La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022, conosciuta anche come COP27, si è tenuta a Sharm el-Sheikh dal 6 al 18 novembre 2022 sotto la presidenza dell’Egitto e si è conclusa questa domenica (20 novembre).
La decisione raggiunta probabilmente più innovativa è l’accordo per creare un fondo per ristorare le perdite e i danni causati dal riscaldamento globale nei Paesi più poveri e vulnerabili.
La richiesta è stata fortemente voluta dai paesi del G77+Cina (gruppo che raccoglie 134 Paesi in via di sviluppo), paesi che hanno condotto insieme i negoziati, mentre è stata da sempre osteggiata dai paesi occidentali, sui quali ricadrà l’onere di alimentare il fondo perché responsabili delle emissioni che hanno alterato il clima.
Tuttavia, la presidenza egiziana della Cop27 ha fortemente voluto che il tema fosse al primo punto dell’agenda della Conferenza, una Cop volutamente definita “africana”.
Il risultato raggiunto, aldilà del giudizio di merito, pone il fatto che “questa Conferenza ha segnato comunque un cambiamento di paradigma, che va oltre la questione climatica”, come commentato da Jacopo Bencini, analista di Italian Climate Network.
“Eravamo abituati a un mondo dove a decidere e indirizzare erano le cinque Nazioni che siedono nel consiglio di sicurezza dell’Onu. Qui a Sharm, complice il conflitto russo-ucraino che ha rotto gli schemi, i Paesi del Sud del mondo hanno cominciato a far contare i loro numeri”.
Tra i diversi paesi del Sud, oltre ai protagonisti africani, si sono distinti anche i paesi del Sudamerica e dei Caraibi nel battersi per un cambiamento reale delle politiche sul clima.
Particolarmente acclamata è stata Mia Mottley, premier laburista delle Barbados, che ha attaccato frontalmente i paesi del Nord dicendo: “il mondo in cui viviamo è molto simile a quello dell’era imperiale. […] Il sud del mondo è sotto i disegni del nord del mondo. Sappiamo cosa fare, ci vuole solo una semplice volontà politica”.
E tra le politiche necessarie il prima possibile ha indicato “nuove politiche del debito e una riforma degli istituti di credito multilaterali, come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale o la Banca interamericana di sviluppo” perché sia tempo di cambiare le regole del gioco.
“Noi eravamo quelli il cui sangue, sudore e lacrime hanno finanziato la rivoluzione industriale; dobbiamo ora affrontare un doppio pericolo dovendo pagare il costo causato da quei gas serra della rivoluzione industriale?“.
Con la partecipazione alla Cop27 è tornato dopo tanto tempo nella scena internazionale Nicolas Maduro, Presidente del Venezuela, che ha tenuto anche incontri privati con il presidente francese Emmanuel Macron, il presidente portoghese Antonio Costa e con il rappresentante statunitense John Kerry.
Gli incontri sanciscono così la decisione dell’Unione Europea e degli USA di cancellare il riconoscimento di Juan Guaidò come leader del paese, dopo aver accettato che gli sforzi per cacciare Maduro sono falliti. Una scelta forzata anche dalla guerra in Ucraina e dalla necessità di dover sostituire le importazioni di petrolio russe.
Maduro però nel suo discorso ha preso posizioni molto chiare sul futuro che vede per il Venezuela e per l’umanità in generale.
Per prima cosa, ha sottolineato come le colpe del cambiamento climatico non possono essere distribuite equamente. Poi, citando Fidel Castro e Chavez, ha affermato che “ogni sforzo che faremo per alleviare le conseguenze di questo disastro ambientale sarà inutile, come lo è stato fino ad ora, se non avremo il coraggio di riconoscere che la causa del disastro che sta arrivando è il capitalismo consumistico, il capitalismo vorace, predatore e distruttivo. [..]
Un sistema che normalizza lo sfruttamento tra gli esseri umani non ha le condizioni etiche per rispettare altre forme di esistenza. Il capitalismo vede le risorse dove altre culture vedono la vita e il sacro, e quindi si sente autorizzato a possedere e distruggere tutto ciò che incontra sul suo cammino per l’accumulazione di capitale”.
Infine, ha riportato il progetto discusso con il presidente della Colombia, Gustavo Petro, con il presidente del Suriname e con i movimenti sociali sudamericani ad assumersi responsabilità nella salvezza della giungla e della biodiversità dell’Amazzonia.
“Le culture ancestrali e native di un intero continente, dagli originari indiani Sioux del Nord America agli Yanomami della giungla amazzonica, hanno sempre concepito la terra come un essere vivente che sente e pensa come noi. Risvegliamoci a quella verità e usciamo dall’arroganza antropocentrica che ci impedisce di vedere quanto sia sacro il mondo”.
Dobbiamo “pensare a una nuova umanità, a una nuova spiritualità, a un’umanità riconciliata con la natura, riconciliata con sé stessa, riconciliata con il futuro”.
Proprio Gustavo Petro è risultato il più dissidente a questo vertice mondiale, decidendo – pur essendo debuttante ad un vertice multilaterale – di non apparire nella foto ufficiale dell’evento insieme al resto dei leader internazionali.
Il presidente colombiano ha chiarito infatti che “è tempo per l’umanità e non per i mercati”, ossia è tempo di agire a livello globale come esseri umani “con o senza il permesso dei governi”. Durante il suo duro discorso, ha riportato 10 punti che rappresentano un piano necessario di azione:
1. L’umanità deve sapere che se la politica mondiale non supera la crisi climatica, si estinguerà. I tempi di estinzione in cui viviamo dovrebbero spingerci ad agire ora e globalmente come esseri umani con o senza il permesso dei governi. È l’ora della mobilitazione dell’umanità intera.
2. Il mercato non è il meccanismo principale per superare la crisi climatica. Sono il mercato e l’accumulazione di capitale che lo hanno prodotto e non saranno mai il suo rimedio.
3. È solo la pianificazione pubblica, globale e multilaterale che ci consente di passare a un’economia mondiale decarbonizzata. L’ONU dovrebbe essere il luogo della pianificazione.
4. È la politica mondiale, cioè la mobilitazione dell’umanità che correggerà la rotta e non l’accordo dei tecnocrati influenzati dagli interessi delle compagnie del carbone e del petrolio.
5. Dobbiamo prima di tutto salvare i pilastri del clima del pianeta. La giungla amazzonica è una. La Colombia concederà 200 milioni di dollari all’anno per 20 anni per salvare la foresta pluviale amazzonica. Attendiamo con impazienza il contributo globale.
6. La crisi climatica si supera solo se smettiamo di consumare idrocarburi. È tempo di svalutare l’economia degli idrocarburi con date definite per la sua fine e valorizzare i rami dell’economia decarbonizzata. La soluzione è un mondo senza petrolio e senza carbone.
7. I trattati WTO e FMI vanno contro la soluzione della crisi climatica e quindi devono essere soggetti agli accordi COP e non viceversa.
8. Il FMI dovrebbe avviare il programma di debito per investimenti nell’adattamento e mitigazione del cambiamento climatico in tutti i paesi in via di sviluppo del mondo. Le politiche di blocco economico oggi non favoriscono la democrazia e vanno contro i tempi dell’umanità per agire contro la crisi.
9. Le banche private e multilaterali del mondo devono smettere di finanziare l’economia degli idrocarburi.
10. I negoziati di pace devono essere avviati immediatamente. La guerra porta via il tempo, vitale per l’umanità per evitare la sua estinzione.
Inoltre, torna sul piano internazionale anche Lula, che partecipa al suo primo viaggio all’estero dalla sua vittoria alle elezioni del 2022 ancor prima del suo insediamento.
“Voglio dire che il Brasile è tornato. È tornato per riconnettersi con il mondo e aiutare a combattere di nuovo la fame nel mondo. Tornare a cooperare con i Paesi più poveri, soprattutto in Africa, con investimenti e trasferimento tecnologico.
Per rafforzare ancora una volta le relazioni con i nostri fratelli latinoamericani e caraibici e costruire, insieme a loro, un futuro migliore per i nostri popoli. Lottare per il commercio equo tra le nazioni e per la pace tra i popoli.
Torniamo per aiutare a costruire un ordine mondiale pacifico, basato sul dialogo, il multilateralismo e il multipolarismo. [..] Siamo tornati per proporre una nuova governance globale. Il mondo di oggi non è lo stesso del 1945. [..]
Dobbiamo superare noi stessi e andare oltre i nostri interessi nazionali immediati, in modo da poter tessere collettivamente un nuovo ordine internazionale, che rifletta i bisogni del presente e le nostre aspirazioni per il futuro. [.. ]
La prima iniziativa è lo svolgimento del Vertice dei Paesi Membri del Trattato di Cooperazione con l’Amazzoni. Affinché Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela possano, per la prima volta, discutere in modo sovrano della promozione dello sviluppo integrato nella regione, con inclusione sociale e responsabilità climatica. [..] La seconda iniziativa è proporre al Brasile di ospitare la COP 30 nel 2025”.
Da questa Cop27 si può così evincere come i paesi progressisti dell’America Latina che sono ora maggioranza nella regione stanno iniziando a preparare quella che sarà una battaglia molto lunga da fare sui temi climatici tanto quanto su quelli del debito, dello sviluppo diseguale, della povertà, tutti problemi che come ricorda anche l’intervento della Ministra cubana di Scienza, Tecnologia e Ambiente intervenuta per conto di Cuba.
“Quello che facciamo deve essere coerente con la storia e non dimenticare che le radici del problema sono nel sistema capitalista responsabile di un modello di sviluppo predatorio e consumistico. [..] La solidarietà climatica è smettere di agire per interessi economici individuali, è pensare a chi perde le condizioni di vita, è cambiare modelli di consumo insostenibili, è aiutare i più vulnerabili”.
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