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Magistrati contro governo sull’Ilva

Napolitano ha firmato il decreto governativo per restituire a Riva l’azienda e continuare la produzione in cambio della “promessa” di renderla meno inquinante. Ma a questo punto si apre un conflitto istituzionale tra magistratura e gli altri due poteri dello Stato – il legislativo e l’esecutivo – manifestamente piegati nella difesa dell’interesse privato (i profitti della famiglia Riva, nascosti sotto “la difesa dei posti di lavoro”).

All’interno della procura tarantina il dado appare ormai tratto: la posizione che appare prevalente giudica che la funzione legislativa crea interferenze con l’ordine giudiziario: e, soprattutto, il decreto legge del governo per l’Ilva di Taranto non difende il diritto alla salute e mette in discussione le perizie epidemiologiche e chimiche che sono state affrontate nell’incidente probatorio.

C’è un dato di fatto ormai indiscutibile: l’Ilva inquina e provoca danni alla salute e il decreto legge che ‘salvà il colosso siderurgico non può cancellare il pericolo attuale e concreto ancora esistente. La firma di Napolitano apre dunque nei fatti un contenzioso senza precedenti.

“La questione è complicata”, ammette il procuratore di Taranto, Franco Sebastio. La procura ionica sta valutando le due possibili vie: una è chiedere al giudice che sia proposta una questione di legittimità costituzionale del decreto, l’altra è sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione allo stesso decreto.

L’occasione potrebbe essere già l’udienza davanti al tribunale del Riesame del 6 dicembre, ma difficilmente sarà completato per questa data – molto ravvicinata – l’esame del decreto con tutte le sue implicazioni giuridiche. “Saranno verificati – dice Maurizio Carbone, segretario dell’Anm e pm a Taranto – gli effetti immediati dell’entrata in vigore del decreto legge che in quanto tale i magistrati sono tenuti ad applicare e ad osservare come qualsiasi disposizione di legge”. Poi “verranno verificati nelle sedi opportune – aggiunge – gli eventuali rimedi e la possibilità di sollevare conflitti di attribuzione o eccezioni di incostituzionalità laddove dovessero essercene i profili”.

Il decreto, insomma, – ribadisce Carbone – “desta più di qualche perplessità oltre ad essere una forte assunzione di responsabilità da parte del governo nel momento in cui ritiene di superare i provvedimenti giudiziari e la situazione di pericolo esistente attraverso l’intervento normativo”. Il decreto, sottolinea ancora Carbone, “vanifica gli effetti di provvedimenti cautelari sui quali era già intervenuto un giudicato cautelare nel senso che il sequestro preventivo di luglio è stato giudicato dal riesame e verso il provvedimento del riesame non è stato, da parte dell’Ilva, sollevato il ricorso in Cassazione”.

Intanto, il ministro dell’ambiente Clini spiega che nella stesura finale il testo “estende a tutte le imprese di interesse strategico nazionale con più di 200 addetti, gli impegni al disinquinamento compresi il ricorso a sanzioni (fino al 10% del fatturato) e l’adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria in caso di inadempienza”, e “rappresenta non solo una risposta responsabile all’emergenza innescata dalla situazione dell’Ilva, ma indica una via replicabile in analoghi casi ove si ravvisino gravi violazioni ambientali e condizioni di pericolo per la salute pubblica”. Lungi dal rappresentare un’eccezione, dunque, il decreto inaugura una politica di militarizzazione in difesa della proprietà privata, qualsiasi sia il livello di pericolo rappresentato da una determinata attività produttiva. Invece di risolvere il problema dell’inquinamento salvaguardando posti di lavoro e livelli di reddito (tramite l’esproprio degli imprenditori incapaci di fare il loro mestiere rispettando la salute di dipendenti e popolazione circostante), Monti & co. Decidono di “protegere” le aziende pericolose dal controllo della magistratura e dei lavoratori. A questo e non altro serve la “dichiarazione di zona di interesse strategico” se non accompagnata dallìassunzione della gestione pubblica – non più privata – delle stesse aziende. Se davvero ci fosse, infatti, un “interesse strategico nazionale”, la cosa più logica e sicura sarebbe allontanare gli imprenditori avidi e irresponsabili, sostituendoli con personale competente e investendo – ovviamente – in prima persona come “pubblico”.

Nello stabilimento, intanto, una nuova notizia preoccupa le tute blu: l’Ilva sta per consegnare le lettere di cassa integrazione ai dipendenti dell’area a freddo. Potrebbe farlo oggi o domani. Non si conosce al momento neppure il numero dei lavoratori interessati”. L’azienda ha convocato i sindacati per mercoledì. Si dovrà discutere anche della cassa integrazione disposta per 1.031 lavoratori dell’area a caldo a causa dei danni provocati dalla tromba d’aria: scade oggi ma alcuni impianti non sono stati ancora ripristinati e potrebbe essere prolungata.

Intanto il gip Patrizia Todisco, oggi, ha respinto l’istanza di revoca degli arresti in carcere di Girolamo Archinà, l’ex responsabile delle pubbliche relazioni all’Ilva arrestato il 26 novembre per corruzione in atti giudiziari, associazione per delinquere e falso. È stato anche interrogato l’ex assessore provinciale all’Ambiente, Michele Conserva, il rappresentante dell’azienda di consulenza ambientale Promed, Carmelo Delli Santi, che si trovano agli arresti domiciliari; e il funzionario istruttore della Provincia, Giampiero Santoro, destinatario di una richiesta di interdizione. Ai tre è contestata l’associazione a delinquere finalizzata alla concussione.

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