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Addio green deal, il business non rende

Piano piano, zitti zitti, i vertici delle multinazionali e delle istituzioni europee – Stati e Consiglio Europeo – hanno messo in soffitta ogni vagheggiamento di “transizione energetica” ed ecologica.

La coincidenza temporale con le manifestazioni più evidenti del cambiamento climatico in corso – non c’è stato praticamente l’inverno, quest’anno, ha piovuto pochissimo, la temperatura media del 2023 ha superato la soglia che costituiva il limite massimo del secolo in corso (+1,7 gradi, ben oltre l’1,5 che innesca processi irreversibili – non potrebbe essere più rivelatrice: dentro il modo di produzione capitalistico, col profitto al posto di comando, non è possibile alcuna difesa della vivibilità sul pianeta.

Si potrebbero citare cento diversi segnali di “marcia indietro”. Dalla rinuncia di molte case automobilistiche a sviluppare ulteriormente le auto elettriche o ad idrogeno (“il mercato” non le apprezza abbastanza), alle proteste degli agricoltori europei, l’insofferenza delle imprese per ogni normativa “ecologica”, e via dicendo.

Ma è sul piano politico che la retromarcia diventa ormai palese e quasi rivendicata. E non solo per mano dei nazi-distruttori di ultradestra a là Salvini o Le Pen. Basterebbe guardare alle conferenze Cop annuali, ormai in mano alla gestione di paesi petroliferi…

Già a maggio Macron consigliava di prendere “una pausa” nel processo legislativo europeo in materia di compatibilità ambientale, in modo da avvicinare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Quando le industrie automobilistiche hanno protestato contro il divieto di immatricolazione per veicoli benzina o diesel a partire dal 205, la UE ha immediatamente congelato il provvedimento.

Idem per il divieto di uso dei pesticidi in agricoltura, e ben prima che i trattori invadessero le capitali di tutta Europa (l’Italia è arrivata ultima anche in questo…). Basti dire che la contestata regola che obbligava a “mettere a risposo” almeno il 4% dei terreni agricoli era già stata sospesa al momento dello scoppio delle guerra in Ucraina. E poi “diluita” concedendo la possibilità di coltivare legumi e altre piante “rigeneratrici”.

Su tutto questo deciderà il prossimo “esecutivo europeo”, quello che uscirà dalle elezioni continentali di giugno, che prevedibilmente vedrà proprio i negazionisti del cambiamento climatico in posizione di maggior forza, quindi in grado di condizionare negativamente ogni evoluzione normativa “ambientalista”.

Anche perché gli stessi partiti “verdi”, da decenni convertiti al “realismo” e alla complicità con il business (quelli tedeschi sono forse i peggiori di tutti), sono ormai un residuo secco dei movimenti di qualche tempo fa. Oppure ridotti a dimensioni microscopiche facilmente criminalizzabili, un po’ come accade per le formazioni antagoniste.

L’incrocio tra crisi economica, guerra, ulteriore riduzione dei salari medi (falcidiati dall’inflazione e dall’aumento dei tassi di interesse), difficoltà tecnologiche reali, problemi giganteschi di ristrutturazione delle infrastrutture, ha reso ingestibili le difficoltà comunque enormi della “transizione energetica”.

Sia sul piano economico che su quello della “tenuta sociale”. La combinazione stretta, se non altro temporale, tra normative ecologiche europee e impoverimento progressivo di una parte rilevante della popolazione, a livello continentale, ha reso estremamente impopolare le tematiche “ecologiste”.

L’irresponsabilità di UE e governi nazionali è stata totale. Hanno dato sempre il via libera alle pretese (assai poco “ecologiche”) delle multinazionali e, contemporaneamente, chiacchierato moltissimo di “green deal”, senza mai mettere in azione alcuna politica (investimenti, insomma) che permettesse il suo avvio concreto.

Il risultato è stato tragico. Lavoratori e piccola impresa, specie agricola, hanno percepito le normative ambientaliste come “causa” del loro impoverimento. E quindi sono stati spinti a farsi massa di manovra delle grandi multinazionali che, fattisi due conti, hanno stabilito che “l’ambiente può attendere”. Il loro business viene sempre prima.

Equilibrio ecologico e capitalismo (accumulazione a crescita infinita) sono incompatibili. Facile da capire, ma ora si tratta di lottare contro la vera causa, abbandonando ogni illusione che bastasse “verniciare di verde” l’esistente per avere un mondo più vivibile…

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5 Commenti


  • luigi Tozzi

    Non diciamo sciocchezze. Stanno per approvare un regolamento esecutivo che impedirà a chiunque di opportsi alla costruzione di centrali eoliche, solari o atomiche in qualsiasi territorio della UE. Sapete che bello vedere il paesaggio italiano, spagnolo etc devastato da sta roba? E stanno anche per approvare misure per impedire l’acquisto di pannelli solari cinesi per “favorire” quelli della lobby europea che li produce. Chi pagherà tutto questo?
    Non si sta fermando per nulla la pazzia del green deal


  • Mara

    Il green deal e concepito dalle mtinazionali solo come occasione di investimenti e di guadagno scaricando sulla popolazionee spese per la realizzazione del Green deell. Siccome questo progetto trova degli ostacoli soprattutto da parte di chi si dovrebbe accollarne da soli le spese allora addio ciò non si può realizzare nelle forme efficaci e risolutive.
    Inoltre ritengo che l’intensificarsi delle produzione delle armi è dle guerre con bombardamenti annessi njlcciano all’ambiente. Ma di questo non se ne sente parlare.


  • m

    Sono ecologista e attivista da 40 anni e mi sento di dire liberamente che il green deal è un vero affare che non lasceranno cadere nel vuoto. Quello che stanno facendo è troppo distruttivo ma redditizio per lasciare perdere. La trasformazione di qualsiasi cosa in elettricità è parte integrante dell’ideologia green-transizione-digitalizzazione. E’ un tutt’uno. Gli industriali non avrebbero messo in piedi catene di montaggio già 30 anni fa senza sapere che cosa avrebbero costruito. Ci occorre un flare solare abbastanza potente da mandare tutto in sovraccarico, solo così ci sarà un interruzione e un terapeutico arretramento tecnologico di almeno 20 anni.


  • Gianni Sartori

    Si parva licet, invio questo “lamento”…
    GS

    Lamento per il platano secolare abbattuto – poco cristianamente – in quel di Chiampo (21 febbraio 2024)

    Gianni Sartori

    Di questi tempi, mi dicono, meglio il “profilo basso”. Soprattutto sulle questioni ambientali. Sembra che non fosse uno scherzo, una battuta di cattivo gusto la proposta del TSO per gli ambientalisti considerati “troppo” attivi.

    Forse Oltre Atlantico sta già accadendo.

    Pare che alcune ecologiste native (“indiane”) siano stati forzatamente ospedalizzate in quanto la loro “eccessiva sensibilità per le sofferenze di animali e piante “, causate dal sistema economico dominante (indovinate quale), andava curata farmacologicamente.

    Se necessario anche con ricovero coatto.

    Tant’è. Del resto c’era da aspettarselo. Ma – mi azzardo a chiedere – se l’empatia nei confronti di altri esseri viventi viene classificata come una patologia psichiatrica, cosa dire dell’assoluta indifferenza con cui cacciatori, allevatori, macellai, vivisettori…sfruttano e ammazzano, a volte torturano, povere creature indifese?

    Fatemi sapere, grazie.

    Nel frattempo vengo informato che il prossimo 18 maggio a Verona si svolgerà l’iniziativa eco-pacifista di “Arena di Pace 2024”.

    Per ammissione degli organizzatori, ispirata dalla Lettera Enciclica “LAUDATO SI’ “ di Papa Francesco sulla “Cura della Casa Comune”.

    Ottimo, naturalmente.

    Nel secolo scorso – e anche agli inizi di questo – ho preso parte a numerose iniziative di tal genere nella storica Arena veronese. La prima volta nel 1986, se non ricordo male.

    In genere promosse dal movimento “Beati i Costruttori di Pace” (don Mario Costalunga, padre Turoldo, la pastora valdese Febe Cavazzuti, i comboniani Alex Zanotelli, Eferem Tresoldi…) all’epoca dell’apartheid sudafricano (contro, ovviamente), per il disarmo e per protestare contro il susseguirsi di tante guerre più o meno “umanitarie” (Iraq, Afganistan, Libia…) a cui l’Italia prendeva parte, per i diritti dei popoli nativi…

    E anche stavolta non mancherò.

    Intanto -se non ho capito male – osservo che Papa Francesco nell’Enciclica “LAUDATO SI’ “ promuoveva un’idea di “ecologia integrale” affermando che “non si può essere sani in un mondo malato”.

    In quanto siamo tutti “parte di relazioni inseparabili, al centro di reti di vite interconnesse. La giustizia sociale dipende da quella ambientale, che a sua volta discende da quella ecologica”.

    Da qui a riconoscere i diritti di ogni entità vivente (non oggetto del nostro uso e consumo ma soggetto con fini propri, autorefenziale) il passo è breve.

    Ma purtroppo le gerarchie ecclesiastiche (e anche buona parte dei fedeli) non sempre si mostrano aggiornate e in sintonia. Per restare nel vicentino, risale a qualche anno fa l’abbattimento – con dispensa ecclesiastica presumo – di alcuni alberi maestosi sia nei pressi della Chiesa di Castegnero che di quella di Villaganzerla (stessa parrocchia). Più recentemente, quella decina di cedri tirati giù alla chiesa di Villabalzana (in questo caso pare su precisa richiesta del Consiglio pastorale).

    E infine, l’ultimo (solo per ora temo) episodio increscioso.

    L’abbattimento di un gigantesco (quasi due metri di diametro) platano secolare all’interno di un altro sito pervaso di sacralità e religiosità. Nei pressi di un Santuario, di un convento francescano e della locale versione della “Grotta di Lourdes”, opera del Beato Claudio Granzotto (1900-1947), familiarmente chiamato da mia madre “ Padre Claudio”. Oltre al Museo Missionario e alla maestosa Via Crucis (con personaggi in bronzo a grandezza naturale), comunque meritevoli di una visita.

    Qui il 21 febbraio 2024 il patriarca arboreo è stato letteralmente “raso la suolo”. Nonostante fosse in ottima salute, svettante nel cielo, rifugio di uccelli, insetti, piccole creature arboricole. Un mondo a sé. Se mi consentite la metafora, l’ultimo uro vagante nella foresta di Jaktorów.

    GLI ALBERI SONO LA MEMORIA DELLA TERRA

    E quanta storia, quanti ricordi tra gli incorrotti, nitidi, precisi anelli di accrescimento. Perfetti come quelli di una pianta ancora giovane.

    Un testo arcaico, una pergamena mirabilmente scampata a guerre e incendi, tarli e catastrofi.

    Testimone di oltre un secolo di Storia locale.

    Dal rombo delle cannonate della Prima Guerra Mondiale sulle cime circostanti ai colpi fatali dei fucilatori nazisti che il 30 marzo del 1944 stroncarono le vite di quattro operai delle Officine Pellizzari. “Colpevoli” di aver partecipato allo sciopero contro il trasferimento dei macchinari e la deportazione dei lavoratori in Germania.*

    Intravide forse – o comunque percepì – il fumo denso delle barricate nel 1971 (quando la stessa fabbrica storica di Arzignano rischiava di chiudere arbitrariamente lasciando sul lastrico decine, centinaia di famiglie).

    E magari, tre anni prima, anche il fragore dei lacrimogeni, degli spari, le grida di rabbia e di dolore di quel 19 aprile 1968 indimenticabile.**

    Per ora lo si può ancora intravedere – enorme – su google map e mi chiedo se proprio non era possibile trovare una qualche alternativa umanitaria. Che so? Magari una discreta e rispettosa riduzione della chioma. Al limite la realizzazione della copertura a protezione di un breve tratto stradale (con tutto quello che si costruisce a vanvera …). O forse un sottopasso…

    Oppure – perché no ? – un piccolo spostamento della strada (lo spazio c’era, mi pare).

    E infine, visto che risultava sanissimo, si sarebbe potuto lasciarlo semplicemente com’era limitandosi a periodici controlli.

    Insomma, tutto tranne che quell’abbattimento impietoso, definitivo e irreparabile.

    Invocare, nel caso di caduta improvvisa dell’albero, la tutela della vita umana – o piuttosto di eventuali danni alle auto, feticcio moderno – in una località prossima alle zone infestate per decenni dai miasmi (e peggio) delle concerie suona francamente pretestuoso.***

    Mi pongo una domanda. Se effettivamente- come sostiene Stefano Mancuso – gli alberi (oltre ad applicare il principio del mutuo appoggio – e soccorso – alla Kropotkin) sanno comunicare con i loro simili (e forse anche con altri esseri sensibili) anche a centinaia di metri di distanza: quale possente grido, urlo, lamento di dolore avrà lanciato, quale inascoltata richiesta di aiuto…mentre le lame impietose lo squartavano?

    D’altra parte di che stupirsi? Siamo o non siamo nella fabbrica diffusa del Nord-Est? Nei territori della metastasi cementizia incontrollata, della “poltiglia urbana” straripante, del degrado ambientale generalizzato e della riduzione a merce spettacolare (per chi se lo può ancora permettere) della Natura in generale e della Montagna in particolare?

    Dove si abbatte un orso solo perché è stato visto “seguire” (stando alle loro dichiarazioni almeno) alcuni escursionisti forse troppo impressionabili (e magari il plantigrado se ne andava soltanto per i fatti suoi sul medesimo sentiero). Dove – è di questi giorni – vengono assassinati col veleno centinaia di uccelli (dalle parti di Caldogno, nel Vicentino), senza parlare della strage successiva di altri volatili (civette, cornacchie…) che si sono nutriti dei cadaveri.

    Potrei continuare all’infinito, ma mi fermo qui, per carità cristiana.

    Come scriveva Bobby Sands: “Adesso lo sai. Pensaci, ma non limitarti a questo”.

    Gianni Sartori

    Note

    1) Cocco Luigi, Carlotto Umberto, Erminelli Cesare e Marzotto Aldo. i quattro operai fucilati il 30 marzo 1944- presumibilmente con un colpo alla nuca – presso il Castello di Montecchio Maggiore, furono sepolti in una fossa comune avvolti in un sacco di tela. Solo nell’aprile 1945 fu possibile conoscere il luogo della sommaria inumazione. I cadaveri vennero identificati dagli abiti che le quattro vittime indossavano al momento della cattura. Nella medesima circostanza venivano arrestati anche altri 23 operai della “Pellizzari”. Imprigionati prima a Vicenza e poi a Fossoli per essere infine inviati in Germania. Due dei deportati,Rampazzo Giuseppe e Salvato Giovanni, morirono prima del termine della guerra.

    2) https://bresciaanticapitalista.com/2023/04/21/19-aprile-1968-soltanto-un-inizioframmenti-di-lotte-sociali-nel-vicentino-1968-1969/

    3) Senza dimenticare che appena oltre il crinale, nella vallata parallela dell’Agno, sorge la famosa fabbrica produttrice di perfluorinated alkylated substances…


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