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Terremoto. Condanna a sei anni per la “Commissione grandi rischi”

E per la popolazione della città, comunque, non si tratta di una “sentenza esemplare”.
Sei anni? «Sò pochi, hanno fatto bene, benissimo». In piazza Duomo i cittadini aquilani riuniti sotto al tendone per ascoltare il sindaco su tasse e tributi, è come se fossero ancora lì, sotto le macerie, quella notte del 6 aprile del 2009, commentano così, a caldo, e senza sconti, le notizie sulla sentenza Grandi Rischi che ha condannato i sette imputati a 6 anni di reclusione contro i quattro chiesti dalla Procura.
Domenico Di Giambelardino spiega: «Ci hanno rassicurati, e poi siamo morti dentro casa». Anna a sua volta ripete «va bene, ma non c’è niente da esultare, perchè ci fa capire che quei morti si potevano evitare». Mentre adesso tutto l’ interesse degli aquilani è rivolto a quanto il governo ora chiede in termini economici da restituire, i commenti sulla sentenza aprono di nuovo un’altra piaga dolorosa e rafforzano le convinzioni sui torti subiti. «Salutiamo la sentenza con soddisfazione – spiegano appena fuori il tendone gli aquilani – quella superficialità ce la ricordiamo bene, così come ci ricordiamo l’invito a berci quel famoso bicchiere di Montepulciano, per non farsi prendere dalla paura. La sentenza spiega che responsabilità ci furono».
C’è chi ricorda anche quella drammatica serata quando «qui in piazza Duomo fu proprio Sandro Spagnoli, che era il capo della Nuova Acropoli che era la protezione civile dell’epoca, a spiegarci di stare tranquilli: e lui stesso morì sotto le macerie». E nello stuolo di avvocati compare quello ‘mandato dal cielo’: «Tra le repliche e la sentenza sono andata al cimitero a trovare mio nipote: sentivo dire che gli imputati avevano una grande scuderia di avvocati, ma stavolta ha vinto il mio ‘avvocato celeste’», ha detto commossa Antonietta Centofanti, zia di Davide, morto nella Casa dello Studente.
Ci sentiamo molto in sintonia con il sentimento della popolazione dell’Aquila. L’unica cosa che ci sentiamo di aggiungere è che questa sentenza, al di là della “conguità” della condanna, dovrebbe servire a scoraggiare quanti aspirano a un “posto in commissione” – qualunque essa sia – per avere un gettone di presenza in più. Chi gestisce va sempre considerato responsabile, gli onori vanno uniti agli oneri. E se fai bene, bravo; ma se sbagli, paghi.
Punto.

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