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Avere un’anima, nel calcio, può essere un danno

I calciatori italiani minacciano lo sciopero per “salvaguardare i propri diritti di lavoratori”, è ovviamente una lotta che grida vendetta contro la miseria crescente che sta investendo i lavoratori italiani, tuttavia ci appaiono altrettanto nauseanti le dichiarazioni del mondo delle società di calcio che parlano di austerity, mentre continuano tranquillamente a fare profitti da capo giro attraverso la gallina delle uova d’oro del mondo del pallone. Inoltre se vista in una diversa ottica, si assiste alla medesima –tirata- che oggi il padronato italiano propina ai lavoratori, c’è recessione, c’è crisi, quindi bisogna fare i sacrifici, che ovviamente toccano sempre i soliti… E quindi i lavoratori che difendono il loro lavoro, la loro pensione, sono visti come coorporativi perché non pensano ai giovani precari, i giovani precari quando –sincazzano- e infiammano le periferie sono solo teppisti perché non pensano che distruggono macchine
e negozi delle periferie dove vivono i lavoratori….
Il mondo del pallone è specchio del mondo, specchio deformato, ma in realtà capace di riassumere le dinamiche stesse della nostra società.
Appare quindi come un fulmine a ciel sereno la notizia che arriva dalla Spagna: Javi Poves, difensore ventiquattrenne dello Sporting Gijon ha lasciato il calcio giocato, proprio quando si prospettava una tranquilla carriera da professionista nella Liga Spagnola, con una retribuzione di tutto rispetto. IL giovane calciatore lascia questo mondo del pallone non per problemi con l’allenatore, nemmeno per bizze personali, o per problemi d’ingaggio, ma solamente perché si è stufato di appartenere ad una classe di privilegiati in un mondo pieno di corruzione.
Per il giovane calciatore dello Sporting Gijon il calcio è capitalismo: – “Il calcio professionale è solo denaro e corruzione – ha dichiarato Poves, che in passato aveva chiesto alla società di sospendere il pagamento del suo stipendio tramite transazioni bancarie perché non voleva che si speculasse sul suo denaro – Il calcio è capitalismo e il capitalismo è morte. Non voglio più far parte di un sistema che si basa su ciò che guadagna la gente grazie alla morte di altri in Sudamerica, Africa o Asia. A cosa mi serve guadagnare tanto se quello che ottengo è frutto della sofferenza di molta gente? La fortuna di questa parte del mondo esiste solo grazie alle disgrazie del resto, per me si dovrebbero bruciare tutte le banche”.
Parole davvero controcorrente quelle di Javi, che non molto tempo fa aveva restituito allo Sporting Gijon la macchina che gli aveva regalato la società, perché si vergognava di possedere due vetture. Arrivando addirittura a mettere in luce il meccanismo perverso che regola il mondo del calcio, che ormai da molto tempo è diventato uno degli specchi del mondo: “Da quando siamo piccoli veniamo trattati come bestie, ci istigano alla competizione e quando si raggiunge una certa età, poi è difficile tornare indietro. Finché la gente continua ad accettare il sistema che esiste non sarà facile cambiare le cose – ha dichiarato l’ormai ex calciatore che ha rivelato di studiare storia all’università – voglio vedere cosa succede nel mondo, andare nei posti più poveri per capire le difficoltà del mondo”.

Cosi come il mondo del pallone deve liberarsi dal giogo del profitto, e ritornare ad essere uno splendido gioco, cosi oggi una generazione precaria deve provare ad affrancarsi da una società che gli -regala- solo esclusione sociale.

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