010). «La traiettoria dell’economia cinese nei prossimi 18 mesi dipenderà interamente da quella della crescita europea – ha spiegato alla Bbc Alistair Thornton, analista di IHS Global Insight. – Se le cose non vanno come previsto in Europa, allora potremo trovarci di fronte a una situazione simile a quella del 2008-2009». A quel punto alle autorità non resterebbe che allentare la politica fiscale, come chiedono le piccole e medie imprese penalizzate dalla stretta creditizia degli ultimi mesi.
Sempre che non abbia ragione chi invece ritiene che la crescita di una classe media in grado di aumentare in maniera costante e massiccia i propri consumi (le vendite al dettaglio hanno fatto registrare un + 17,7% a settembre) e gli investimenti interni (il Paese è un immenso cantiere) abbiano in realtà già messo la Cina al riparo da eventuali shock esterni.
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Anna Maria Merlo PARIGI
FRANCIA Deficit e debito troppo alti. Moody’s mette il paese sotto «sorveglianza» per tre mesi
La spada del rating su Parigi
La batosta arriva alla vigilia della finanziaria 2012, l’ultima sotto la presidenza di Sarkozy. Il governo annuncia nuovo rigore, ma sempre per i soliti. Le proteste del Ps
La Francia teme il «contagio». L’agenzia di rating Moody’s ha messo il paese sotto «sorveglianza», si dà tre mesi per verificare se Parigi merita ancora il voto AAA, il più alto. In caso contrario, la Francia sarà posta in una «prospettiva negativa», che è l’anticamera per il degrado, per un paese dove gli interessi sul debito sono già il primo capitolo di spesa (più della scuola).
La notizia ha fatto l’effetto di una bomba, alla vigilia dell’inizio all’Assemblea della discussione della finanziaria per il 2012, l’ultima sotto la presidenza Sarkozy. Il presidente che verrà eletto il 6 maggio prossimo, che sia Hollande o lo stesso Sarkozy, sa già che una delle prime mosse sarà un correttivo alla finanziaria, in peggio. Il governo ha fatto i calcoli senza l’oste, prevedendo una crescita dell’1,75% il prossimo anno, che nessun economista giudica credibile. Dati più realisti situano le previsioni di crescita sotto l’1,5%, più realisticamente attorno all’1% (dopo più 1,6% quest’anno). I ministri corrono ai ripari. «Ci adatteremo» afferma il responsabile delle finanze, François Baroin, mentre il primo ministro, François Fillon, abbassa le braccia e dice: «è impossibile fare previsioni per il 2012». Restano troppe incognite. La Francia, che ha fino a fine anno la presidenza del G8-G20, punta tutto sul «successo» del vertice di Cannes, all’inizio di novembre, riunione che farà seguito al Consiglio europeo del 23 ottobre, dove i 27 dovrebbero prendere delle decisioni precise, sull’onda delle proposte avanzate congiuntamente da Sarkozy e Angela Merkel. Ma a Parigi regna la confusione, dopo le ultime dichiarazioni del ministro tedesco delle finanze, Wolfgang Schaüble, che ha gettato acqua sul fuoco e prevede che domenica prossima la Ue non prenderà «nessuna decisione definitiva».
La Francia è in bilico per conservare le tre A, perché ha un deficit del 5,7% e un debito pari all’86% del pil. Il governo annuncia nuovo rigore, ma sempre per i soliti: ha aumentato le tasse sulle Mutuelles (le casse integrative del sistema sanitario), prosegue nella cura dimagrante del numero di pubblici dipendenti (non viene rinnovato un posto su due quando un funzionario va in pensione, in tutti i settori, a cominciare dalla scuola). A malincuore, ha deciso di chiedere un «contributo eccezionale» agli alti redditi (più di 250 mila euro l’anno). L’opposizione, rafforzata dalla vittoria al Senato, passato a sinistra per la prima volta nella V Repubblica, e dalla fine delle primarie del Ps, parte all’attacco. Michel Sapin, fedele di François Hollande, afferma: «è possibile fare altrimenti». Il dibattito sulla finanziaria si trasforma così in un primo round elettorale in vista delle presidenziali. Per il Ps, la finanziaria preparata dal governo Fillon, «è senza colonna vertebrale». Il Ps sottolinea che ai più ricchi il governo attuale chiede uno sforzo tre volte meno forte che alla maggioranza dei francesi. Il Ps propone un nuovo scaglione di imposta al 46% a partire da redditi dai 150 mila euro l’anno. Vuole rivedere la patrimoniale, ultimamente alleggerita da Sarkozy, facendo perdere al fisco 1,8 miliardi di euro (esentando i detentori di patrimoni fino a 1,3 milioni di euro). La sinistra vuole anche recuperare un margine di manovra per gli enti locali, dando loro un po’ di autonomia fiscale, che Sarkozy ha tolto con la riforma della tassa professionale. La disputa sulla finanziaria è delicata, perché rischia di inchiodare la sinistra come «il partito delle tasse» (il Ps prevede entrate fiscali in aumento di 10-15 miliardi). I socialisti denunciano una finanziaria che mantiene i regali fiscali per i ricchi, senza intervenire sulla disoccupazione. 5,7%
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