Il rapporto recentemente pubblicato da Oxfam in vista della Cop30, la Conferenza delle Parti che si tiene annualmente per discutere e trattare le misure contro il cambiamento climatico, riporta che lo 0,1% più ricco del pianeta è responsabile, in un solo giorno, di più emissioni del 50% più povero della popolazione mondiale in un intero anno.
Questo squilibrio deriva sia dal tenore di vita sia dagli investimenti in attività inquinanti. E l’altro elemento che politicamente risulta estremamente interessante è che, dal 1990 a oggi, la quota totale delle emissioni di questo 0,1% è cresciuta del 32%, mentre quella della metà più povera della popolazione mondiale è diminuita del 3%.
Ciò non fa che rendere ancora più evidente, ancora una volta, come la questione ambientale sia una questione di classe. La riconversione ecologica non avviene da un giorno all’altro, questo è certo, ma se si continuerà a lasciarla nelle mani del mercato, cioè delle scelte fatte in virtù di interesse particolari, essa non si realizzerà mai. Tra l’altro, è l’Oxfam stesso a renderlo palese.
Nel rapporto si fa presente che c’è un gruppo elitario di super-ricchi che sta esercitando tutta la pressione possibile sui decisori politici, per mantenere la dipendenza dai combustibili fossili e aumentare i propri prodotti. I padroni preferirebbero vedere il mondo bruciare piuttosto che perdere qualche dividendo.
E su questa strada si stanno dirigendo con una larga connivenza politica, nonostante la propaganda di un capitalismo green. Secondo il report, le emissioni causate dall’1% più ricco della popolazione mondiale, entro io 2050, potrebbero arrivare a causare fino a 1,3 milioni di vittime con l’aumento delle temperature, e un danno economico di oltre 44 trilioni di dollari nei paesi a basso e medio reddito.
Il portavoce di Oxfam Italia, Francesco Petrelli, ha affermato: “la crisi climatica è strettamente connessa all’acuirsi delle disuguaglianze globali e ne aggrava la portata“. Ciò non è legato solamente al fatto che siano spesso i paesi più poveri ad essere quelli più a rischio rispetto agli effetti nefasti del cambiamento climatico.
È una questione profondamente neocoloniale. I paesi imperialisti occidentali approfittano di legislazioni meno stringenti in tema ambientale nei paesi in via di sviluppo, scaricandovi le attività più inquinanti. Per di più mistificano i dati per attribuirne a questi ultimi la responsabilità. In questo modo, puntano a perpetrare le disuguaglianze.
Spesso, queste asimmetrie di potere vengono alimentate con la promessa di lavoro e redditi per popolazioni che affrontano gravi difficoltà. In questo modo le ragioni strutturali della dipendenza non vengono mai intaccate. Oggi, inoltre, assistiamo persino a un ‘colonialismo verde’, in cui progetti infrastrutturali ed energetici funzionali al capitale occidentale vengono esportati nel Sud Globale.
È con questi strumenti che vengono fatti fallire i summit come la Cop30, quest’anno a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre. Alla Cop29, a Baku, erano presenti 1.773 lobbisti delle industrie delle fonti fossili, più del numero dei delegati dei 10 paesi più colpiti dagli effetti della crisi climatica.
Quest’anno la Cop si preannuncia come un evento di significativo impatto internazionale, per almeno due motivi. Il primo è che, sul tema di una diplomazia ambientale, si è speso molto il presidente brasiliano Lula, che vanta inoltre l’appartenenza ai BRICS. Il secondo è che arriva a 10 anni dagli Accordi di Parigi.
Il contenimento dell’innalzamento della temperatura entro gli 1,5° rispetto all’età pre-industriale è ormai evidentemente fallito, e per una responsabilità chiara e misurabile delle potenze occidentali. Gli investimenti e le politiche necessarie anche solo a correre ai ripari sono evidentemente inaccettabili e incompatibili con gli interessi dei grandi attori del ‘libero mercato’.
Oggi più che mai, appare chiaro che promuovere una coerente agenda ambientale è necessario pensarla dentro il ribaltamento delle dipendenze delle attuali relazioni internazionali e associarla a una trasformazione profonda delle fondamenta dello sviluppo economico e sociale.
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