In un silenzio che non promette nulla di buono, l’Italia dovrà decidere tra breve dove “sistemare” circa novantamila metri cubi di scorie nucleari. Sono i residui prodotti dalla breve stagione del nucleare in Italia (quella chiusa prima con il referendum del 1987 e poi con quello del 2010). Poi ci sono altri residui legati alle attività, in particolare quelle di carattere medico-radiologiche.
Si tratta comunque di migliaia di metri cubi di scorie radioattive, anche se di grado diverso. Quelle più rognose (ad alta attività radioattiva) sono quindicimila metri cubi ma rappresentano quasi il 90% della radioattività emessa. Gran parte di questi rifiuti molto particolari erano all’estero – in Francia e in Gran Bretagna soprattutto, ma qualcosa c’era anche in Svezia – ed ora devono rientrare in Italia sotto forma di blocchi vetrificati. I programmi prevedono il rientro in Italia del materiale radioattivo proveniente dalla centrale da Sellafield (Inghilterra) a partire dal 2019, e quello dalla centrale nucleare francese di
L’individuazione delle aree dove collocare queste scorie rappresenta un serissimo problema. Secondo quanto reso noto dal Corriere della Sera del 20 novembre, entro dicembre l’Ispra renderà noti i criteri tecnici ai quali il deposito nucleare nazionale dovrà uniformarsi ed entro il prossimo agosto,
I vertici della Sogin hanno depositato in Parlamento un documento con le indicazioni su dove collocare le scorie.
Il costo della Sogin nelle bollette elettriche delle famiglie italiane è già oggi di circa 220-230 milioni l’anno. La società si difende con gli argomenti del businnes. Secondo alcune stime, nei prossimi anni il mercato mondiale dello stoccaggio e smantellamento di scorie e materiale radioattivo potrebbe portare ad un giro d’affari di 600 miliardi. Se l’Italia ne gestisse anche solo l’1% i conti andrebbero in pareggio. Un enorme giro di soldi dunque, ma per intercettarli occorre prendere il proprio pezzo di spazzatura radioattiva. Secondo le stime contenute nel rapporto che
Infine all’Itrec di Rotondella, in Basilicata, stazionano ancora 64 elementi di combustibile del ciclo uranio-torio, ritenuto molto tossico e proveniente dal reattore americano di Elk River. Eredità di un accordo con gli Usa degli anni ‘70 e che tra mille difficoltà sta lentamente riprendendo la via del rientro. Bosco Marengo, secondo
Italia e Francia nel recente vertice tra Letta e Hollande, hanno ribadito gli impegni presi in materia di trattamento delle scorie nucleari previsti dall’Accordo intergovernativo di Lucca . Nell’incontro bilaterale di Roma di una settimana fa, è stata anche confermata la prosecuzione del programma di trasporto delle scorie italiane da trattare in Francia e l’attuazione del calendario di rientro delle scorie in Italia.
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pierpaolo
Ma se l’Italia ha tutte queste scorie, Francia e Germania quante ne hanno? E dove sono?