Squarci di vita e moralità del padronato italiano. Non serve la letteratura, per capirci qualcosa; né la sociologia. Ci vogliono gli atti giudiziari, perché non a tutti è concesso di andare a guardare negli abissi dell'”imprenditorialità” di questo paese.
I Riva sono al centro delle indagini ormai da un paio d’anni, ma ancora c’è molto da scoprire, a quanto pare. E’ stato emesso un mandato d’arresto, dalla procura di Milano, per Fabio Riva, già coinvolto nell’inchiesta della Procura di Taranto sull’Ilva. Fabio Riva, da quanto si è saputo, si trova in Inghilterra.
A Fabio, figlio di Emilio, patron dell’Ilva di Taranto, viene contestata una truffa ai danni dello Stato per centinaia di milioni di euro, per l’erogazione di contributi all’esportazione che sarebbe stata realizzata attraverso la holding Riva Fire. Per lui sarebbe stato emesso un mandato d’arresto, dal momento che è residente a Londra. Altre due persone, invece, sono state arrestate: un dirigente della Riva Fire e un professionista. Indagata anche la società Riva Fire.
Da quanto si è saputo questa è una terza tranche di una inchiesta più ampia della procura di Milano su vicende finanziarie, societarie e fiscali del gruppo Riva. In questa tranche, in particolare, i pm ipotizzano una truffa aggravata dello Stato per l’erogazione di contributi per l’esportazione. Una presunta truffa del valore di centinaia di milioni di euro. La Gdf di Milano starebbe eseguendo anche dei sequestri.
A Fabio Riva e ad altre persone viene contestata anche l’accusa di associazione per delinquere, oltre a quella di truffa aggravata. E’ quanto si è appreso in relazione all’ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo. La truffa è di circa 100mln di euro e sarebbe stata realizzata attraverso la creazione di una società ad hoc per ottenere contributi pubblici. In pratica, la famiglia si sarebbe fatta concedere dallo Stato fondi rilevanti – gli “incentivi all’esportazione”, appunto, senza averne diritto e utilizzandoli per scopi non previsti dalla legge (le altre inchieste hanno appurato, tra l’altro, che la famiglia Riva “rubava” alla propria stessa azienda per accumulare liquidi da investire nella finanza oppure in consumi privati di lusso.
Secondo le indagini della Procura di Milano, i dirigenti del Gruppo Ilva, tra cui lo stesso Fabio Riva, avrebbero creato una società ad hoc con sede in Svizzera, l’Ilva Sa, per aggirare la normativa (la ‘legge Ossola’) sull’erogazione di contributi pubblici per le grandi aziende che esportano all’estero. In sostanza, la normativa prevede che le aziende, che hanno commesse estere e però ricevano i pagamenti dall’estero in modalità dilazionata nel tempo, possano ricevere stanziamenti a fondo perduto da una società, la Simest, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti.
L’Ilva, però, non avrebbe potuto avere queste erogazioni, secondo l’accusa, perché riceveva pagamenti in seguito alle commesse estere con dilazioni a non più di 90 giorni. E così, sempre secondo le indagini, sarebbe stata costituita la società svizzera che prendeva le commesse all’estero e poi si interfacciava con l’Ilva spa. A quel punto, i pagamenti dalla società svizzera all’Ilva venivano dilazionati nel tempo in modo da poter rientrare nella normativa sulle erogazioni pubbliche.
Lo scorso maggio, la prima tranche dell’indagine aveva portato al sequestro di 1,9 miliardi di euro per i reati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. I pm, infatti, hanno ipotizzato che il patron Emilio e il fratello Adriano Riva assieme ad alcuni professionisti abbiano sottratto soldi alle casse dell’Ilva, nascondendoli in paradisi fiscali e facendoli poi rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale.
La Procura di Milano, inoltre, sta indagando sui rapporti tra la holding Rive Fire di Emilio Riva e la controllata Ilva con l’ipotesi di appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza del colosso siderurgico.
Se questi sono quelli che dovrebbero “far crescere l’Italia” e promuovere loccupazione…
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