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Secondino rubava i soldi per i detenuti

La “legalità” è un bel concetto, ma una pratica di vita difficile. E capita che proprio i “tutori della legge” si rivelino spesso solo dei prepotenti ben ricantucciati dietro il proprio ruolo.
A Sulmona, un secondino (tecnicamente: agente di polizia penitenziaria) “integrava” il suo stipendio appropriandosi dei soldi dei dentenuti. Addetto alla posta del carcere, selezionava le lettere (con il potere della censura carceraria, ci sono degli agenti che possono aprirle, leggerle e quindi darle al detenuito), le “alleggeriva” nel caso dei soldi che i parenti – a mezzo vaglia postale – cercavano di inviare al congiunto dietro le sbarre, e se li teneva. 
Per regolamento, in questi casi, visto che i detenuti non possono avere soldi liquidi a disposizione, i soldi andrebbero “caricati” sul conto individuale, un apposito “libretto” da cui i detenuti prelevano il necessario per fare la spesa interna (giornali, sigarette, alimenti aggiuntivi, ecc).
Protagonista della vicenda l’agente M.C. 47 anni, sospeso dal servizio a Sulmona, rinviato a giudizio con l’accusa di peculato. A far partire l’inchiesta sono stati proprio alcuni reclusi che aspettavano soldi per Natale dai parenti.
L’imputato separava i vaglia dalle lettere per poi tornare il giorno dopo all’ufficio postale a cambiarli.

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