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Il COP27: un punto di vista dei popoli africani

Domenica 6 novembre si apre il COP27 in Egitto, la 27esima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in programma a Sharm El Sheik fino al 18 novembre.

Sono attesi un centinaio di leader mondiali.

Da questo vertice è difficile aspettarsi soluzioni concrete all’infarto ecologico del pianeta che è il prodotto di una crisi di un modo produzione capitalista sempre più ecocida, che porta a trasformazioni sempre più “irreversibili”.

Sul tavolo di questo incontro dovrebbero esserci diverse urgenze come la sicurezza alimentare, che la guerra in Ucraina – ma soprattutto la speculazione sui prezzi dei prodotti alimentari – ha reso ancora più precaria.

Quindi anche la transizione verso fonti rinnovabili, mentre in Occidente i combustibili fossili non sembrano essere per ora (per ragioni di mercato) “sostituibili” visti i ritardi nella transizione ecologica che rende le economie dei Paesi, in primis della UE, più dipendenti da fonti inquinanti (il gas di scisto statunitense e il carbone, nonché il nucleare).

Ma anche la difesa delle comunità più vulnerabili al cambiamento climatico, cioè il Sud del mondo anche se l’Europa conosce fenomeni catastrofici di portata sempre maggiore come testimoniano gli incendi dell’ultima estate e le inondazioni dovute alle piogge torrenziali, ecc., producendo nel Vecchio Continente, i “primi” profughi climatici interni.

I principali indicatori scientifici danno una fotografia di ciò che il mondo è diventato, mentre le previsioni per il futuro non sembrano riservare nulla di buono, visto il consolidarsi di alcune tendenze in atto.

Affidiamoci ad una panoramica pubblicata il 3 novembre da “Le Monde” nell’articolo “COP27: indicatori per misurare l’urgenza climatica”.

Nel settembre 2022 le temperature erano in media più alte dei 1,11°C rispetto all’era pre-industriale. Gli otto ultimi anni sono stati i più caldi mai osservati.

Secondo un rapporto realizzato dall’Organizzazione meteorologica mondiale insieme a Copernicus, ripreso da diverse testate internazionali, negli ultimi 30 anni le temperature in Europa sono aumentate “più del doppio” rispetto alla media globale: il rialzo più brusco registrato in qualsiasi continente del mondo.

Tornado agli indicatori citati dal quotidiano francese.

La concentrazione del diossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera non è stata mai così elevata da due milioni di anni. In media, il livello degli Oceani è aumentato di 3 millimetri per anno dal 1993, Oceani assorbono il 90% dell’eccedenza di calore accumulata nel sistema climatico.

La superficie dei ghiacci del mare dell’Artico diminuisce sul lungo termine. Nell’Antartico, lo stesso fenomeno si è leggermente  accelerato dal 2016. Il volume equivalente ad una altezza di 28 metri di ghiaccio ripartito su tutti i ghiacciai del mondo si è “liquefatto” dal 1970.

Una dei temi che rischia di non essere neanche affrontato sono le conseguenze che i Paesi ricchi inquinanti impongono al resto del mondo, perché rimuovono le proprie responsabilità o semplicemente non prendono alcun provvedimento attuativo per porvi rimedio, se non in peggio.

Abbiamo tradotto una Dichiarazione pubblicata su Progressive International che dà voce ai popoli dell’Africa, offrendo un punto di vista non occidentale e non governativo sui più scottanti problemi concernenti il cambiamento climatico per queste popolazioni, al di là delle operazioni di Greenwashing e del “bla-bla-bla” che caratterizzerà queste giornate, vengono fatte proposte concrete che sono rivendicazioni irrinunciabili che mirano a cambiare la struttura neo-coloniale dei rapporti tra il Nord ed il Sud del mondo.

Buona lettura.

***

Dichiarazione dei popoli africani sulla giustizia climatica ai governi africani

Noi, popolo africano:

In solidarietà, ci schieriamo come donne, uomini, giovani, contadini, movimenti sociali, organizzazioni comunitarie e della società civile come fronte unito contro la crisi multidimensionale che sta prevalendo nel nostro continente.

Prendendo atto della frequenza e dell’intensità delle crisi climatiche in Africa che ci hanno unito nella nostra diversità, parliamo con una sola voce per chiedere ai leader africani e globali di prendere sul serio la questione del cambiamento climatico e di garantire che la giustizia climatica sia realizzata con urgenza.

Consapevoli del fatto che i leader africani e altri leader mondiali si stanno preparando a riunirsi nuovamente per la 27esima edizione della Conferenza delle Parti (COP), noi, popolo africano, abbiamo fatto il punto sugli impegni presi alla COP 26 e alle COP precedenti e sulla misura in cui sono stati rispettati.

Riconoscendo che questa COP27 si terrà sul suolo africano, è di grande importanza che le voci africane vengano ascoltate e che le nostre preoccupazioni e raccomandazioni vengano prese in considerazione.

Rifiutando qualsiasi tentativo di etichettare la COP 27 come una COP africana se non riconosce le voci dei popoli africani nella loro diversità e non spinge per accordi che si avvicinino a rendere le aspettative di giustizia climatica una realtà.

Pertanto, consapevoli degli effetti attuali della crisi climatica in Africa e nel mondo

Il cambiamento climatico rimane la più grande “sfida esistenziale” dell’Africa. Stiamo già sperimentando gli effetti della crisi climatica, come dimostra il ciclone Batsirai del febbraio 2022 in Madagascar, seguito da forti tempeste, che ha causato circa 150.000 sfollati e 1,64 milioni di persone che hanno dovuto affrontare una grave insicurezza alimentare, aggravando gli effetti della peggiore siccità degli ultimi 40 anni in altre parti del paese.

Anche la “bomba di pioggia di Durban” dell’aprile 2022 ha causato inondazioni in tutto il KwaZulu Natal in Sudafrica, durante le quali 450 persone hanno perso la vita, 40.000 sono state sfollate e 12.000 case sono state completamente distrutte.

Nel 2019 il ciclone Idai ha causato più di 960 morti, migliaia di dispersi e ha colpito quasi 3 milioni di persone in Mozambico, Zimbabwe e Malawi ed è stato seguito da altri 4 cicloni nell’arco di 2 anni. Le tempeste di polvere stanno creando scompiglio nella regione del Sahel.

Tutto questo sta avendo un impatto negativo sulla sicurezza alimentare e sta causando la perdita di biodiversità in Africa, mentre milioni di persone soffrono la fame estrema e hanno bisogno di aiuti alimentari in tutto il continente.

I contadini, di cui la maggior parte sono donne, producono la maggior parte del cibo locale che alimenta le case africane – quasi l’80% del cibo totale consumato dagli africani. Inoltre, per il loro sostentamento si affidano principalmente all’agricoltura pluviale e ad altri prodotti naturali disponibili nei loro territori. Sono loro (le contadine) a subire maggiormente gli effetti del cambiamento climatico sulle economie rurali.

Le donne contadine sono anche responsabili della fornitura di energia e acqua per le loro famiglie e comunità e sono le principali assistenti dei malati, rendendo i molteplici ruoli gravosi in tempi di crisi. La crisi climatica sta portando l’Africa a diventare un importatore netto di cibo, con il risultato che i prezzi degli alimenti vanno oltre la portata della gente comune e in molti casi sono inferiori ai mercati locali.

I cambiamenti climatici, i conflitti indotti dalle risorse e i disastri ambientali non solo nella regione africana, ma in tutto il mondo continuano senza sosta e centinaia di migliaia di famiglie sono state pesantemente colpite solo nel 2022.

Con l’aggravarsi degli eventi climatici estremi, l’insicurezza ha alimentato l’insorgere di conflitti armati in regioni fragili come il Delta del Niger, il bacino del Ciad, il Corno d’Africa, il bacino della Repubblica Democratica del Congo e l’Amazzonia (disboscamento del legname da parte delle multinazionali), dove già prevalgono istituzioni ed economie deboli, ingiustizia, violenza e insicurezza sociale.

Attualmente, ondate di calore senza precedenti stanno attraversando il mondo, provocando incendi e uccidendo migliaia di persone. L’Europa sta affrontando la peggiore siccità degli ultimi 500 anni, mentre le recenti inondazioni monsoniche che hanno colpito il Pakistan (Asia) da metà giugno 2022 hanno lasciato un terzo del paese sott’acqua.

Le isole caraibiche sono a rischio di estinzione a causa dell’innalzamento del livello del mare. In Cina, un’ondata di calore da record combinata con una siccità prolungata durante la consueta stagione delle inondazioni ha creato scompiglio, compromettendo la capacità idroelettrica e la futura disponibilità di cibo. Tutti questi effetti si verificano in presenza di una scarsa capacità di adattamento al clima nel Sud del mondo.

La cattiva gestione delle risorse naturali attraverso l’estrattivismo – il saccheggio su larga scala delle nostre risorse a scopo di lucro e per soddisfare il consumo eccessivo delle élite del Nord e del Sud del mondo – ha portato a un aumento della povertà e del sottosviluppo tra le comunità e le nazioni ed è un fattore scatenante della crisi climatica ed ecologica.

L’agricoltura, la silvicoltura e la pesca industriali e la promozione sconsiderata di queste e altre false soluzioni stanno spingendo l’Africa sull’orlo della distruzione. Ironia della sorte, in Africa si sta assistendo a una nuova spinta agli investimenti in combustibili fossili in concomitanza con il conflitto tra Ucraina e Russia.

Ciò ha aggravato l’ingiustizia climatica nel mondo, poiché il Nord globale sta spingendo i Paesi poveri del Sud globale a investire nei combustibili fossili, come il gasdotto da 400 miliardi di dollari che dovrebbe passare dalla regione del Delta del Niger in Nigeria fino all’Europa.

Questo senza considerare che lo stesso Nord Globale chiede una riduzione graduale degli investimenti in combustibili fossili da parte delle nazioni nel timore di un aumento delle emissioni di gas serra. Tragicamente, l’Africa è il continente che emette meno, meno del 4% delle emissioni globali, eppure sta pagando il prezzo più alto degli shock e dei disastri climatici.

Prove sempre più evidenti dimostrano che lo sfruttamento del gas in Africa non porterà benefici economici a lungo termine al continente. Gli unici vincitori a breve termine saranno i paesi europei in cerca di forniture alternative di gas russo e le multinazionali del petrolio e del gas in cerca di enormi profitti.

Le maggiori compagnie petrolifere e del gas del mondo stanno pianificando 195 giganteschi progetti petroliferi e del gas chiamati “bombe di carbonio”, anche in Africa, che porterebbero il clima oltre i limiti di temperatura concordati a livello internazionale.

Le bombe di carbonio produrranno 646 GtCO2 di emissioni, superando il budget globale di carbonio di 500 GtCO2. Le emissioni di carbonio non hanno confini, gli aumenti in un paese avranno un impatto su tutti noi. Dobbiamo passare alle energie rinnovabili.

Le energie rinnovabili decentralizzate, gestite dalle donne e dalle comunità sono più economiche e sicure e hanno benefici collaterali per l’ambiente e la società. Questo non è un problema in Africa, dove la maggior parte del continente non è vincolata all’energia sporca.

La promozione aggressiva dell’idrogeno “verde” è una distrazione pericolosa e sporca, soprattutto quando deriva dal gas naturale e da altri combustibili fossili. I massicci investimenti e le infrastrutture, in parte sovvenzionati dai nostri stessi Stati, sono destinati a servire il Nord globale, con scarsi o nulli benefici in termini di maggiore accesso all’energia nei nostri territori. Noi vogliamo smascherare, screditare, scoraggiare e bloccare tutte le forme di esplorazione e produzione di gas idrogeno.

I vertici globali sul clima continuano a deluderci!

Mentre la COP 27 pone l’accento sull’Africa e sulla sua vulnerabilità climatica e sul mancato impegno del Nord globale nei confronti delle promesse dell’UNFCCC, la narrativa della “giusta transizione” viene finalmente riconosciuta dai governi (dopo anni di lotte e articolazioni comunitarie).

Tuttavia, stiamo anche assistendo a una spinta più forte da parte dell’industria, che sta radicando ulteriormente il colonialismo dell’energia sporca. La “Posizione africana sull’accesso all’energia e sulla transizione” recentemente proposta dall’Unione Africana, se adottata dai capi di Stato, potrebbe rafforzare un regime oppressivo in tutta l’Africa.

Distruggerà gli sforzi per sostenere l’uguaglianza, la democrazia aperta, l’inclusione delle voci delle persone e la giustizia di genere e distruggerà le speranze di un futuro energetico senza combustibili fossili per le popolazioni africane e le ambizioni globali di mitigazione del 2050.

Il crescente interesse per le risorse energetiche sporche in tutta la regione non è in linea con gli impegni assunti alla COP 26. L’espansione delle attività legate ai combustibili fossili in Sudafrica, l’esplorazione di petrolio e gas in Zimbabwe e Costa d’Avorio, lo sfruttamento delle riserve offshore di petrolio e gas in Nigeria, le attività di gas in Mozambico e gli interessi nella Repubblica Democratica del Congo, per non parlare della rianimazione dell’uso del carbone in Europa per coprire il divario creato dalla guerra in Ucraina, sono solo esempi del servizio a parole che è stato fatto per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili sporchi.

I piccoli produttori di cibo in Africa, in particolare le donne contadine, continuano a lottare contro le ingiustizie derivanti da strutture politiche inadeguate e dalla distruzione di sistemi alimentari sostenibili in seguito ai cambiamenti climatici.

L’attuale narrazione del cibo e il discorso sul cambiamento climatico sono catturati dalle multinazionali internazionali e non riflettono le voci dei contadini, in particolare delle donne contadine, nonostante siano le più colpite dal cambiamento climatico.

Il cambiamento climatico e gli attuali sistemi alimentari industriali stanno danneggiando l’ecosistema e creando disuguaglianze sociali. Come continente, non c’è momento migliore di questo per rivendicare la sovranità alimentare, che comprende un sistema alimentare sostenibile basato sull’agroecologia, sui mercati territoriali e sui diritti dei contadini. È il momento di rivendicare il nostro diritto a un cibo culturalmente appropriato, prodotto con metodi ecologici e sostenibili.

False soluzioni come il riciclaggio chimico, l’incenerimento della plastica e dei rifiuti, i mercati del carbonio, la compensazione del carbonio, la geoingegneria, il net zero, ecc. in vari paesi africani finanziati dal Nord globale ci stanno spingendo ancora di più verso l’emergenza climatica e le comunità vulnerabili in prima linea senza alcuna fonte di difesa per affrontare gli impatti devastanti del cambiamento climatico.

I produttori di cibo su piccola scala e i consumatori devono avere voce in capitolo su come il cibo viene prodotto, trasformato, commercializzato e consumato. Diciamo NO all’uso del cibo per controllare i popoli del mondo.

Pertanto chiediamo alla nostra delegazione africana alla COP 27 di spingere per i seguenti risultati:

I finanziamenti per il clima devono essere incrementati per raggiungere l’obiettivo prefissato, sotto forma di sovvenzioni e senza condizioni repressive e generatrici di debito. Dovrebbero essere indirizzati alle comunità più vulnerabili e in prima linea nella crisi climatica in Africa, comprese le donne produttrici di cibo nelle zone rurali.

Dovrebbero essere assunti impegni chiari sulla riparazione delle perdite e dei danni. È necessario garantire che le responsabilità storiche di “chi inquina paga” per il “debito climatico” dei grandi inquinatori siano onorate e pagate alle comunità indigene oppresse e alle altre comunità locali in Africa e nel resto del Sud globale in base all’impatto della crisi climatica.

Il Nord globale deve compensare in modo equo e giusto le perdite e i danni subiti da coloro che sono più vulnerabili e spesso meno responsabili della distruzione dell’ambiente. È necessario sostenere che il Dialogo di Glasgow passi da una piattaforma negoziale aperta sulle perdite e i danni a una struttura di emergenza con quadri di responsabilità.

Costruire la sovranità alimentare: Riconoscere, rispettare e sostenere l’agroecologia contadina e altri modelli di produzione e distribuzione alimentare realmente sostenibili basati sulla sovranità alimentare come alternative al sistema alimentare industrializzato.

Le iniziative a livello locale devono rafforzare i sistemi alimentari e la sovranità alimentare delle donne e dei contadini e devono essere sostenute da risorse nazionali e internazionali senza alcuna condizione. I governi dovrebbero aumentare gli stanziamenti nazionali per l’agricoltura e proteggere le sementi e i sistemi di sementi locali, guidati dal principio del consenso libero, preventivo e informato (e continuo) dei piccoli produttori e consumatori di cibo.

Smettere di finanziare false soluzioni: Abbandonare tutte le false soluzioni (compresi i meccanismi di scambio e compensazione delle emissioni nette, falliti, come i meccanismi di sviluppo pulito (CDM), le cosiddette soluzioni basate sulla natura e altre false soluzioni tecnologiche come la geoingegneria, il sequestro nelle monocolture, le pericolose modifiche e manipolazioni genetiche).

L’energia nucleare, le grandi dighe e i modelli di economia “verde” e “blu” devono essere riconosciuti come truffe e devono essere abbandonati e aboliti. Garantire il sostegno alle comunità vulnerabili per ricostruire meglio attraverso il recupero e la resilienza e i meccanismi di adattamento.

Lasciare i combustibili fossili sottoterra: I governi del Nord e del Sud del mondo e i finanziatori delle industrie globali del petrolio, del gas e del carbone devono fermare tutte le nuove esplorazioni. I nostri governi devono reindirizzare le riserve esistenti verso un programma di sovranità che preveda il graduale abbandono dei combustibili fossili e l’impegno per una giusta transizione energetica.

Il consenso libero, preventivo, informato e continuo delle donne, dei popoli indigeni e delle loro comunità, e il loro diritto a dire no ai progetti di estrazione e combustione di combustibili fossili nei loro territori, così come ai mega progetti infrastrutturali dannosi, devono essere riconosciuti e rispettati e qualsiasi perdita e danno subito deve essere equamente compensato.

Trasformare il nostro sistema energetico: Idee come la sufficienza energetica per tutti, la sovranità energetica, la democrazia energetica, le tecnologie energetiche libere, l’energia come bene comune, l’energia rinnovabile al 100% per tutti, l’energia rinnovabile di proprietà della comunità e l’energia rinnovabile a basso impatto possono aiutarci a passare con urgenza da una società a un modo di vivere giusto e in armonia con la natura.

Costruire la pace e porre fine all’ipocrisia climatica: La guerra è redditizia (per pochi), l’attuale aumento dell’appetito globale per le riserve energetiche africane si inserisce in una lotta globale per il potere sulle forniture energetiche all’Europa, con le multinazionali del petrolio e del gas che cercano di distruggere ulteriormente il nostro ambiente e di ottenere enormi profitti dal settore.

Nonostante i numerosi impegni e gli sforzi dei governi più potenti per affrontare le cause del cambiamento climatico, le emissioni e l’inquinamento prodotti dall’energia e dall’industria sono aumentati del 60% da quando è stata firmata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul clima nel 1992.

L’esplorazione del gas africano non è nemmeno destinata a beneficiare le popolazioni di questo continente. La maggior parte del gas è destinata all’esportazione. Non è destinato ai bisogni umani e ai diritti fondamentali dei nostri popoli.

Stop al colonialismo dei rifiuti: Il Nord globale deve smettere di scaricare rifiuti nel Sud globale e tutte le parti devono impegnarsi a escludere l’incenerimento dei rifiuti dai piani climatici nazionali e di altro tipo. Fermare l’espansione petrolchimica, ridurre la produzione di plastica ed eliminare gradualmente la plastica e gli imballaggi monouso in tutti i settori. Investire in piani e misure di riduzione dei rifiuti e in sistemi di economia circolare a zero rifiuti, compresi sistemi alternativi di consegna dei prodotti basati sul riutilizzo. Ritenere le aziende inquinanti responsabili dell’inquinamento da plastica e del loro enorme contributo al riscaldamento globale, in linea con il principio “chi produce paga” e riconoscere il ruolo di coloro che sono coinvolti nella riduzione dell’impatto della plastica sul clima.

Rispettare e sostenere i diritti delle persone: Utilizzare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni di fronte all’ingiustizia climatica.

Rivedere i quadri giuridici nazionali per tenere maggiormente conto dei diritti delle comunità locali e dei popoli indigeni, e soprattutto per rafforzare i diritti delle donne e la loro protezione dalla violenza. Noi dell’ACJC siamo fortemente solidali con le regioni di Cabo Delgado in Mozambico, con la regione dell’Okavango in Namibia e con tutte le comunità e i territori colpiti da conflitti armati e guerre per le risorse, nonché con tutti coloro che sono stati colpiti dall’oleodotto dell’Africa orientale (EACOP) e dal gasdotto dell’Africa occidentale (WAGP).

Le azioni climatiche che perpetuano l’ingiustizia, l’ulteriore sfruttamento delle risorse naturali e lo sfollamento di donne, contadini e intere comunità a causa di false soluzioni devono lasciare spazio a una transizione equa e giusta nei settori dell’energia, dell’agricoltura e dell’industria mineraria.

UNA NUOVA AFRICA È POSSIBILE! GIUSTIZIA CLIMATICA ORA!

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