Come abbiamo spiegato più volte, c’è una crisi energetica e una ambientale – che si sviluppano contemporaneamente – ma in modo non indipendentemente da quella economica.
L’esempio più noto è quello degli idrocarburi (petrolio, gas, ecc), il cui esaurimento progressivo (e irreversibile) è testimoniato da un prezzo tornato intorno ai 100 dollari al barile anche in un fase di ormai aperta recessione (quindi di tendenziale calo della domanda).
Adesso Il Sole 24 Ore rilancia l’allarme – non è la prima volta, ma ora i tempi stanno diventando stretti – riguardo ad alcuni minerali strategici per le nuove tecnologie in genere (anche se, in modo assai strumentale e furbetto si titola solo sulle “energie rinnovabili”). Da sottolineare come l’accenno alla Cina – paese in cui si trova la maggioranza assoluta di “terre rare” – lasci intravedere anche nuove ragioni di conflitto geostrategico.
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Le rinnovabili rischiano per colpa delle Terre rare
Lo sviluppo delle energie rinnovabili in Europa potrebbe essere presto frenato dalla mancanza di disponibilità di alcune materie prime. Questo pericolo è al centro del rapporto messo a punto dall’Institute for Energy and Transport del Joint Research Centre della Commissione Europea. Il documento, intitolato Critical Metals in Strategic Energy Technologies, lancia l’allarme soprattutto su cinque materiali: indio, gallio, tellurio, neodimio e disprosio, i primi tre utilizzati nel fotovoltaico, gli ultimi due per realizzare gli impianti eolici. I cinque metalli fanno parte dell’elenco delle cosiddette “Terre rare”, cioè quegli elementi chimici scarsamente disponibili, come si intuisce dal nome, e che però oggi stanno diventando sempre più indispensabili come componenti delle nuove tecnologie, da quelle legate alla Green economy fino ai più comuni telefoni cellulari.
La tensione creata dall’aumento della domanda non solo provoca un aumento dei prezzi di questi metalli, ma può generare delle vere e proprie crisi di scarsità. Almeno per l’Europa, che è quasi completamente sprovvista di miniere da cui si estraggano Terre rare. Il maggiore produttore al mondo (e il Paese con le maggiori riserve) è invece la Cina, che con il suo imponente sviluppo ha sempre più bisogno per la propria industria di queste materie. E che può usare la propria posizione dominante anche come arma nei confronti degli altri Paesi. Infatti la Cina ha già ridotto le esportazioni e continua la propria penetrazione in Africa, dove ci sono miniere di almeno alcuni elementi. Già un anno fa l’amministrazione statunitense aveva lanciato un allarme del tutto simile a quello che oggi il Joint Research Centre paventa per il nostro continente. Non tutti, va detto, sono d’accordo con una visione così cupa del futuro. Uno studio di Ihs Global Insight pubblicato appena il mese scorso, per esempio, ha previsto che la Cina possa scendere nel giro di 5 anni sotto il 50% della produzione di Terre rare, cambiando radicalmente la situazione rispetto ad oggi.
Il rapporto del Jrc si è concentrato sulle tecnologie che l’Unione europea considera strategiche e che infatti sono incluse nello Strategic Energy Technology Plan (Set-Plan) della Commissione, ovvero eolico, fotovoltaico, nucleare, biomasse, sequestramento dell’anidride carbonica e creazione di reti intelligenti (smart grid). Per capire quali materiali possano creare problemi gli esperti hanno messo a confronto la domanda che l’Europa potrebbe esprimere tra il 2020 e il 2030 e la produzione di ciascun elemento nel 2010. Se la domanda europea supera l’uno per cento della disponibilità dello scorso anno, la situazione viene considerata a rischio. E in questa fascia, in realtà si sono ritrovate ben 14 sostanze: oltre ai cinque metalli già citati nell’elenco ci sono stagno, afnio, argento, cadmio, nichel, molibdeno, vanadio, niobio e selenio. Indio, gallio, tellurio, neodimio e disprosio sono però quelli messi peggio e considerati “ad alto rischio”.
Le strategie per far fronte alla situazione individuate dal gruppo di studio sono molte, ma nessuna sembra decisiva. Si va dall’incentivare gli studi alla ricerca di accordi commerciali, dall’investimento sulle ricerche per riuscire a riciclare i materiali dai prodotti che man mano arrivano a fine vita alla ricerca di materiali alternative. Il recupero attraverso il riciclaggio dei rifiuti, però non sembra per ora molto praticabile: anche se sarebbe più economico rispetto all’estrazione di nuovo materiale, è proprio impossibile dal punto di vista tecnologico. E anche la sostituzione di metalli rari con altri elementi più facilmente disponibili o con nuovi composti non è ancora un’alternativa reale. L’Europa, insomma, sembra destinata ancora a soffrire.
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Il problema della carenza di terre rare, ma anche dei cosiddetti metalli rari che sono più di 50, impatterà pesantemente sulle economie occidentali, con conseguenze difficilmente prevedibili.
Questo problema, come spesso accade, nasconde anche delle opportunità, come quella del riciclo. Riuscendo a riciclare I cosiddetti rifiuti elettronici si potrebbero ricavare oltre ai metalli preziosi anche i metalli rari. Purtroppo la tecnologia disponibile non rende al momento conveniente questa operazione. Ma l’Europa, e perchè no anche l’Italia, potrebbero investire nello sviluppare tecnologie di riciclo dei metalli rari che sarebbero doppiamente virtuose: recupero di metalli rari the rifiuti elettronici per garantire un futuro alle tecnologie verdi.