Il ritorno alla normalità post-covid sembra portarsi con sé una serie di problemi che si pensavano ormai superati da tempo. L’inflazione e la conseguente diminuzione del potere di acquisto, la carenza di prodotti diventati essenziali come i microchip, l’aumento del costo dell’energia, il ritorno al dibattito sul nucleare.
Insomma una “normalità” che è più simile ad un film di fantascienza post-apocalittica che al benessere cui potevamo auspicare.
Le dinamiche e le relazioni tra i grandi blocchi economici sono state profondamente modificate dalla pandemia e di conseguenza, in un’ottica competitiva, si vanno ridisegnando i rapporti di forza (interni1 ed esterni), come anche gli scambi finanziari e commerciali.
Soprattutto qui da noi, in Europa la parola chiave è diventata “indipendenza”, sul piano sanitario ma anche su quello industriale, energetico, militare e politico. È per questo che le problematiche di sempre, come la carenza di fonti energetiche primarie sul territorio europeo, necessitano oggi di soluzioni non più posticipabili. E torna in auge il nucleare.
È chiaro a tutti ormai che il piano per il rafforzamento e il rilancio dell’Unione Europea poggia soprattutto sul New Green Deal e quindi sulla transizione così detta ecologica. Tuttavia, come questa debba procedere non è per nulla scontato ed è la conseguenza delle condizioni accumulatesi storicamente.
Ad esempio, da anni la Germania ha investito sullo smantellamento delle centrali nucleari e su tecnologie come la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e dal metano: i tedeschi sono all’avanguardia sia nella generazione da eolico2 che nella produzione di tecnologie per il fotovoltaico, inoltre la costruzione dei gasdotti Nord Stream aveva come obiettivo quello di assicurarsi le forniture di metano dalla Russia senza passare dagli Stati al confine dell’Unione Europea.
Questo non è avvenuto per vocazione ecologista dei Verdi tedeschi, semplicemente gli impianti di produzione dell’energia elettrica dal nucleare sono più costosi di qualsiasi altra tecnologia, anche senza considerare i rischi e lo smaltimento delle scorie su cui non c’è ancora nessuna soluzione praticabile.
Di conseguenza se l’obiettivo dello sviluppo del nucleare è esclusivamente correlato alla produzione di energia elettrica questi impianti non sono economicamente convenienti, diverso è il caso in cui il nucleare venga impiegato anche per altri scopi.
È chiaro quindi che i rapporti di forza e le condizioni al contorno andranno a determinare come si farà questa transizione tanto auspicata e che forma assumerà la tassonomia verde europea.
Gli scenari politici in Kazakistan (primo produttore mondiale di Uranio), le relazioni con la Russia e con gli USA, la depredazione imperialista del Niger ma anche le presidenziali in Francia e il nuovo assetto politico in Germania sono tutti elementi che, insieme ad altri, concorrono a definire la tassonomia verde, quanto ne resterà di ecologico lo vedremo ma il fatto è che in Europa c’è carenza di fonti energetiche primarie e fin tanto che questo problema non viene risolto l’indipendenza resterà utopia.
La Francia una soluzione ce l’ha ed è il nucleare, usato per scopi civili e militari insieme. Il New Green Deal serve proprio a dare una direzione unitaria in termini di politica energetica all’Unione Europea, e da qui si parte con tutti i programmi di ristrutturazione post-covid.
La mistificazione della parola green
Riguardo alla parola green è necessario fare chiarezza.
Il nucleare non è una fonte di energia rinnovabile, tecnicamente una fonte rinnovabile è reintegrabile nel breve periodo in modo naturale. Ad esempio sono rinnovabili l’eolico, il solare, l’idroelettrico, il geotermico e le biomasse e, com’è facile notare, queste cinque diverse fonti di energia hanno anch’esse un impatto sull’ambiente: il geotermico può inquinare le falde acquifere; le biomasse e il fotovoltaico producono CO2 (le prime per combustione il secondo nelle fasi di produzione e smaltimento dei dispositivi); l’eolico è brutto da vedere sulle verdi colline italiane anche se non è così male nei bassipiani tedeschi; l’idroelettrico modifica la morfologia, la flora e la fauna delle montagne.
L’accezione di energia “green” è quindi del tutto soggettiva e va storicizzata, oggi prevale l’assioma “green” uguale a “zero emissioni di CO2” e spesso la parola green è confusa con rinnovabile in opposizione alle fonti fossili come gli idrocarburi, responsabili della produzione dei gas serra.
In ogni caso il nucleare non è rinnovabile, la fissione nucleare infatti prevede l’utilizzo dell’uranio che com’è noto si trova nelle miniere. L’uranio è un elemento chimico abbastanza diffuso sulla crosta terrestre, il problema è che è poco concentrato, il che significa che bisogna frantumare grosse quantità di roccia per ottenere qualche grammo di uranio.
Ci sono due modi per estrarlo, il primo è il più classico dell’industria estrattiva: si fanno saltare, mediante l’uso di dinamite, grossi ammassi rocciosi per poi frantumarli e trattarli fino ad ottenere una polvere di uranio. L’altro metodo prevede l’iniezione di fluidi all’interno delle rocce (alcune rocce sono porose e permettono ai fluidi di passarci attraverso), una volta ripescati risulteranno arricchiti di vari elementi tra cui l’uranio.
Il problema è che per sciogliere l’uranio è necessario usare l’acido solforico (o altri acidi), ed è chiaro quindi che tutto il sottosuolo, falde acquifere comprese, ne resterebbe alterato per centinaia di anni. Per ciò che riguarda l’estrazione è del tutto assimilabile alle peggiori fonti fossili, come lo shale oil ad esempio.
Bisogna inoltre considerare che le ruspe e le macchine che si muovono in miniera sono alimentate a gasolio e quindi il processo di estrazione dell’uranio emette CO2.
Perché il nucleare non è una fonte di energia rinnovabile? In seguito al processo di produzione dell’energia questo elemento chimico viene letteralmente distrutto – cancellato dall’universo – ovvero scisso in krypton e bario.
Di conseguenza l’uranio prima o poi finisce e mentre il petrolio dopo qualche decina di millenni si riproduce nuovamente l’uranio no, non esisterà mai più perché la natura non è capace di riprodurlo se non in eventi della portata del Big Bang.
Rispetto all’eolico o al fotovoltaico la generazione di energia elettrica da nucleare è una tecnologia arcaica se non ridicola. Si chiamano centrali termonucleari perché funzionano come una centrale a termoelettrica a carbone ma con un “combustibile” diverso.
L’energia termica invece che essere sprigionata da una reazione di combustione è il risultato di una reazione nucleare, ma in sostanza si tratta di scaldare un enorme pentolone d’acqua con una “fiamma” sempre a manetta ed estremamente pericolosa e inquinante, roba da pazzi insomma.
A scanso di equivoci questo è un commento tecnico. Non ho alcun pregiudizio sul nucleare, anzi ho visitato numerose centrali nucleari e ho anche fatto la passeggiata all’interno delle torri di evaporazione.
C’è da considerare ancora che il rendimento di una centrale termonucleare è dell’ordine del 30%, significa che buttiamo via il 70% dell’energia liberata dalla reazione, ovvero buttiamo via il 70% di uranio.
Per intenderci le centrali a carbone hanno rendimenti di circa il 50%, infatti le centrali nucleari sono le uniche ad avere quelle gigantesche torri da cui esce il vapore usato per dissipare quel 70% di energia che non è stato possibile trasformare.
Le nuove generazioni di reattori modulari non risolvono nulla, magari con questi tipi di reattori si potrà regolare la fiamma sotto il pentolone ma a parità di energia prodotta dieci reattori piccoli sono più pericolosi di un reattore grande.
A questo punto si potrebbe sostenere invece che la fusione nucleare, a differenza della fissione, sia green. Peccato solo per due problemini.
Il primo è che la fusione nucleare ancora non esiste come tecnologia capace di produrre energia, anche se numerosi studi ne hanno dimostrato le potenzialità teoriche. Uno dei primi risale al 1956, quando Kurchatov3, un membro di una delegazione sovietica in visita ad Harwell4 , sorprese gli scienziati inglesi con una lezione in cui mostrava i risultati di un esperimento di fusione nucleare.
Aveva fatto scontrare due isotopi di idrogeno generando una reazione termonucleare, il problema – ai tempi come oggi – era ed è che non esistono materiali capaci di sopportare le temperature che si sviluppano nel processo.
La discussione che seguì a quella lezione portò gli scienziati di mezzo mondo ad immaginare un toroide (una ciambella), avvolta con fili di materiale conduttore e capace di generare un campo magnetico in grado di confinare il plasma all’interno del quale avviene la fusione, le linee di campo andrebbero a svolgere la funzione di un contenitore virtuale.
Purtroppo però la scienza da questo punto di vista non è andata molto avanti. Quest’anno la rivista Science5 annovera tra le maggiori scoperte del 2021 quella dei ricercatori della National Ignition Facility che “sono infatti riusciti a scaldare e comprimere isotopi di idrogeno con un laser potentissimo per indurre la formazione di un plasma di ioni, riuscendo a produrre quasi la quantità di energia usata per innescare la reazione”.
Mentre invece, più vicino a noi, l’ENEA sta sviluppando il DTT (Divertor Tokamak Test)6, il cui elemento principale è una ciambella schiacciata su un lato che produce un campo magnetico in grado di tenere confinato il plasma. Vi ricorda qualcosa? E non è tutto…
La tecnologia odierna ci permette di estrarre il trizio, uno degli isotopi dell’idrogeno che si usano per sostenere la reazione termonucleare, solo dal materiale di fissione di un reattore nucleare.
Insomma, quando si parla di fusione nucleare spesso si fa propaganda, difatti al momento è un processo che consuma più di quanto produce e le materie prime necessarie sono in parte reperibili solo tramite fissione nucleare. Possiamo definirla green?
Se vogliamo usare questa parola potremmo anche farlo riferendoci alle centrali termoelettriche a metano, fino a qualche decina d’anni fa lo si faceva. La combustione di questo idrocarburo infatti è la più pura possibile ed in passato era considerato un processo estremamente pregiato, è la combustione più pulita possibile.
Combinando il metano con l’ossigeno7, cioè combustibile e comburente, il risultato è energia (calore e luce), acqua e CO2 . Non si producono né polveri sottili come con il gasolio o il carbone, dannose per animali e vegetazione; né gas che riducono lo strato di ozono in atmosfera; né scarti radioattivi; né dispositivi difficili da smaltire; né veleni.
Tuttavia, si produce il gas serra per eccellenza: l’anidride carbonica responsabile dell’aumento della temperatura del pianeta. Secondo l’accezione corrente della parola il metano non è green perché libera gas serra (esso stesso è un gas serra).
Qual è quindi la soluzione al rebus? È necessario inquadrare la questione in maniera più generale, bisogna acquisire consapevolezza che ogni attività antropica ha un impatto sull’ambiente, la produzione di energia elettrica soprattutto.
La cura dell’ambiente richiede un approccio olistico, il che significa che le fonti di energia devono essere tante e diversificate dato che al momento non ne esiste nessuna compatibile con gli equilibri della natura.
Equilibri però che possono restare tali se e solo se si pianifica la produzione di energia tenendo conto della finitezza delle risorse, è necessario sapere di quanta energia abbiamo bisogno e di quanto tempo ci mettono le fonti energetiche per rigenerarsi.
È necessario sviluppare una capacità di pianificazione di alcuni decenni se non più, il che richiede conoscenze scientifiche molto avanzate e scevre dalla logica del profitto.
Non è una questione “ideologica”, ma pratica. Affidandoci a una logica universale, cioè attenta allo sviluppo dell’uomo nel suo complesso e nell’ambiente circostante invece che al profitto, ci si preoccuperebbe della riproducibilità delle risorse energetiche, allora si potrebbe usare la parola green come sinonimo di rinnovabile.
Ora come ora, però, l’aumento della temperatura globale è un problema enorme, ed è anche dimostrato che è l’accumulazione di gas serra in atmosfera a provocarlo.
Se, però, per effetto della mistificazione della parola “green” ci ritrovassimo belli al fresco, ma con un barile radioattivo in salotto siamo proprio sicuri che ci guadagneremmo qualcosa? È questa la normalità a cui auspichiamo?
Più che green sembra fluorescente.
2 In Germania il 25% dell’energia elettrica è generata grazie all’eolico (on shore), in Italia circa il 9%.
3 On the history of the research into controlled thermonuclear fusion rf_shafranov.pdf (pppl.gov)
6 https://www.wired.it/economia/business/2020/10/30/fusione-nucleare-dtt-enea-italia/
7 CH4 [gas] + 2O2 [gas] → CO2 [gas] + 2H2O [vapore] + 891 kJ
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