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Val Susa: liberati i due No Tav arrestati dopo il blitz al cantiere

Il quarantunenne Emanuele Davì e il trentatreenne Cristian Rivetti, i due attivisti No Tav originari di Mattie arrestati dopo l’assalto al cantiere della Torino-Lione alla Maddalena di Chiomonte di venerdi’ sera, sono stati scarcerati nella tarda serata di ieri.  Il giudice delle indagini preliminari, Elisabetta Chinaglia, ha deciso di non convalidare l’arresto, nonostante la richiesta di mantenimento della custodia cautelare effettuata dai pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, durante l’udienza di convalida tenutasi ieri mattina. Gli avvocati dei due No Tav, Marco Melano e Federico Milano, sono riusciti a dimostrare l’innocenza dei due attivisti, provando che entrambi non erano presenti alla Maddalena nelle ore in cui è avvenuto il blitz. Uno degli arrestati  aveva anche il cartellino di lavoro timbrato nella stessa ora in cui si é svolto l’attacco alla Maddalena, tra le 21.30 e le 22.40, dimostrando quindi la sua estraneità ai fatti. La Digos li aveva poi arrestati alle 23, quando ormai gli scontri erano terminati, a Giaglione. Rivetti infatti sarebbe stato a lavoro a Ferriere fino alle 22, poi avrebbe incrociato Davì a Bussoleno da dove i due sarebbero saliti insieme con l’auto di quest’ultimo fino a Giaglione.
Ieri alcune centinaia di persone hanno accolto i due attivisti intorno alla mezzanotte al loro arrivo in treno alla Stazione di Bussoleno. “Crolla ancora una volta il castello di sabbia di Questura e Procura – hanno detto alcuni attivisti ai giornalisti presenti – che scarcera i due, arrestati per pura rappresaglia”.

E dopo il buco nell’acqua dei due arresti di venerdì ora gli inquirenti puntano il dito su una ‘talpa’ all’interno del fortino di Maddalena di Chiomonte. Qualcuno potrebbe aver aiutato “dall’interno” i militanti No Tav che hanno assaltato le recinzioni riuscendo anche a penetrare in alcuni punti nel cantiere dopo aver disattivato e sabotato alcune installazioni, tra le quali una torre faro che una volta spenta ha lasciato al buio buona parte dell’area occupata da Polizia, Carabinieri, Finanza ed Esercito. Almeno è ciò che sostengono ora gli investigatori, secondo i quali il quadro elettrico, che si trova in un punto non visibile dall’esterno del cantiere, sarebbe stato incendiato tramite un innesco a lenta combustione. L’incendio sarebbe iniziato alle 20.57, 15 minuti prima che iniziasse l’attacco al cantiere. E per questo gli investigatori ritengono che il movimento contro la devastazione ambientale della Val Susa possa godere della attiva collaborazione di una ‘talpa’ all’interno che sapeva come muoversi e conosceva la posizione del circuito. Realtà o fantasia? Sicuramente l’ipotesi che una talpa abbia aiutato i sabotatori potrebbe trarre d’impaccio i responsabili del presidio permanente di Chiomonte, colti completamente di sorpresa dal blitz di venerdì sera e ciò nonostante l’alto numero di agenti di ben tre forze dell’ordine presenti sul posto 24 ore su 24, con enorme dispendio di denaro pubblico.

Intanto qualche ora fa il sito NoTav.info ha ripubblicato un articolo apparso all’indomani del blitz sul sito web locale della Campania ‘Avellino Otto Pagine’ e poi rimosso l’11 febbraio. Rimosso forse perché il racconto dell’alpino intervistato- anche se Ciro Esposito potrebbe essere un nome di fantasia – mostra con quale spirito e atteggiamento coloniale agiscano i militari mandati dal governo a occupare militarmente le aree della Val di Susa dichiarate di interesse strategico nazionale. “Uno spirito di guerra, visto che si parla di missione vera e propria, tant’è che il militare chiama a casa per tranquillizzare la famiglia proprio come avviene normalmente con gli altri commilitoni di servizio a Kabul” commenta a ragione il sito dei NoTav. Ecco l’articolo:

«Io nel blindato, assediato dai No Tav»

Il racconto di Ciro Esposito, giovane soldato dell’esercito, nativo di Grottolella: coinvolto negli scontri di venerdì sera in Val di Susa

Ciro Esposito, giovane soldato dell’esercito, nativo di Grottolella, venerdì sera si trovava in Val di Susa, di guardia al cantiere dell’Alta Velocità preso d’assalto da un gruppo di No Tav incappucciati e armati di bombe carta e sampietrini. «Erano molto ben organizzati – ci racconta -; non è stato facile rimanere freddi. Ma gli ordini erano di non reagire alle provocazioni».

E’ dalla sua viva voce che ascoltiamo il racconto dell’incursione, dell’altra sera (ecco una veloce sintesi del fatto: erano le 20 quando un centinaio di attivisti del movimento No Tav ha preso d’assalto il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte; un piccolo gruppo ha tagliato la recinzione ed è riuscito a penetrare nell’area presieduta dalle forze dell’ordine – oltre all’esercito ci sono anche polizia, finanza, carabinieri, cacciatori di Sardegna e forestale -; i dimostranti hanno tentato di incendiare alcuni mezzi operativi, ma sono stati messi in fuga. Da indagini delle ore successive sono scattati fermi e denunce).

Ma a noi interessa di più il nostro soldato irpino coinvolto negli scontri. Ha già avuto modo di parlare ieri mattina con i suoi familiari che si trovano a Grottolella e di tranquillizzarli. Lui fino a giugno rimarrà in servizio al Nord: «E’ dal 15 dicembre che siamo a guardia del cantiere dell’Alta Velocità. E la situazione qui non è per niente tranquilla. Il cantiere si estende per sette ettari, al confine con la Francia: è in veloce espansione e tanta gente non è contenta».

Cosa è successo venerdì? «Con i commilitoni del mio reparto abbiamo preso servizio nel primo pomeriggio e tutto è andato liscio fino alla sera. Alle 19:50 c’è stato un black out e siamo rimasti tutti al buio. Si sono spenti anche i potenti fari che illuminano il perimetro recintato del cantiere».

E’ stato un sabotaggio? «Questo non è stato ancora stabilito. Di certo è che era tutto buio. Nel giro di 20 minuti i manifestanti No Tav ci hanno circondati, lungo tutto il perimetro reticolato. Hanno iniziato a lanciare petardi e bombe di quelle che si usano a Capodanno, e le lanciavano ad altezza uomo».

Hanno colpito qualcuno dei vostri? «Per fortuna solo un poliziotto è rimasto leggermente ferito, ad una gamba, perché vicino ai piedi gli era esploso uno di quei grossi petardi». E poi cos’è successo? «Il lancio dei petardi era un diversivo. Alcuni di loro nel frattempo hanno iniziato a tagliare le reti metalliche della recinzione. Un gruppetto di loro l’ha bucata proprio in corrispondenza del blindato dove mi trovavo io».

Cosa hanno fatto poi? «Una decina di loro è entrata ed ha iniziato a devastare tutto quello che si trovava di fronte. Hanno distrutto una torretta-faro che illuminava il perimetro. E intanto ci arrivavano addosso decine e decine di sampietrini». Voi che ordini avevate? Potevate reagire all’aggressione? «No. L’ordine era di mantenere la posizione finché fosse stato possibile. Ma senza reagire. Eravamo armati, ma anche nel caso le cose si fossero messe per il peggio, dovevamo arretrare. Solo dai finanzieri è partito qualche lacrimogeno. Noi ci siamo chiusi nel blindato e abbiamo aspettato i rinforzi. Quando sono arrivati, i No Tav sono scappati».

Tu come hai vissuto quei momenti? Hai avuto paura? «Di certo non è stata una bella esperienza. Non è stato facile perché ci hanno attaccato da più punti contemporaneamente. Ed erano molto organizzati». La fase più acuta degli scontri con i No Tav c’è stata a luglio, quando tra le forze dell’ordine si registrarono 189 feriti (di cui solo 5 tra l’esercito). Grottolella può essere fiera del suo soldato.

Articolo di Gianluca Rocca

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