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Cynara, la ninfa bellissima che disse no a Zeus

Inizio così la mia collaborazione con VitaMineVaganti, parlando di un figlio verde della terra. Uno di quelli che generalmente conosciamo solo perché ci finisce nel piatto ma che, andando un po’ a fondo, ci fa scoprire un mondo che va oltre il suo essere un ottimo alimento, soprattutto se cucinato alla romana o alla giudìa! e va oltre, molto oltre, il senso del gustoQuesto figlio verde della terra fa parte della famiglia delle asteracee, come le margherite, la calendula, il fiordaliso, la dalia e tante altre specie vegetali conosciute per la loro bellezza. 

Vi sto parlando del Cynara scolymus, il carciofo domestico, nipote del selvaggio Cynara cardunculus che cresceva libero nei prati. Ottimo, pregiato – tanto che perfino Marx, in una sua opera in polemica con Proudhon lo prende ad esempio come bene di lusso – ricco di principi attivi che lo rendono utile anche dal punto di vista terapeutico. Ma c’è dell’altro. 

Originario del Medio Oriente e diffusosi dopo l’anno 1.000 in tutta Europa grazie agli arabi che ne elaborarono la varietà domestica chiamandolo Kharshof, cioè pianta che punge, era però già conosciuto e utilizzato nella sua forma selvatica (C. cardunculus) dagli antichi egizi, dai greci, dagli etruschi e dai romani e già era stato oggetto di studio nel IV secolo a.C. da parte del filosofo greco e padre della botanica Teofrasto e, dopo alcuni secoli, da parte del naturalista latino Plinio il Vecchio, i quali lo avevano esaltato per le sue virtù alimentari e terapeutiche, mentre il re egiziano Tolomeo Evergete, regnante nel III a.C. lo faceva mangiare in grande quantità ai suoi soldati perché convinto che desse coraggio e vigore.

Ma ancor prima di loro questo vegetale era stato oggetto anche di fantasia letteraria, elaborata in uno dei miti greci meno conosciuti ma più significativi tra quelli identificabili come punizione alla “hybris”, l’insolenza verso gli dei. E dove stava quest’insolenza nel mito da cui prende il nome scientifico il carciofo? Stava nel rifiuto della bellissima ninfa Cynara di concedersi al re degli dei! Una sorta di reato di lesa divinità. Il rifiuto delle attenzioni di quel potere che chissà per quante altre ninfe e comuni mortali sarebbe stato motivo di fierezza e di vanto!

Forse il mito di Cynara si sarebbe perso negli episodi minori della mitologia greca se il grande Ovidio, il poeta delle forme, come lo definì il latinista Concetto Marchesi, non ci avesse dato una chiave di lettura degli antichi miti greci scrivendo quel capolavoro letterario che è il libro delle Metamorfosi in cui emerge, nel mutare della forma, il concetto di “vendetta divina” conseguente alla hybris. Quest’opera superò i confini del suo esilio e, come lui stesso predisse, quelli della morte del suo corpo e in effetti, a distanza di 2000 anni, ancora è fonte di suggestioni e di emozioni. 

Ma perché scomodare Ovidio per parlare delle doti di un vegetale che normalmente trova il suo spazio privilegiato giusto in cucina e secondariamente in fitoterapia? 

Semplicemente perché fa parte di uno di quegli intrecci in cui tutto torna, a partire dall’esame di quel patriarcato becero, quello col quale si fanno i conti quotidianamente, che però, cosa meno chiara, ha un nobile ma infido progenitore nel patriarcato gentile, quello nobilitato dall’arte letteraria e dalla grandezza di pittori e scultori antichi e moderni i quali, offrendoci gioielli artistici, lasciano immutato, quando addirittura non lo nobilitano, il messaggio violento contro chi si ribella al potere. Se poi a ribellarsi è una donna, in questo spicchio di antica cultura fatta di miti e leggende che rientrano in ciò che riconosciamo essere alla base della nostra cultura occidentale, la risposta divina porta con sé un messaggio che trascende il mito e si fa tragicamente umano. 

Ma vediamo un po’ che si dice della bella Cynara, la ninfa che aveva i capelli biondo cenere, da cui il nome latino di Cynara, la carnagione rosata e gli occhi verdi che prendevano riflessi viola. Si racconta di lei che fosse orgogliosa. Ebbene, l’orgoglio è il fratello della dignità, dov’è il problema? Ma ovunque cerchiate troverete scritto che oltre ad essere orgogliosa era volubile. Una traduzione errata, o un difetto posto a mitigazione di quel pregio che impedì a Zeus di averla tra le sue conquiste? Di lei si dice anche che avesse un carattere ispido come una spina ma un cuore tenero e gentile. Ebbene, se ne stava serena tra i boschi, Cynara, e forse non immaginava che la sua libertà di non essere accondiscendente col maschio conquistatore per antonomasia l’avrebbe pagata trasformandosi in un ortaggio dalle brattee verdi, con venature biondo cenere e violette in ricordo della sua bellezza e un cuore tenero che gli umani avrebbero apprezzato… consumandolo a tavola!  Un cuore di cui molti personaggi famosi sono andati ghiotti, compresa una delle donnepiù perfide e influenti della storia, che lo fece conoscere in Francia portandosene un cospicuo numero per festeggiare il suo matrimonio con Enrico d’Orleans nel XVI secolo.

 

Insomma, la bella Cynara conquistò l’immortalità attraverso lo stesso mito che ce la mostra colpevole di “insolenza” per aver osato rifiutare quel dio il quale, per punizione, la trasformerà in uno spinoso benché squisito carciofo! Perché Zeus, come tanti omuncoli incapaci di accettare un rifiuto o semplicemente un parere diverso da parte di una donna, non resse all’affronto della libertà di scegliere e si macchiò di un crimine che, a guardarlo oggi, fuor di leggenda, smonta la sua divinità rendendolo pari a uno di quei banali quaquaraquà che se colpiti nella loro nullità si trasformano in stalker o addirittura in assassini.

Ma torneremo dopo sul concetto di hybris e sul patriarcato di antica cultura, ora esaminiamo le proprietà del Cynara scolymus, ortaggio che gli spagnoli portarono in America, in cambio di patate, pomodori, peperoni, avocado, mais, zucca etc. e che in California si trovò talmente bene da offrire una produzione così importante che a partire dal secondo dopoguerra, nella città di Castroville, viene organizzato il festival annuale del carciofo con tanto di reginetta. Il premio alla prima edizione del festival lo vinse una giovane bellissima e non ancora famosa Marilyn Monroe, che forse non conosceva la leggenda di Cynara.  

Parlando del carciofo puramente come vegetale, vediamo che si tratta di una pianta erbacea perenne il cui fusto sotterraneo (il rizoma) resta dormiente dopo la fioritura annuale per poi rigermogliare e produrre nuove piante, a meno che non venga espiantato ed essiccato per ottenere rimedi farmaceutici ed erboristici e, in quel caso, si ripiantano solo le nuove gemme o si pianta il seme. Anche le foglie del carciofo sono utilizzate a livello officinale, mentre a scopo alimentare si usa solo la parte superiore, cioè le brattee il ricettacolo e lo stelo fiorale che chiamiamo gambo. 

I principi attivi di questo vegetale sono numerosi e molto apprezzati, a partire dalle numerose vitamine, quali la A, le B1, B2, PP e anche una piccola dose di vitamina C. Inoltre il carciofo è ricco di sali minerali, in particolare Calcio, Ferro, Fosforo e Potassio e di proteine. Ma soprattutto è ricco di antiossidanti naturali che lo rendono un valido presidio antitumorale. Il suo consumo come alimento fornisce anche carboidrati e fibre ed essendo ricco di principi amari ha anche funzione ipoglicemizzante e pertanto il suo consumo è utile in presenza di forme leggere di diabete.  La ricchezza di ferro ne fa inoltre un alimento antianemico, purché accompagnato da limone, perché il ferro di origine vegetale viene metabolizzato solo in sinergia con buone dosi di Vitamina C. 

Se lo si consuma crudo con olio e limone, al piacere del gusto si sommano i benefici salutistici, ma generalmente viene consumato cotto e i manuali di cucina abbondano in ricette, anche in versioni regionali, tra le quali le due citate all’inizio, una appartenente alla cucina romana e probabilmente proveniente dagli etruschi, e l’altra appartenente alla tradizione giudaico-romanesca. 

Se vogliamo spingerci verso l’uso officinale di questo eccellente figlio della terra, abbiamo la possibilità di fare erboristeria domestica in modo molto semplice ottenendo con poco sforzo un depuratore epatico e perfino un rimedio contro il formarsi o riformarsi di calcoli biliari. La medicina naturale, del resto, ha sempre usato il carciofo principalmente nel trattamento dei disturbi funzionali di fegato e cistifellea, con risultati positivi anche in caso di dermatiti derivanti da intossicazioni in quanto i principi attivi che esso contiene svolgono una funzione depurativa, coleretica e colagoga, vale a dire consentono una maggior produzione e secrezione biliare detossicando il fegato e migliorando, come positivo effetto collaterale, l’aspetto dell’epidermide.

Vediamo come utilizzare foglie, radici e rizomi per uso officinale domestico senza ricorrere alla medicina di sintesi, né alla medicina omeopatica e, se ci organizza nei tempi giusti, neanche all’erboristeria commerciale. 

Dunque, quando le brattee cominciano ad aprirsi si ha la fioritura e il carciofo appare nella sua forma di infiorescenza violetta o blu più o meno intenso. Abbiamo detto che questo vegetale appartiene alla famiglia delle asteracee, dette anche composite poiché quel che a noi sembra un solo fiore in realtà è un gran numero di fiori, un’infiorescenza, quella che in forma embrionale si trova come leggera peluria già nel pregiato cuore del carciofo che altro non è se non il ricettacolo. Bene, prima che il carciofo fiorisca vanno raccolte le sue grandi foglie, vanno lasciate essiccare all’ombra e quindi conservate in sacchetti di carta o di tela al riparo dalla luce. L’infiorescenza invece può essere usata come caglio vegetale per preparare il formaggio. Radici e rizomi, al contrario delle foglie, si raccolgono in piena estate, si essiccano al sole e si conservano in vasi di vetro. 

Per una cura detossicante e diuretica basta fare un decotto di radici e rizomi, facendo bollire in mezzo litro d’acqua per quindici minuti un cucchiaio abbondante di drogasminuzzata e poi bere questa tisana durante la giornata per un ciclo di venti giorni. 

 Contro il formarsi di calcoli biliari invece si usano le foglie, non in decotto ma in infuso. Si fa bollire un quarto di litro d’acqua, si spegne la fiamma e si getta un cucchiaino di foglie secche sminuzzate nell’acqua bollente, coprendo e lasciando in infusione per dieci minuti. Si filtra e si beve al mattino a digiuno e alla sera prima di coricarsi per cicli di venti giorni. 

Se poi vogliamo fare un’applicazione come maschera tonificante ed elasticizzante per il viso basta rinunciare al piacere della gola e prendere due cuori di carciofo, frullarli perfettamente con il succo di mezzo limone e applicare la crema sul viso per venti minuti. Il risultato sarà immediatamente visibile e generalmente gratificante. 

Queste sono preparazioni di erboristeria domestica che hanno il vantaggio di offrire risultati veloci a costo prossimo allo zero e di non far perdere il contatto con l’elemento naturale del quale ci si serve, ma le erboristerie possono offrire estratti secchi, tinture madri, capsule e altro. L’unica controindicazione è quella di farne uso durante l’allattamento e se si ha un restringimento delle vie biliari e calcolosi in corso. 

Se volessimo seguire la leggenda potremmo dire che tutto questo ci viene offerto come risultato della resistenza di una figura femminile ai capricci del re degli dei. La sua libertà di scelta e di rifiuto diviene un’onta per un maschio-dio che di fronte all’offesa può rispondere in due modi: con lo stupro ottenuto con la forza o con l’inganno, oppure con l’annientamento delle caratteristiche che rendono interessante la donna che non lo ha appagato e che quindi va distrutta. Questa sarà la sorte subita da Cynara. Questo ci offre il patriarcato gentile, quello nobilitato dalla letteratura e spaventosamente pericoloso perché per secoli e secoli, quella produzione letteraria che aveva esercitato la funzione di reporter dall’Olimpo, aveva consentito di legittimare le forme terrestri del patriarcato quotidiano, quello con cui facciamo i conti ogni giorno. 

Se, con un virtuale salto atletico, dalle leggende mitologiche scendiamo sulla terra, scopriamo che tra i tanti modi che luridi omuncoli scelgono per ferire una donna che non ha assecondato i loro appetiti oppure che, semplicemente, non si è inchinata al loro punto di vista, c’è la diffamazione che si basa su disgustose espressioni sessiste denunciando, in tal modo, l’infimo livello del maschio frustrato che lancia fango sull’immagine della donna, a volte anche sconosciuta, colpevole di esprimere convinzioni divergenti dalle sue. Deve offenderla, il poveretto, per riscattarsi della ferita di “lesa divinità”, mostrando la sua presunta capacità di annientarla commettendo quel che i greci chiamavano “hybrizein” cioè l’azione, vera o simbolica, dello stupro come umiliazione “dell’insolente”.

Ogni omuncolo affetto da sindrome machista non risolta si sente un po’ Zeus, anche quando la natura non lo ha favorito, e così vorrebbe annientare la donna che sta odiando, talvolta a totale insaputa della stessa, provando a imitare le azioni del meschino dio del quale vorrebbe vestire i panni: una metamorfosi che vendichi la sua frustrazione! Dall’acido muriatico a una diffamazione sui social va tutto bene, dipende dal contesto sociale.

Ma Cynara, nella sua veste di carciofo, ci tende la mano e, offrendoci un’espressione popolare usata per definire qualcuno di poco valore, piuttosto sgradevole alla vista e molto pieno di sé, ci suggerisce di inserirlo nella sub-categoria del “carciofo spampanato”. E allora, in questa sorta di ruota del destino, ecco che l’omuncolo, divenendo per il suo agire un povero carciofo spampanato non può neanche servire umilmente la tavola e il suo posto non è più neanche la padella, ma direttamente la raccolta differenziata! 

Nulla a che vedere con la bella Cynara, lei conserva le spine della sua intoccabile dignità, i riflessi verdi e violetti dei suoi occhi e qualche venatura cinerea che ricorda i suoi originari capelli biondi prima che il re degli dei, offeso per essere stato rifiutato, commettesse il suo crimine di maschio divino regalandoci, suo malgrado, un vegetale di particolare pregio sia alimentare che terapeutico.

* Da VitaMineVaganti. Nata a Roma. Laureata prima in sociologia, poi in erboristeria. Si accorge che i meccanismi di inclusione ed esclusione applicati al mondo umano, il mondo umano li applica anche alla natura, così scrive qualche libro in cui tratta sia di piante che di diritti umani. Dopo 25 anni di appassionato lavoro all’interno delle scuole, lascia l’insegnamento si dedica alla scrittura e alla causa che ormai sente sua: la Palestina.

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1 Commento


  • Americo Marconi

    Gentile Patrizia Cecconi le chiedo un favore. Saprebbe indicarmi di preciso il verso nelle Metamorfosi dove Ovidio parla di Cynara? Ho cercato a lungo nelle Metamorfosi senza trovarlo né tale mito è presente nel Dizionario di mitologia della Ferrari, Utet. O in Florario di Alfredo Cattabiani, Mondadori. Giusto per citare i più autorevoli. Per il resto le faccio i complimenti per l’articolo. La ringrazio. Americo Marconi

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