Ventuno rinvii a giudizio per gli attivisti del circolo Fuoriluogo di Bologna. L’accusa è pesantissima: associazione a delinquere aggravata dalla finalita di eversione. Il dibattimento comincerà il 31 maggio. Il gup di Bologna ha così dato uno sbocco processuale all’operazione Outlaw, che un anno fa portò all’arresto di dodici persone su un totale di ventisette indagati. L’accusa ha visto accogliere praticamente tutte le sue istanze – fatto salvo il proscioglimento di sei persone – , soprattutto il ripristino dell’aggravante dell’eversione, cancellata alcuni mesi fa dal tribunale del Riesame. Così, per gli investigatori, i militanti di Fuoriluogo avrebbero messo diverse azioni di danneggiamento e promosso numerose manifestazioni pubbliche sfociate in scontri con le forze dell’ordine.
In particolare, cinque attivisti sarebbero, per investigatori e gup, i “promotori dell’associazione”, con la loro posizione che in questo modo andrebbe a risultare più grave rispetto alle altre. Dal canto suo, la difesa – pur soddisfatta dai sei “non luogo a procedere” – non può che rammaricarsi per la decisione di ripristinare l’aggravante dell’eversione. L’avvocato Ettore Grenci – infatti – si è definito “molto perplesso” e convinto che si tratti per lo più di “costruzioni infondate”. “Una cosa sono i singoli reati – ha detto il legale al sito Zic.it –, di cui i responsabili devono rispondere se sono giudicati colpevoli di averli commessi. Un’altra cosa, però, è far discendere l’associazione per delinquere dal fatto che alcuni commettano reati. E’ un concetto che non puo’ passare e che cozza con la libertà di associazione”.
L’operazione Outlaw partì alla fine del 2006, “con l’apertura del circolo dove gli anarchici insurrezionalisti ed ambientalisti si davano appuntamento, facendolo diventare centro di interesse nazionale per incontri legati a tematiche politiche, sfruttate in ragione delle loro azioni”. Gli uomini della Digos e della Direzione centrale della polizia di prevenzione hanno portato avanti le indagini a colpi di pedinamenti e grazie a un “grosso dispendio di risorse tecnologiche”. Inoltre, ancora secondo gli investigatori, esisterebbero un’intercettazione telefonica “rilevante” e un documento “inequivocabile” che collocherebbero “un esponente anarchico” sulla scena del crimine il 29 marzo del 2011, quando quattro ordigni esplosero davanti alla sede dell’Eni a Bologna.
Fonte: Mario di Vito, Eilmensile 27 aprile 2012
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