Succede all’epoca del coronavirus, che quando incontra l’altro virus che già imperversa nel Paese, il precariato, produce un mix impetuoso di disagio, rabbia e necessità di soluzione tra le fasce deboli della società. E come succede per tutte le emergenze, non si può che reagire con la lotta.
Ieri mattina, un centinaio di lavoratori, organizzati da Adl Cobas e USB, si sono riuniti sotto la torre della Regione Emilia Romagna per chiedere che vengano prese delle misure serie e sostenibili anche per il loro reddito, che rischia di essere azzerato in queste settimane di non lavoro, a causa della chiusura di molti servizi legati al welfare e al mondo della cultura.
“Siamo qua per chiedere il pagamento dei nostri stipendi per le ore non svolte durante la chiusura delle scuole- spiega Laura, educatrice scolastica- a oggi non abbiamo nessuna certezza su come verranno pagate queste ore. Prendiamo stipendi molto bassi e per questi motivi chiediamo che vengano riconosciute queste ore, come avviene per gli insegnanti e i dirigenti scolastici. Non vogliamo essere lavoratori di serie B”.
Un doppio appello sotto la Regione: “Debelliamo il coronavirus, ma debelliamo anche il virus degli appalti e della precarietà”.
La politica emergenziale fatta di provvedimenti speciali e stati d’eccezione non può essere praticata a spese dei lavoratori, già precari e sottopagati per tutto l’anno, in condizioni ordinarie. I lavoratori chiedono che emerga chiaramente la volontà politica a livello centrale di creare un piano di sostegno ai territori colpiti dalla quarantena e la garanzia del pieno stipendio di tutti quei lavoratori e lavoratrici che in queste settimane sono senza lavoro.
Una delegazione si è confrontata in mattinata coi capigruppo di PD, Coraggiosa e M5S, in merito ad alcune richieste, che a partire dalla necessità materiale di essere sostenuti sul piano economico in queste settimane di emergenza, hanno messo sul piatto della discussione una questione molto più strutturale e dirimente: la necessità di reinternalizzare tutti i lavoratori in appalto nelle scuole e negli altri enti pubblici, per chiedere un cambio di passo rispetto alle politiche di privatizzazione degli ultimi decenni.
Se da un lato i palazzi del potere elaborano misure drastiche di gestione “apocalittica” di questa epidemia, con la “scusa” della gestione dell’emergenza si stanno sdoganando alcuni meccanismi di sfruttamento del nuovo millennio, dallo smart-working, al telelavoro, e alle molte forme di lavoro a cottimo, lavoro a singhiozzo, ecc… Tutto ciò non è sostenibile e non è pensabile che se la necessità di gestire l’emergenza coronavirus lasci a casa migliaia di lavoratori, o che ancora peggio incentivi meccanismi di sfruttamento ancora peggiori delle condizioni “ordinarie” di lavoro.
Il prossimo 6 marzo il neo-insediato consiglio regionale si riunirà a porte chiuse per discutere di questo e degli eventuali provvedimenti da prendere nelle prossime settimane.
Nel frattempo, dopo questo primo appuntamento sotto la Regione, lavoratori e sindacati si sono ridati appuntamento per tenere alta l’attenzione su di loro e sulla necessità di trovare una soluzione urgente alle loro condizioni di lavoro.
Come ha ben riassunto lo striscione degli educatori ieri in Regione “Noi l’emergenza coronavirus non la paghiamo!”.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa