Fa discutere la nuova proposta di legge passata al Senato e ora al vaglio della Camera che mira a sdoganare l’uso delle New Breeding Techniques (NBT) in campo agricolo, in particolare per quanto riguarda la produzione e commercializzazione dei semi. Una proposta di legge che rappresenta molto più di qualcosa che potremo definire “tecnicismo”, ma che nasconde un vero e proprio attacco al sistema agricolo contadino, alla sovranità alimentare e alla sostenibilità ambientale.
Dopo la lunga battaglia contro gli OGM, non si tratta qui di entrare nel merito di cosa siano gli NBT, se questi siano effettivamente OGM o no. Da un lato infatti, si tratta di manipolazione genetica delle specie, ma a differenza degli OGM che mixano il genoma tra specie diverse, le NBT agiscono su genomi della stessa specie o di specie simili, appellandosi al principio secondo il quale anche in natura tali mutazioni potrebbero potenzialmente avvenire.
Dall’altro lato si tratta però di manipolazioni accelerate rispetto ai tempi della natura e controllate dall’uomo, e quindi dalle aziende che studiano e producono sementi al fine di mettere a valore e controllare la produzione agricola, traendone profitto.
E qui entriamo nel vivo della questione: quale tipo di sistema agricolo si vuole consacrare? E inoltre: siamo davvero liberi di scegliere?
Il mondo agricolo è già profondamente controllato in tutte le sue fasi: alla produzione di sementi, fertilizzanti e fitofarmaci da utilizzare nei nostri suoli sempre più impoveriti, quasi interamente sotto il controllo di Monsanto (Bayer) e di pochissime altre aziende, all’impianto giuridico vincolante della PAC, che attraverso l’Organizzazione Comune di Mercato (OCM) regola cosa come e dove produrre e a quale prezzo commercializzarlo.
Non è un caso che l’Italia sia votata quasi esclusivamente a due tendenze: da un lato all’agricoltura intensiva, che massimizza la produzione alle poche grandi aziende (1.5% delle aziende italiane), legata mani e piedi alle ditte sementiere da un lato (i semi industriali sono quasi sempre sterili) e alle ricette europee che tramite la PAC erogano contributi in base alla produzione (quanto produci) e al tipo di rotazione (cosa produci); dall’altro lato alla nicchia dei mercati IGP, DOP, BIO ecc, legati mani e piedi ai disciplinari europei, ai costi di certificazione e all’export.
Alla faccia della sovranità alimentare insomma, totalmente delegata a Bruxelles..
Un dato, per capire quanto l’Italia stia regalando la sua sovranità alimentare piegandosi alle scelte europee: se negli anni 70 la bilancia commerciale agroalimentare è in perdita quasi costante, la produzione agricola è il larghissima parte votata all’export, provocando quelle storture assurde per cui per soddisfare il mercato estero di pasta viene importato grano e frumento da USA, Canada, Francia ecc., per esportare la famosa bresaola della Valtellina viene importata carne dal Brasile…
Dall’altro lato sempre più larghe parti del territorio italiano si sta trasformando in una monocoltura di vini e mosti, mentre per soddisfare il fabbisogno interno di carne, latte, pesce, e anche di legumi l’Italia deve rivolgersi all’estero.
In questo quadro generale, se il 90% dei più importanti cereali a livello mondiale è già prodotta come OGM (soia, mais, riso), l’ipotesi di introdurre la possibilità di uso delle NBT (OGM di nuova generazione) nel mercato europeo, anche se intesa come lo sdoganamento degli OGM in netta contrapposizione al principio di precauzione sancito dall’UE all’inizio degli anni 2000, non incide molto sulla qualità della produzione agricola generale, quanto piuttosto sul sistema che regola la produzione, ne controlla il mercato e ne determina i margini di profitto per alcuni.
L’introduzione di sementi NBT, e l’annessa limitazione del diritto di risemina, bloccherebbe di fatto quei percorsi virtuosi di recupero delle specie e dei semi antichi, che negli ultimi decenni erano cresciuti nei territori, forti del fatto che queste pratiche contribuiscono enormemente al ripristino della biodiversità, e quindi della salute del territorio e della società.
Questa proposta di legge in verità mira ad allargare ancora di più la forbice tra due sistemi sementieri (e agricoli) strutturalmente diversi: quello industriale, gestito dalle imprese sementiere, e quello “contadino” (ufficialmente definito come “informale”), con un attacco palese al secondo sistema.
Il primo sistema, il sistema sementiero industriale è “quel modello di produzione che, nel corso degli ultimi cinquant’anni, è stato capace di creare una divisione netta tra la produzione agricola e quella di sementi”. Un modello che si regge sulla base di certificati vegetali (che assicura a chi detiene una tal varietà vegetale il monopolio sulla produzione e commercializzazione delle sementi), e sui brevetti (che assicura al detentore della semente l’uso esclusivo di sfruttamento e profitto).
Il secondo sistema invece, quello contadino informale, “si basa sulla conoscenza e sul concetto di adattamento radicata nei diritti collettivi dei contadini che dall’inizio dell’agricoltura hanno prodotto la diversificazione di piante ed animali attraverso l’addomesticamento e l’adattamento a concreti sistemi ecologici, sociali e culturali”. I contadini che selezionano le sementi ottengono popolazioni eterogenee, molto spesso fertili, con patrimoni genetici diversi, e quindi non uniformabili ad un mercato che richiede invece rigidi parametri non-evolutivi.
Si tratta quindi di una legge mascherata di “tecnicismi” ma che ha di fatto un enorme peso politico, che attacca fortemente uno spazio di agricoltura sostenibile, legata al concetto di sovranità alimentare ed equilibrio socio ambientale, per favorire un sistema e una filiera completamente controllata in tutte le sue fasi alle lobby delle ditte sementiere.
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Sullo stesso argomento, un ottimo lavoro prodotto da Crocevia.
Proposte di modifica del sistema sementiero nazionale in discussione al parlamento: facciamo il punto
Premessa
Le sementi, oltre a riprodurre la vita, sono anche un elemento molto rilevante dell’economia contemporanea. Come si può vedere, il mercato globale delle sementi convenzionali in 15 anni è passato da 11,5 miliardi di dollari a 30,7 miliardi di dollari, cioè il suo valore è stato moltiplicato per 3. Nello stesso periodo il valore diquello delle sementi OGM è stato moltiplicato per 10 e vale circa la metà del mercato globale.
Le sementi, oltre a riprodurre la vita, sono anche un elemento molto rilevante dell’economia contemporanea.Come si può vedere, il mercato globale delle sementi convenzionali in 15 anni è passato da 11,5 miliardi di dollari a 30,7 miliardi di dollari, cioè il suo valore è stato moltiplicato per 3. Nello stesso periodo il valore diquello delle sementi OGM è stato moltiplicato per 10 e vale circa la metà del mercato globale.
In Italia,nel settore delle sementi agricole e orticole, le microimprese rappresentano più della metà del numero totale di aziende sementiere (53%); un terzo sono piccole; 12% media e 1,5% grande. Nel settore dei materiali di moltiplicazione della frutta e della vite, quasi tutte le aziende sono microimprese.
Il volume d’affari TOTALE èdi circa 700 milioni,che non è poco per il Paese. Può una qualche impresa italiana pensare di competere con i monopoli globali? No di certo,se vuole competere sullo stesso spazio di mercato immaginando di immettere sul mercato varietà frutto di genoma editing tanto innovative da essere competitive. In effetti “gli esperti hanno descritto l’emergere delle biotecnologie come il motore chiave del processo di consolidamento che ha avuto luogo nell’industria globale delle sementi” (experts have described the emergence of biotechnologies as the keydriver of the consolidation process that has taken place in the global seed industry”.
I dati mostrano questa progressione (OECD): la concentrazione delle imprese rilevanti sul mercato delle sementi –già di per sémolto concentrato -cresce quando sipassa dal mercato delle sementi convenzionali a quello delle sementi OGM e da questo a quello del controllo delle informazioni genetiche dematerializzate (DSI).
Contano la capacità finanziarie delle imprese, il controllo che si ottiene attraverso il portafoglio dei brevetti, in particolare quelli sui caratteri fondamentali delle piante coltivate (resistenze, adattabilità, etc.), il legame con la ricerca pubblica (vedi il programma europeo “H2020”) ed il supporto di politiche pubbliche che non regolano strategie di cartelli e oligopoli.
Detto diversamente, più un’industria dipende dalla vendita di sementi OGM, vecchi o nuovi, e più entra in processo di concentrazione. I piccoli sementieri, quindi, sono destinati ad essere facili prede, anche quelli che possono essere più grandi nel mercato nazionale che comunque restano sotto a 100 milioni di dollari di fatturato (1).
A livello europeo, “La Francia, la Germania e l’Italia rappresentano oltre la metà del mercato europeo delle sementi e dei materiali di moltiplicazione vegetale, che è il terzo mercato più grande del mondo”. (France, Germany and Italy account for more than half of the EU seedand plant reproductive material market, which is the third biggest in the world”).
In Italia alcuni pensano chemodificandola legislazione sementiera qualchegrossa impresa sementiera “nazionale”(la SIS?) possaaumentare la sua fetta di questo importante mercato rompendo il “GMO free”,ma lapossibilità di competere con le grandi imprese globali resta tutta da dimostrare.
Il settore sementiero globale, però,resta un concentrato di potere di mercato.
Secondo questi dati dell’OCSE (2017), delle sei più importanti imprese nel mercato globale 4 sono europee – di cui 3 con base in Germania – con fatturati annuali che vanno dai circa 25 miliardi di dollari della Bayer (di cui più di 10 nel solo mercato sementi convenzionali e OGM) ai modesti 2 miliardi della KWS (tutti per sementi).
Il punto
La questione degli “NBT”non è una questione scientifica –vinfatti come tale riguarda i ricercatori e gli accademici – ma un elemento fondamentale del pacchetto tecnologico che si intende applicareallo sviluppo del sistema agricolo e alimentare, con tutte le sue ricadute sociali, ambientali, ecologiche, economiche.Èquindi, una mera questione politica: cosa una società intende mangiare, come vuole che si produca il suo cibo, quali garanzie vuole dai processi produttivi, come vuole fronteggiare i cambiamenti climatici ma anche la crisi economica e sociale che stiamo vivendo. Trasferire nei parlamenti un dibattito pretesamente scientifico serve solo a nascondere la natura reale delle decisioni da prendere, decisioni che riguardano la politica nazionale ed il suo supporto giuridico. In questo processo decisionale la responsabilità di ogni eletto, sia livello nazionale che regionale –nel caso dell’Italia (vista la responsabilità sovrana che le regionihanno sulla politica di sviluppo agricolo) –è quella di assumere decisioni rispondendo alla domanda: che agricoltura vogliamo nel nostro paese?
È con questa prospettiva che vanno letti i 4 decreti sulla riorganizzazione del settore sementiero nazionale–ed in particolare lo “Schema di decreto legislativo recante norme per la produzione a scopo di commercializzazione e la commercializzazione di prodotti sementieri per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/2031 e del regolamento (UE) 2017/625 (Atto n. 211) – proposti dal Ministro dell’Agricoltura alla fine del 2020 (ma vale anche per le proposte sulla stessa materia della Commissione Europea o del Consiglio Europeo dei ministri dell’agricoltura).
Politica agricola ed alimentare, diritti fondamentali come diritto al cibo, sostenibilità e cambio climatico, crisi della povertà, sistemi agrari e loro prospettivefuture, questo l’ambito su cui, secondo le ideologie che guidano le forze politiche gli eletti debbono esprimersi. Non il campo del sapere scientifico (quello accademico) che – al contrario – deve restare “…La dimostrazione dei risultati della ricerca, l’analitica descrizione dell’oggetto la correggibilità del processo conoscitivo (che) sono le garanzie della scienza”,ovveroil lavoro dei ricercatori. Salvo che oggi questo lavoro è, generalmente, come qualunque altro lavoro,pagato dalle imprese e quindi –per definizione –di parte.
Che cosa vogliono le impre seentiere?
La rispostaè di una banale semplicità: aumentare la quota di profitto prodotto dai loro investimenti. Remunerare proprietari ed azionisti è la loro missione. Evidentemente ci sono moltissimi tipi di imprese diverse anche per modalità di produzione ed accumulazione, così come per modalità di remunerazione del capitale.
La vera differenza tra di loro la fanno le imprese che hanno capacità di influenzare le politiche pubbliche in modo da rafforzare il proprio potere di mercato, fino alla costruzione di concentrazioni tali da imporre regole alla convivenza (vedi “capitalismo della sorveglianza”). Hanno capacità di scrivere o cancellare leggi che regolano la convivenza sociale, i conflitti o – per quello che ci riguarda – i sistemi agricoli ed alimentari.
Per restare nell’ambito “sementi”, cerchiamo – nella documentazione pubblica – di identificare i punti chiave su cui si stanno movendo le imprese che dominano il mercato globale delle sementi, fin nella loro forma dematerializzata (DSI).
“Many scientific organizations in Europe (….) therefore recommend that the EU should regulate plant varieties based on their specific agricultural traits and/or product, and not on the technical process…” (2) (“Molte organizzazioni scientifiche in Europa (….) raccomandano quindi che l’UE regoli le varietà vegetali in base ai loro specifici caratteriagricolie/o al prodotto, e non al processo tecnico”.).
Ma fino ad oggi in Europa, e negli accordi internazionali come la CBD, vale il principio di precauzione che si applica sul processoe sul prodotto. Negli USA si adotta – anche per gli aspetti di sicurezza alimentare di un prodotto –il principio della “sostanziale equivalenza” tra prodotti finali, cioè se una nuova caciotta – il cui processo di produzione ci è sconosciuto e possa essere fatta con qualsiasi cosa meno che con il latte – è sostanzialmente equivalente ad una vera caciotta al latte di pecora allora è sicuramente buona.
Continuiamo a citare dalla stessa pubblicazione per la chiarezza ed onestà dei ricercatori che ne sono autori nel presentare le richieste delle imprese europee (cioè mondiali) del settore.“…
A new paradigm for regulation.
First,regulation should be based on the final trait,that is, the phenotype of the plant, rather than on the technique or the “naturalness” of the DNA insertion. All modern plant breeding techniques, including marker-assisted selection, should enter the risk assessment from the same starting line.
This should not become a marathon, as is currently the case in the EU: In most instances, the “race” to approval would be short if it were based on real risk. Second,the current risk paradigm needs to change. The debate should shift away from demonstrating that “GM technology is safe” [5,6], since no human activity is intrinsically Safe.
Modern plant breeding does not bear specific risks. However, biosafety protocols are required, especially for novel technologies7. But the protocols should be adapted to each trait, be flexible (dynamically scalable), and revisable [4,7], which is incompatible with the current fixed rule” (4).
In linea con “Labelling products that result from the so-called new plant breeding techniques would provide little new information and would therefore make no sense for consumers, Garlich von Essen, secretary-general of the European Seeds Association (ESA), told EURACTIV.com.”
E ancora “The biotech industry says no foreign DNA is present in the genes of seeds obtained through NPBT and thus they should not be considered GMOs.” (EURACTIV.com) (5)
È interessante notare che nella Risoluzione della 9ª Commissione Permanente(Agricoltura e produzione agroalimentare) d’iniziativa della senatrice FATTORI, approvata il 28 luglio 2020,possiamo leggere un argomentare simile: “…dunque, nella sentenza, la Corte ha dato una accezione più estensiva del termine OGM. Ha infatti incluso e assoggettato alla normativa OGM anche tutte le piante ottenute con i classici metodi di mutagenesi come, ad esempio, le radiazioni ionizzanti o i mutageni chimici;tale accezione,basata sul processo e non sul prodotto (se non in via parziale),lascia un eccessivo spazio al dato interpretativo e alla conseguente arbitrarietà nella trattazione della materia da parte dei singoli Paesi coinvolti, con conseguente nocumento per la ricerca scientifica;…” (6).
Ed ancor più chiaramente nel parere rilasciato sul “DL 211” dalla Commissione agricoltura del Senato11il 28.12.2020possiamo leggere a proposito “…di linee guida per delineare le modalità applicative delle tecniche scientifiche di nuova generazione, ” per poter disciplinare in maniera diversa OGM e NBT,rimanendo però fermi sul fatto che gli OGM di vecchia generazione, se così possono essere definiti, rimanevano un elemento da mantenere sia staccato dalle NBT ma soprattutto lontano dalla nostra agricoltura..”
E nelleconclusioni si ribadisce “..si invita il Governo ed in particolare il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, -incoerenza con la risoluzione approvata il 28 luglio 2020 dalla Commissione agricoltura del Senato a conclusione dell’esame dell’affare sulla questione inerente alle “nuove biotecnologie in agricoltura”, a farsi promotore in sede comunitaria di una iniziativa legislativa ” per poter disciplinare in maniera diversa OGM e NBT…”, in contraddizione frontale con quanto previsto dalla sentenza dalla Corte di Giustizia europea, pur richiamata nel parere sopra citato.
Quindi, in un sol colpo i membri della Commissione agricoltura del Senato (7), accogliendo le proposte contenuti nei DL del MIPAF propongono modifiche radicali alla base giuridicanazionale, europea e della stessa CBD che fin qui ha regolato l’immissione in commercio dei prodotti derivati da vecchi e nuovi OGM: rinunciare – di fatto – al principio di precauzione per passare a quello della “sostanziale equivalenza” (richiesta più che decennale degli USA e delle multinazionali agroalimentari ed in particolare sementiere) e, legiferare in modo specifico su prodotti degli NBT (pur se descritti in 3 categorie “scientifiche” di cui la deregulation si chiede solo per 2) superando l’attuale quadro normativo europeo sugli “OGM”.
Una decisione politica che rinvia al modello agricolo e alimentare scelto per questo paese, fino ad ora basato sulla crescita del biologico, sul “GMO free” come garanzia propria e “automatica” dei prodotti dell’agricoltura italiana, sul “made in Italy” come garanzia di prodotti di qualità, con forti riferimenti territoriali specifici(DOP, IGP, etc.).
È questa la vera questione che andrebbe dibattuta con i responsabili politici. Sebbene l’industria e il settore finanziario stiano diventando sempre più influenti, il settore privato non è ancora abbastanza forte da imporre le sue regole esclusivamente attraverso il mercato.In particolare le industrie sementiere hanno bisogno del supportofondamentale di politichepubbliche per proteggere i propri interessi attraverso una legislazione mirata e favorevole e, dove necessario, utilizzando soldi pubblici per sostenere i loro affari.
Che cosa sono i sistemi sementieri
La biodiversità agricola è il risultato di millenni di interazione tra la natura e le comunità che producono il cibo di cui il genere umano ha bisogno per la sua sopravvivenza. I contadini (cioè tutti gli uomini e le donne che producono cibocoltivando la terra) sono i principali contribuenti alla biodiversità (8).
Conservano, rinnovano e selezionano varietà vegetali e razze animali all’interno dei sistemi sociali, economici e culturali in cui si sviluppa la loro produzione. I contadini non si considerano proprietari di esseri viventi. I loro diritti sono l’opposto dei diritti di proprietà individuale sulle forme viventi. I diritti dei contadini non riguardano solo le risorse genetiche delle piante, ma anche gli scambi che avvengono tra la terra, l’acqua, gli animali e le competenze dei contadini stessi nel processo di produzione agricola e del cibo.
Esistono due sistemi sementieri strutturati: quello industriale, gestito dalle imprese sementiere, e quello “contadino” (ufficialmente definito come “informale”) che gestisce in modo dinamico la biodiversità in azienda,adattando attraverso la coltivazione e l’allevamento varietà e popolazioni di piante e animali.
Il sistema sementiero contadino è di fatto separato dal sistema sementiero industriale basato su varietà iscritte al catalogo, sulle regole UPOV (in Europa) e su un sistema giuridico incentrato sulla protezione dei diritti di proprietà industriale. Quello contadino si basa sulla conoscenza, l’adattamento e una costruzione giuridica radicata nei diritti collettivi dei contadini che dall’inizio dell’agricoltura hanno prodotto la diversificazione di piante ed animali attraverso l’addomesticamento e l’adattamento a concreti sistemi ecologici, sociali e culturali.
Queste sementi sono il punto d’incontro tra l’entità biologica e le conoscenze contadine ad essa associate: gli agricoltori sanno come usarlee cosa possono aspettarsi da loro.
Si tratta di diritti collettivi che regolano l’accesso alle risorse e il loro utilizzo, e che sono stati riconosciuti come tali fino agli anni ’50 quando l’agricoltura industriale fu imposta come la modello di riferimento unico.
I contadini che selezionano le sementi ottengono popolazioni eterogenee. Una popolazione eterogenea è costituita da individui con caratteristiche simili ma con patrimoni genetici diversi: questa particolarità conferisce loro un potere evolutivo. Non consente loro di soddisfare i criteri di stabilità e uniformità necessari per l’inclusione nel Catalogo ufficiale europeo delle varietà commerciali (UPOV) o a qualunque catalogo nazionale.
I contadini non possono dare il loro contributo vitale alla conservazione e al rinnovamento della biodiversità se i loro diritti di riseminare, conservare, proteggere, scambiare e vendere i loro semi non sono riconosciuti e rispettati.
Essi devono inoltre avere libero accesso al patrimonio genetico delle piante che coltivano. Le sementi prodotte in azienda e lo scambio informale di quelle sementi è il cuore del loro contributo. Le sementi sono selezionate e conservate in situ nelle condizioni in cui la l’agricoltore coltiva il suo raccolto.
Sono indispensabili per la diversità e la variabilità e per garantire che gli agricoltori possano continuare ad adattare il loro sistema di produzione alle condizioni locali. Solo loro sono in grado di aumentare la resilienza di una coltura in condizioni sempre più caotiche dovute in parte al cambiamento climatico,ma anche ai cambiamenti sociali ed economici.
È definito sistema sementiero industriale (Kastler, 2015) quel modello di produzione che, nel corso degli ultimi cinquant’anni, è stato capace di creare una divisione netta tra la produzione agricola e quella di sementi.
Tale modello è retto da un sistema funzionale alla protezione della proprietà industriale, attraverso due distinti dispositivi: i Certificati di Obtenzione Vegetale (Cov)3, con i quali si identifica il sistema di protezione della proprietà intellettuale, che accorda all’obtentore di una varietà vegetale il monopolio sulla produzione e commercializzazione delle sue sementi; il sistema dei brevetti, attraverso il quale si fornisce un diritto esclusivo di utilizzazione commerciale, autorizzando il solo titolare (persona fisica o morale alla quale viene riconosciuto il titolo di proprietà industriale) a vietare a persone terze l’utilizzazione dell’invenzione brevettata.
La standardizzazione delle colture ha portato alla produzione di sementi per l’agricoltura industriale a loro volta standardizzate(criteri per la registrazione al catalogo varietale).(9)
Vista l’incapacità delle sementi ibride e OGM di mantenere i rendimenti nel tempo, il sistema sementiero industriale deve necessariamente erodere continuamente lo spazio occupato dal sistema sementiero contadino, minarne l’autonomiae ricondurlo –obbligatoriamente attraverso la legislazione – sotto la dipendenza dal mercato sementiero, costringendolo a sottostare ai suoi prezzi e – ancor più importante – ai sistemi di coltivazione propri di un’agricoltura industriale a forte capitalizzazione, modello agricolo che è irraggiungibile per le aziende agricole di piccola o media dimensione, condannandole così ad una lenta agonia che trascina con se il degrado e l’abbandono dei territori con le conseguenze a tutti note.
La difesa dei diritti degli agricoltori sulle sementi, quindi, non è una mera rivendicazione populista o corporativa. L’agricoltura contadina per i caratteri propri che la contraddistinguono (intensiva in lavoro, uso accorto delle risorse naturali anche per motivi squisitamente economici: lavorare con la natura costa meno che lavorare contro la natura quando i costi non possono essere esternalizzati) è una risorsa fondamentale dell’agricoltura italiana che continua a dimostrare nel corso del tempo una straordinaria capacità di resistenza testimoniata dal peso che le piccole e medie aziende agricole hanno ancora oggi nel contesto nazionale.
I decreti proposti dal Ministro dell’agricoltura alla fine del 2020 non ci vanno certo leggeri sulla questione dei diritti degli agricoltori sulle sementi. Già al primo articolo del decreto che riordina il settore sementiero (211) scrive “….È altresì considerata produzione a scopo di commercializzazione quella effettuata da cooperative, consorzi, associazioni, aziende agrarie e altri enti anche se al solo scopo della distribuzione ai propri associati, compartecipanti e dipendenti. Inoltre è considerata «produzione a scopo di commercializzazione» anche ogni lavorazione di prodotti sementieri, le attività di selezione di granella per reimpiego aziendale, nonché la selezione di sementi, effettuata per conto di terzi”.
Questo già era previsto in una legge del 1973, maa quell’epoca il ITPGRFA (10) e la sua legge d’applicazione in Italia dovranno aspettare 21 anni ancora prima di vedere la luce. E – di fatto – rendere non più applicabile quella prescrizione.
Il Trattato, ormai da quasi 20 anni in vigore, non può essere violato.Vietare la risemina del raccolto, questo è quello che prevede il DL, cioè obbligare gli agricoltori a ricomprare la semente ogni anno, per legge. Come dicevamo, contraddice i dettami dell’ITPGRFA (preambolo e articolo 9) ma anche le norme vigenti sui contratti di acquisto di beni.
“La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo (1470c.c.)”. La formulazione dell’art. 1470 cod. civ. toglieogni dubbio: per l’art.1470 cod. civ. il venditore deve trasferire la proprietà della cosa che vende pertanto il venditore di sementi non può imporre obblighi all’uso di queste da parte del compratore, l’agricoltore, che potrà in tutta libertà disporne gli usi, compresa la risemina attraverso la selezione di granella per reimpiego aziendale.
E se questo non bastasse, per le varietà iscritte al catalogo europeogià vale la norma del articolo 14 del regolamento (CE) n.2100/94 del Consiglio, del 27 luglio 1994 che riconosce il “privilegio dell’agricoltore” (Vedi UPOV) “…cosiddetto farmers’ privilege, ovvero la facoltà da parte degli agricoltori di poter utilizzare nei propri campi, a fini di moltiplicazione o di riproduzione e per le esigenze della propria azienda, il prodotto del raccolto ottenuto piantando il materiale di moltiplicazione o di riproduzione tutelato a mezzo di privativa varietale”. (11)
Ma, tra gli obblighi che incombono allo Stato italiano, nel testo proposto non vi è nessun riferimento diretto alla L.101/2004 che recepisce ITPGRFA, e ciò anche se esiste già la connessione tra l’ITPGRFA e le norme sementiere italiane, come ad esempio nella “LEGGE 6 Aprile 2007 n.46” anch’essa non citata nel DL in discussione, legge che all’ Art. 2-bis. recita “Disposizioniper l’attuazione degli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, ratificato ai sensi della legge 6 aprile 2004, n. 101”.
A questo proposito si ricorda che l’art. 19-bis della legge 25 novembre 1971, n. 1096, è stato sostituito dal seguente: «Art. 19-bis. -1. Al fine di promuovere la conservazione in situ e l’utilizzazione sostenibile delle risorse fitogenetiche, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in attuazione degli impegni previsti dagli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, ratificato ai sensi della legge 6 aprile 2004, n. 101, …”L’applicazione del trattato è obbligatoria e, nel caso dell’articolo 9, sono demandate agli Stati solo le modalità di implementazione di quanto previsto nell’articolostessoe che, come stabilito dal 9.3, la legislazione nazionale non può limitare l’esercizio del “…diritto degli agricoltori di conservare, utilizzare, scambiare e vendere sementi o materiale di moltiplicazione”.
Principi e diritti rafforzati da“The UNDROP Declaration adopted by the General Assembly of the United Nations on December 17, 2018” Resolution adopted by the General Assembly on 17 December 2018. (A/73/589/Add.2)] 73/165. “ United Nations Declaration on the Rights of Peasants and Other People Working in Rural Areas” di cui riportiamo, nella versione italiana , l’articolo 19, al paragrafo dice “8.Gli Stati devono far sì che le politiche sulle sementi, sulla protezione della varietà vegetali e le altre leggi di proprietà intellettuale, i sistemi dicertificazione e le leggi sulla commercializzazione delle sementi rispettino e prendano in considerazione i diritti, i bisogni e le realtà dei contadini e delle altre persone che lavorano in zone rurali”.
In particolare, gli agricoltori non svolgono attività di “sfruttamento commerciale di sementi” come affermato nel DL “211”ma solo attività di produzione agricola, a fini di immissione sul mercato del prodotto delle coltivazioni, in nessun modo possono essere assimilate queste attività a quella di imprese sementiere.
Dopo aver vietato nell’articolo 1 della proposta di Dl “211” le pratiche normalmente svolte dagli agricoltori di scambio di sementi e materiali di moltiplicazione, una serie di articoliesclude di fatto la circolazione di ogni varietà o popolazione non iscritta o che non si intenda iscrivere al catalogo detenuta dagli agricoltori, bloccando il meccanismo che per migliaia di anni ha contribuito ad amplificare la biodiversità coltivata, a creare la necessaria diversità all’interno delle singole specie coltivate ed è stata anche la fonte del miglioramento varietale realizzato dalle imprese sementiere.
I materiali a disposizione degli agricoltori non sono “varietà” nel senso usato da questo DL ma popolazioni in continua evoluzione(vedi sopra), quindi non possono essere racchiuse nella dicitura “varietà da conservazione”, espressione nata più di 2 decenni fa e che oggi è ampiamente rivista superando una visione conservazionista per indentificare più realisticamente le attività che vengono esercitate in campo dagli agricoltorinella gestione aziendale dell’agrobiodiversità.
Chiediamo che si riconosca l’esistenza di uno specifico sistema sementiero “informale” (controllato e praticato dagli agricoltori,RIF: FAO) completamente distinto per il suo funzionamento e le sue modalità tecniche, basato sui diritti collettivi degli agricoltori sulle sementi (CBD e ITPGRFA). Esso deve essere separatodal sistema sementiero industriale basato su varietà iscritte al catalogo, sulle regole UPOV (in Europa), sui brevettie su un sistema giuridico incentrato sulla protezione dei diritti di proprietà industriali.
Il DL “211” riserva lavendita diretta ad altri agricoltori di sementi o materiali di moltiplicazione solo per le varietà di conservazione iscritte al catalogo. Per il nostro paese questo è particolarmente grave vista la presenza massiccia di prodotti agricoli basati sulla specificità territoriale, l’importanza dell’agricoltura di piccola scala (che in termini economici vale un terzo della produzione totale agricola) che fa largo uso della conservazione on farmescambio del proprio materiale di moltiplicazione anche per rispondere alla necessità di rapidi adattamenti dei sistemi di coltivazione a causa dei cambi climatici in zona mediterranea.
In particolare l’articolo 58 (Controllo delle colture di sementi) ribadisce che le sementi di varietà di conservazione vengono trattatealla stregua delle sementi industriali(anche se di categoria standard), subendo gli identici controlli. Di fatto l’agricoltore che coltivasse tali varietà per poterle scambiare deve entrare in un regime assimilabile alla ditta sementiera (compresi controlli ed infrastrutture).
Un modo per ridurre la conservazione on farm ad un’attività di tipo industriale possibile per un numero estremamente limitato di agricoltori che intendano sviluppare anche un’attività di impresa sementiera, riducendo così i risultati estremamente positivi che la gestione in azienda della biodiversità agricola ha per gli agricoltori, per la biodiversità dell’agricoltura italiana ed, in definitiva, anche per le industrie sementiere che – di fatto – si approvvigionano di materiali rinnovati nei campi degli agricoltori.
Non si lascia nessuna possibilità a quegli agricoltori che non intendano iscrivere i materiali che detengono nel catalogo varietale ed a cui, di fatto, vengono negati i diritti sanciti in particolare dal ITPGRFA lasciandoli sotto la minaccia di una pretesa illegalità, illegalità come violazione delle normative proposte dal DL“211”, (come previsto dall’articolo 81-Sanzioni amministrative).
In conclusione il parere che viene richiesto al Parlamento sulle proposte di DL quirichiamati è un parere assolutamente politico,non già sulla natura tecnica dei prodotti ottenuti con NBT o sulla circolazione delle cosiddette “varietà di conservazione”, ma sulla possibilità che il sistema agricolo ed alimentare italiano resti libero daOGM di vecchia e nuova generazione e mantenga la sua essenziale pluralità, riconoscendo all’agricoltura contadina ed al suo sistema sementiero uno suo spazio giuridico proprio, così come quello di cui si avvantaggiano l’agricoltura industriale ed il sistema sementiero industriale.
Questa svolta che si vuole imporre con DL finirà per avvantaggiare – da un punto di vista industriale –solo un numero ristrettissimo di imprese sementiere, mentre avrà un impatto sicuro non solo sui sistemi agrari del paese ma anche sull’industria agroalimentare.
Dossier a cura di: Antonio Onorati, Stefano Mori, Mauro Conti
Per citazioni: “Proposte di modifica del sistema sementiero nazionale: facciamo il punto-ARI & Crocevia, curatela Onorati-Mori-Conti, gennaio 2021”
(1) SIS: “Il bilancio 2018 ha chiuso con un fatturato vicino ai 45 milioni di euro”. In https://adhoccommunication.it/wp-content/uploads/2019/05/CS-SIS-SISemina2019.pdf. Fondata nel 1947, S.I.S, Società Italiana Sementi, oggi parte del gruppo agroindustriale B.F. Spa, rappresenta la prima azienda del settore sementiero a capitale 100% italiano. Grazie alla qualità e alla professionalità sviluppata da SIS nei suoi 70 anni di storia, l’azienda ha consolidato la propria leadership raggiungendo un fatturato di circa 45 milioni di euro con un ebitda e quote di mercato oltre il 20% per il grano tenero, nel grano duro supera il 30% e del 20% per il riso.
(2) https://www.embopress.org/doi/epdf/10.15252/embr.201643099 – EMBO reports Vol 17 | No 10 | 2016. EMBO programmes and activities are funded by the European Molecular Biology Conference (EMBC). The EMBC, founded in 1969, is an inter-governmental organization that comprises 30 Member States.-Science & Society-Editing EU legislation to fit plant genome editing. The use of genome editing technologies in plant breeding requires a novel regulatory approach for new plant varieties that involves farmers.Agnes E Ricroch1,2, Klaus Ammann3 & Marcel Kuntz4. (sett. 2016).
(3) “In primo luogo, la regolazione dovrebbe essere basata sul carattere finale, cioè sul fenotipo della pianta, piuttosto che sulla tecnica o sulla “naturalezza” dell’inserimento del DNA. Tutte le moderne tecniche di allevamento delle piante, compresa la selezione assistita da marcatori, dovrebbero entrare nella valutazione del rischio dalla stessa linea di partenza. Questa non dovrebbe diventare una maratona, come avviene attualmente nell’UE: nella maggior parte dei casi, la “corsa” all’approvazione sarebbe breve se fosse basata sul rischio reale. In secondo luogo, l’attuale paradigma del rischio deve cambiare. Il dibattito dovrebbe allontanarsi dalla dimostrazione che “la tecnologia GM è sicura” [5,6], poiché nessuna attività umana è intrinsecamente sicura. Il moderno allevamento delle piante non comporta rischi specifici. Tuttavia, sono necessari protocolli di biosicurezza, specialmente per le nuove tecnologie mai protocolli dovrebbero essere adattati ad ogni carattere, essere flessibili (dinamicamente scalabili) e rivedibili [4,7], il che è incompatibile con l’attuale regola fissa”.
(4) idem.
(5) “On 9 January(2020), 26 European business organisations jointly signed a letter calling upon the European Commission and Member States to re-emphasize that products obtained by novel genomic techniques should not be subject to Directive 2001/18 requirements and related regulations if they could also have been obtained through conventional methods or result from spontaneous processes in nature.” IN: https://www.euroseeds.eu/news/update-26-european-business-organisations-ask-the-eu-to-submit-a-study-on-the-status-of-novel-genomic-techniques.
(6) Documento citato, pag. 5.
(7) Legislatura 18ª -9ª Commissione permanente – Resoconto sommario n. 152 del 28/12/2020-https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/print/18/SommComm/0/1187645/doc_dc-allegato_a 4/9.
(8) The first Report on the State of the World’s Plant Genetic Resources for Food and Agriculture (SoW-1) (FAO, 1997) highlightsthe important role of informal seed systems to the conservation and maintenance of PGRFA.
(9) M. Conti –“Sistema sementiero e differenziazione dei modelli di produzione e distribuzione. Il biologico italiano tra agricoltura contadina e agricoltura commerciale” –Meridiana, n. 93 -2020.
(10) ITPGRFA -TRATTATO INTERNAZIONALE SULLE RISORSE FITOGENETICHE PER L’ALIMENTAZIONE E L’AGRICOLTURA.
(11) Atti Parlamentari –Senato della Repubblica XVIII LEGISLATURA –DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI -DOCUMENTI -DOC. XXIV, N. 25.
(12)
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